Nell'oscuro tempo della pandemia arriva Draghi non molto amato dai tedeschi da quand'era a capo della BCE.
Con Mario Draghi sul ponte di comando, tornano in auge i cervelli "economici" e con essi l'augurio che si blocchi o almeno si assottigli la coda dei cervelli in fuga dall'Italia, alla quale non le si riconosce in Patria come all'estero, il ruolo del più grande "incubatore e serbatoio d'intelligenza, di sapere e di metodo" da sempre. Gli economisti per primi.
Benchè la nomina del presidente emerito della BCE come solutore della crisi politica italiana, richiami alla memoria il piglio singolare, denso di luci ed ombre con il quale i cervelli "economici" gestiscono la politica, (non senza sorprese e più di qualche ricordo amaro.).
Mario DraghiSopratutto non si può dimenticare Mario Draghi.
Formatosi all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", specializzato al MIT di Boston, professore universitario, negli anni novanta diventa alto funzionario del Ministero del tesoro.
Dopo un breve passaggio in Goldman Sachs, nel 2005 è nominato Governatore della Banca d'Italia, e prende il posto di Antonio Fazio costretto alle dimissioni in seguito allo scandalo di Bancopoli, divenendo così membro del Financial Stability Forum (Financial Stability Board dal 2009) e del Consiglio Direttivo e del Consiglio Generale della Banca centrale europea nonché membro del Consiglio di amministrazione della Banca dei regolamenti internazionali.
Ha ricoperto inoltre l'incarico di Presidente del Financial Stability Forum e del Financial Stability Board.
È stato Direttore esecutivo per l'Italia della Banca Mondiale e nella Banca Asiatica di Sviluppo.
È membro del Gruppo dei Trenta.
Nel 2015 ha dichiarato che le proprie idee politiche rientrano nel socialismo liberale, e quindi non proprio collocabili in raggruppamenti estremi.
Nel 2011 succede a Jean-Claude Trichet nella carica di Presidente della Banca centrale europea, fino al 2019.
Nel 2018, secondo la rivista Forbes, è considerato il 18° uomo più potente del mondo.
Nell'autunno 2019 fa impazzire i tedeschi, "Conte Draghila" titola la Bild Zeitung
Come dimenticare Renato Brunetta? Proprio perchè è alle cronache per non essere fuggito dall'Italia ed anzi essersi proposto all'Economia ed alla Politica dell'Italia, ed in alcuni casi ne ha fatto la storia, sin dagli anni '80 e nel senso più alto come lui stesso afferma, da "liberal-socialista", ma facendosi in entrambe le materie molti nemici e qualche onore.
L'onorata Carriera Accademica.
«Sono orgoglioso di essere figlio di gente povera. Figlio della Venezia popolare. [...] E andavo a lavorare con mio padre, venditore ambulante di gondoete, gondole di plastica nera. [...] E lì, sui marciapiedi di Cannaregio, ho imparato tutto. Il lavoro, il sacrificio. Vivevamo in nove in novanta metri quadri, con i miei due fratelli, mia zia vedova e i suoi tre figli. E comunque a casa mia non c'era un libro. Cominciai a studiare il greco di notte, di nascosto. Così ho dato l'esame per passare al Foscarini. Il figlio dell'ambulante, il piccolino, al liceo dei siori. Alla maturità fui il primo della classe.» Cita Wikipedia.
È quindi un gioco da ragazzi laurearsi in Scienze politiche ed economiche all'Università degli Studi di Padova a 23 anni, il 2 luglio 1973. Nello stesso ateneo inizia la sua carriera ricoprendo vari incarichi, fino all'anno accademico 1977-78 quando diventa professore incaricato dell'insegnamento di Economia e politica del lavoro (Facoltà di Scienze Politiche). Nel 1982 a coronamento di questa folgorante carriera accede tramite il giudizio di idoneità previsto dall'art. 50 del DPR 382/1980 per i precari dell'università dotati di specifici requisiti, al ruolo di professore associato, presentando tre pubblicazioni.
Da questo momento la sua carriera non trova più ostacoli. Dal 1982 al 1990 è professore associato di Fondamenti di Economia presso il Dipartimento di Analisi Economica e Sociale del Territorio (corso di Laurea di Urbanistica) dell'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Dal 1991 al 1999 è professore associato di Economia del Lavoro (Facoltà di Economia e Commercio) presso Tor Vergata, e dove ha ricoperto il ruolo di professore ordinario di Economia Politica (in aspettativa) fino al 2009.
La Carriera Politica.
Negli anni '80, dando chiara espressione di formazione socialista collabora in qualità di consigliere economico con i governi Craxi I, Craxi II, Amato I e Ciampi. Viene nominato dall'allora ministro Gianni De Michelis coordinatore della commissione sul lavoro e stende un piano di riforma basato sulla flessibilità, è in questo periodo che guadagna lo stato di protezione pubblica e da allora vive quasi ininterrottamente sotto scorta a causa del contenuto delle consulenze da lui prestate al Ministero del Lavoro, che gli hanno valso l'interessamento e l'odio da parte delle Brigate Rosse. Poi diventa consigliere del Cnel, in area socialista. Nel 1993, durante Mani Pulite firma la proposta di rinnovamento del Psi di Gino Giugni.
>Nel 1995 entra nella squadra che scrive il programma di Forza Italia e nel 1999 entra nel Parlamento europeo.
Al Parlamento Europeo la produttività degli europarlamentari si misura dalle attività. In aula e in commissione. Evidentemente nell'ultimo decennio le posizioni affermate nei precedenti anni '80 si sono affievolite, o comunque sembrano non riguardarlo.
Persino gli odiati politici comunisti, che a suo dire "non hanno mai lavorato in vita loro", a Bruxelles faticano molto più di lui: nella stessa legislatura che a visto a Bruxelles, Brunetta e il no global Vittorio Agnoletto e il rifondarolo Francesco Musacchio questi ultimi hanno percentuali di presenza record, tra il 90 e il 100 per cento, contro il molto meno del 30 per cento offerto da Brunetta, da membro titolare della delicata commissione per i Problemi economici e monetari o del 50 per cento da vicepresidente della commissione Industria.
Gli Interessi Personali.
Eppure nonostante lo scarsissimo tempo libero, per le molteplici attività d'insegnamento, parlamentari e di consulenza, Brunetta riesce a coltivare e mantenere il suo hobby di sempre, il mattone.
Anche quando si presentano risvolti correlati, non del tutto piacevoli. Come quando nel 2013, avendo chiesto un risarcimento di 7,5 milioni di euro di danni al settimanale l'Espresso per supposta diffamazione. Il Tribunale civile di Roma rigetta la richiesta e ingiunge a Brunetta di pagare 30.000 euro di spese processuali.
Ecco cosa scriveva l'Espresso in un lungo articolo su Brunetta a riguardo dell'argomento
Oggi il ministro possiede un patrimonio composto da sei immobili (due ereditati a metà con il fratello) sparsi tra Venezia, Roma, Ravello e l'Umbria, per un valore di svariati milioni di euro.
"Mi piacciono le case e le ho pagate con i mutui", ha sempre detto. Effettivamente per comprare e ristrutturare la magione di 420 metri quadrati con terreno e piscina in Umbria, a Monte Castello di Vibio, vicino a Todi, Brunetta ha contratto un mutuo di 600 milioni di vecchie lire del 1993.
Ma per acquistare la casa di Roma e quella di Ravello, visti i prezzi ribassati, non ne ha avuto bisogno.
Cominciamo da quella di Roma. Alla fine degli anni Ottanta il rampante professore aveva bisogno di un alloggio nella capitale, dove soggiornava sempre più spesso per la sua attività politica. Un comune mortale sarebbe stato costretto a rivolgersi a un'agenzia immobiliare pagando le stratosferiche pigioni di mercato. Brunetta no.
Come tanti privilegiati, riesce a ottenere un appartamento dall'Inpdai, l'ente pubblico che dovrebbe sfruttare al meglio il suo patrimonio immobiliare per garantire le pensioni ai dirigenti delle aziende.
Invece, in quel tempo, come 'L'espresso' ha raccontato nell'inchiesta 'Casa nostra' del 2007, gli appartamenti più belli finivano ai soliti noti. Brunetta incluso.
Un affitto che in quegli anni era un sogno per tutti i romani, persino per i dirigenti iscritti all'Inpdai ai quali sarebbe spettato.
Lo racconta Tommaso Pomponi, un ex dirigente della Rai ora in pensione, che ha presentato domanda alla fine degli anni Ottanta: "Nonostante fossi stato sfrattato, non ottenni nessuna risposta. Contattai presidente e direttore generale, scrissi lettere di protesta, inutilmente".
Pomponi ha pagato per anni due milioni di lire di affitto e poi ha comprato a prezzi di mercato, come tutti.
Il ministro, invece, dopo essere stato inquilino per più di 15 anni con canone che non ha mai superato i 350 euro al mese, ha consolidato il suo privilegio rendendolo perpetuo: nel novembre 2005 il patrimonio degli enti infatti è stato ceduto.
Brunetta compra insieme agli altri inquilini ottenendo uno sconto superiore al 40 per cento sul valore di stima.
Alla fine il prezzo spuntato dal grande moralizzatore del pubblico impiego è di 113 mila euro, per una casa di 4 vani catastali, situata in uno dei punti più belli di Roma.
Si tratta di un quarto piano con due graziosi balconcini e una veranda in legno.
Brunetta vede le rovine di Roma e il parco dell'Appia antica. Un appartamento simile a quello del ministro vale circa mezzo milione di euro: con i suoi 113 mila euro l'economista avrebbe potuto acquistare un box.
Anche il buen retiro di Ravello è stato un affare immobiliare da Guinness. Brunetta, che si autodefinisce "un genio", diventa improvvisamente modesto quando passa in rassegna i suoi possedimenti campani.
"Una proprietà scoscesa", ha definito questa splendida villa di 210 metri quadrati catastali immersa in 600 metri di giardino e frutteto. Seduto nel suo patio il ministro abbraccia con lo sguardo il blu e il verde, Ravello e Minori.
Per comprare i ruderi che ha poi ristrutturato ha speso 65 mila euro tra il 2003 e il 2005.
"Quanto?", dice incredula Erminia Sammarco, titolare dell'agenzia immobiliare Tecnocasa di Amalfi: "Mi sembra impossibile: a quel prezzo un mio cliente ha venduto una stalla con un porcile".
Oggi un rudere di 50 metri quadri costa circa 350 mila euro, e una villa simile a quella dell'economista supera di gran lunga il milione di euro.
Il ministro ha certamente speso molto per la pregevole ristrutturazione, tanto che ha preso un mutuo da 300 mila euro poco dopo l'acquisto del 2003 che finirà di pagare nel 2018, ma ha indubbiamente moltiplicato l'investimento iniziale.
Ma come si fa a trasformare una catapecchia senza valore in una villa di pregio? 'L'espresso' ha consultato il catasto e gli atti pubblici scoprendo così che Brunetta ha comprato due proprietà distinte per complessivi sette vani catastali, affidando i lavori di restauro alla migliore ditta del luogo.
Dopo la cura Brunetta, al posto dei ruderi si materializza una villetta su tre livelli su 172 metri quadrati più dépendance, rifiniture in pietra e sauna in costruzione.
Per il catasto, invece, l'alloggio passa da civile a popolare. In compenso, i sette vani sono diventati 12 e mezzo.
Come è stata possibile questa lievitazione? "Diversa distribuzione degli spazi interni", dicono le carte.
La signora Lidia Carotenuto, che fino al 2002 era proprietaria del piano inferiore, ricorda con un po' di malinconia: "La mia casa era composta di due stanzette, al massimo saranno stati 40 metri quadrati e sopra c'era un altro appartamento (che misurava 80 metri catastali, ndr) in rovina. So che ora il Comune di Ravello sta costruendo una strada che passerà vicino all'abitazione del ministro. Io non avrei venduto nulla se l'avessero fatta prima...". A rappresentare Brunetta nell'atto di acquisto della dépendance nel 2005 è stato il geometra Nicola Fiore, che aveva seguito in precedenza anche le pratiche urbanistiche.
Fiore era all'epoca assessore al Bilancio del comune, guidato dal sindaco Secondo Amalfitano, del Partito democratico.
I rapporti con il primo cittadino è ottimo: Brunetta entra nella Fondazione Ravello. E quest'anno, dopo le elezioni, Amalfitano fa il salto della barricata, entra nel Pdl e lascia la Costiera per Roma dove viene nominato suo consigliere ministeriale.
Più tranquillizanti ed anche più incisivi nel ruolo di "frontalieri dell'economia", o di "cervelli in fuga"
Attivi, in luoghi tra loro distanti, come Napoli e Los Angeles, formano un gruppo fortemente omogeneo ad unirli è una forte identità di orientamento intellettuale e metodologico.
Partecipi di una forte tradizione di economisti altamente coinvolti nella politica economica, spettatori di prima fila e, in molti casi, studiosi di quel felice processo di governo istituzionale e di coordinamento, delle economie che è stato ed è il Sistema monetario europeo, condividono, in reazione alle posizioni dei monetaristi come Milton Friedman e dei neoclassici come Robert Lucas e Thomas Sargent, la persuasione che possano e debbano esistere spazi ed opportunità per interventi di governo dell’economia da parte delle autorità pubbliche e che la teoria della politica economica possa, di conseguenza, essere applicata alla gestione della politica economica.
Francesco Giavazzi (UniBocconi)La inclinazione verso i problemi della politica economica, con una speciale attenzione per la dimensione internazionale, è così - per dirla con le parole di Francesco Giavazzi, il decano del gruppo - la prima caratteristica in comune.
Il secondo elemento che contribuisce alla formazione di un gruppo omogeneo è l’integrazione all’interno dei circuiti accademici internazionali.
Sia che lavorino all’estero sia che la loro sede abituale sia in Italia, tutti (in parte per la spinta derivante dal quasi decennale blocco dei concorsi universitari italiani tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta) hanno completato all’estero la loro formazione, partecipano con continuità ai convegni internazionali, pubblicano regolarmente articoli e volumi presso riviste e case editrici straniere.
Tanto che proprio la qualità delle pubblicazioni internazionali costituisce la prova più autentica e il metro di giudizio più valido della loro affermazione e vale a parziale compensazione delle difficoltà e delle delusioni patite in alcuni casi di difficile inserimento all’interno delle rigide gerarchie dell’università italiana.
Diretta conseguenza del pieno inserimento nella comunità internazionale degli economisti è l’adozione di strumenti di indagine di elevata sofisticazione formale. Si tratta di una tendenza che non da oggi suscita, anche all’estero, forti resistenze. È uno schieramento, quello di coloro che invitano a una minore astrazione e a una maggiore attenzione ai problemi concreti, che non ha mancato di farsi sentire anche in Italia con la pubblicazione, tra l’altro, di una lettera aperta firmata da alcuni dei più celebri economisti italiani, tra cui Giorgio Fuà, Onorato Castellino e Paolo Sylos Labini.
«La vera degenerazione non consiste nell’astrazione, che è indispensabile, e nell’uso del formalismo, che è molto spesso necessario; ma nell’impiego fine a se stesso di questo e di quella», ha risposto, nella introduzione ad un recente volume della Società italiana degli economisti dedicato alla Teoria dei giochi, Luigi Spaventa.
Ma chi sono, dove lavorano e cosa studiano questi economisti?
Alberto AlesinaTra gli emigrati, il nome di maggior spicco, come già detto, è quello di Alberto Alesina che si è in modo specifico dedicato all’analisi degli effetti economici dei cicli politici
, e che vogliamo ricordare, nonostante la prematura morte. È stato incluso qualche anno fa dall’Economist tra i prossimi vincitori del premio Nobel. Un laureato della Bocconi, che poco più che trentenne, divenne professore alla facoltà di economia e alla School of Government di Harvard. Alesina amava lanciare provocazioni, per scuotere la politica, come fece in occasione della proposta di tassare le donne meno degli uomini (gender based taxation), una misura che avrebbe contribuito a raggiungere effettivamente le pari opportunità, e contenuta in uno studio pubblicato nel 2011 sull’American Economic Journal insieme ad Andrea Ichino e Loukas Karabarbounis.
Non è un caso isolato. Tanto all’estero, principalmente negli Stati Uniti e in Inghilterra, quanto in Italia si va rapidamente affermando una nutrita schiera di giovani economisti di levatura internazionale.
La squadra italiana in America è composta da quasi una ventina di altri giovani economisti: tre alla Columbia University (Alberto Giovannini, Paolo Fulghieri, Paolo Sighinolfi), due alla University of California di Los Angeles (Guido Tabellini e Michele Boldrin), due a Yale (Vittorio Grilli e Nouriel Roubini), due alla Brown (Graziella Bertocchi e Fabio Canova), e uno ciascuno a Princeton (Giuseppe Bertola), a Stanford (Orazio Attanasio), a Berkeley (Alessandra Casella), alla Johns Hopkins (Enrica Detragiache), alla New York University (Franco Petracchi), alla Boston University (Fabio Schiantarelli), al Boston College (Enrico Perotti), alla U. C. Davies (Giacomo Bonanno), alla North Carolina (Piero Gallo).
In Canada, all’università di Montreal, è andato Paolo Garella, mentre a Londra, i primi due allo University College, gli altri alla City University Business School, insegnano Guglielmo Weber, Pasquale Scaramozzino, Elisabetta Bertero e Agar Brugiadini.
Stabilmente inseriti all’estero nelle rispettive istituzioni universitarie, questi economisti hanno dal 1987 trovato un punto di parziale aggregazione in Italia grazie alle Conferenze di Castengandolfo, incontri che, organizzati una volta l’anno in collaborazione con il Center for Economic Policy Research (Cepr) di Londra, vengono di volta in volta dedicati a un tema di particolare rilevanza per la politica economica e hanno già dato luogo a tre volumi pubblicati dalla Cambridge University Press.
E in Italia chi sono stati, secondo l’espressione dell’Economist, i migliori?
Francesco Giavazzi, una laurea in ingegneria al Politecnico di Milano prima del dottorato in economia al Massachussets Institute of Technology (Mit) con Franco Modigliani e Rudiger Dornbusch, a suo tempo membro della Commissione scientifica consultiva sul debito pubblico istituita dall’allora ministro del Tesoro Giuliano Amato e presieduta da Luigi Spaventa, ricercatore del National Bureau of Economie Research americano, direttore di due programmi di ricerca del Cepr, attualmente professore straordinario di politica economica all’università di Bologna, è l’anello di collegamento tra gli stranieri e gli italiani. Insieme a Spaventa è il coordinatore delle Conferenze di Castelgandolfo.
I temi ai quali si è dedicato con maggiore attenzione, quello delle regole del gioco del sistema monetario internazionale e, in particolare, dello Sme e quello del coordinamento delle politiche economiche, lo hanno portato a collaborare strettamente con economisti attivi sulle due sponde dell’Atlantico, da Alberto Giovannini a Marco Pagano a Carlo Carrara. Suoi articoli sono comparsi sulle principali riviste internazionali, dal Journal of InternationalEconomics a Economic Policy.
Ignazio ViscoAl pari di Giavazzi, Ignazio Visco (fratello di Vincenzo, ministro delle Finanze nel governo ombra del partito comunista), attuale governatore della Banca d'Italia è stato direttore del servizio reale della bilancia dei pagamenti, del servizio studi e responsabile del modello econometrico della Banca d’Italia. In via Nazionale dal 1974 dopo un Ph. D. (cioè il dottorato di ricerca) conseguito con il premio Nobel Lawrence Klein alla Pennsylvania University, fa ascendere proprio al contatto con Klein e, più ancora e prima di quello, al rapporto con Federico Caffè negli anni dell’università, il suo interesse per i problemi concreti della politica economica. «Il ’68 e l’esperienza all’interno dell’università di Roma hanno agito, da questo punto di vista, come un vero e proprio spartiacque», dice Visco, autore di articoli su infinite riviste come il Journal of Policy Modelling.
Carlo CarraroCarlo Carraro, dopo una laurea in economia a Venezia, ha studiato in Inghilterra, alla Freie Universität di Berlino Ovest e all’università di Princeton dove ha conseguito il dottorato di ricerca è oggi professore straordinario di econometria a Venezia. Specializzatosi in econometria sin dalla tesi di laurea, Carraro si è occupato tanto di problemi esclusivamente teorici e metodologici quanto di applicazione concreta dei concetti teorici (spesso derivati dall’ingegneria, dalla economia industriale o dalla biologia) all’attività di politica economica.
Tra i suoi lavori si possono ricordare un saggio scritto in collaborazione con Renato Brunetta e pubblicazione presso la Oxford Economic Press nel quale si utilizza la Teoria dei giochi per lo studio della contrattazione collettiva di lavoro, e un articolo, realizzato a quattro mani con Domenico Siniscalco e pubblicato su Economia politica su: «L’Opec e il mercato del greggio: uno schema di oligopolio».
Nicola RossiEconometrista al pari di Carraro e come lui professore a Venezia, Nicola Rossi, dopo una laurea in scienza delle finanze con Cesare Cosciani a Roma, ha conseguito, sulla base di una Borsa di studio Mortara della Banca d’Italia, una prima specializzazione (il titolo di Master of Arts) alla London School of Economics dove è ritornato, dopo un biennio al servizio studi della Banca d’Italia, per conseguire il dottorato.
Con al suo attivo anche un anno al Fondo monetario internazionale presso il dipartimento fiscale guidato da Vito Tanzi e una lunga serie di pubblicazioni sulle principali riviste internazionali, Nicola Rossi collabora attualmente con il servizio studi della Banca d’Italia per una ricerca sul risparmio.
Vincenzo DenicolòAppena trentenne, Vincenzo Denicolò è giunto all’università di Bologna dove è oggi professore associato di economia politica dopo gli studi di specializzazione ad Oxford. All’utilizzo dei più aggiornati strumenti formali d’analisi accompagna un forte interesse per le scienze sociali. Attualmente sta lavorando, insieme a Flavio Delbono, pure lui dell’università di Bologna, a uno studio sugli investimenti in attività di ricerca e sviluppo da parte delle imprese in un regime di oligopolio.
Tra tanti economisti legati tra loro al punto da firmare spesso a più mani i propri lavori, Giovanni Dosi, occupa una posizione abbastanza defilata. Laureato in filosofia alla Statale di Milano, dopo un periodo di studio all’Istao, il centro anconetano di Giorgio Fuà, si è trasferito all’Università del Sussex dove è rimasto per cinque anni.
Ritornato in Italia dopo un ulteriore periodo di insegnamento alle università di Berkeley, Indiana, Stanford e Rio de Janeiro come professore straordinario di economia applicata alla Sapienza di Roma, vicino a Michele Salvati che considera uno dei propri maestri pur non essendone mai stato un allievo, si occupa prevalentemente di innovazione tecnologica e dinamica industriale. Nella sua bibliografia spicca una rassegna sul tema dell’innovazione tecnologica per il Journal of Economic Literature.
Maio PaganoQuasi all’unanimità indicato come il più promettente tra i giovani Marco Pagano, laureato in giurisprudenza a Napoli, vincitore di una borsa di studio Stringher della Banca d’Italia, dopo una laurea in economia in soli due anni alla Cambridge University in Inghilterra, ha conseguito il Ph. D. al Mit, dove ha prima studiato e poi insegnato a fianco di alcuni giganti dell’economia del dopoguerra come Franco Modigliani, Robert Solow, Olivier Blanchard e Stanley Fischer. Attualmente professore associato all’università di Napoli, si occupa prevalentemente di macroeconomia, di economia finanziaria e di economia internazionale. Il suo più recente lavoro, scritto insieme ad Ailsa Röell della London School of Economics e di prossima pubblicazione su Economic Policy, riguarda il sistema di contrattazione sui mercati azionari in Europa.
Pietro ReichlinPietro Reichlin, figlio di Alfredo Reichlin e Luciana Castellina, tra gli economisti di questo gruppo è quello maggiormente dedito a problemi di pura teoria. Il suo è anche l’esempio più clamoroso delle difficoltà che incontrano a rientrare in Italia gli economisti che abbiano iniziato all’estero la loro carriera accademica. Laureato in statistica a Roma, dopo avere conseguito il Ph. D. alla Columbia University e avere insegnato un anno all’università europea di Firenze e un anno all’università di Pennsylvania a Filadelfia, con un elenco di pubblicazioni in riviste internazionali che vanno dal Journal of Economic Theory al Journal of Economic Dynamics and Control, Reichlin è riuscito a ritornare in Italia, alla facoltà di statistica dell’università di Roma, soltanto grazie a una borsa di rientro della Olivetti.
Mai riuscito a rispondere compiutamente alle uniche importanti domande della vita: “quanto costa?”, “quanto ci guadagno?”. Quindi “so e non so perché lo faccio …” ma lo devo fare perché sono curioso. Assecondami.