— I Dossier di Berlin89
Lavoro & caporalato digitale
L’epidemia da Covid19 ha esteso la possibilità di utilizzare il lavoro a domicilio - in questo caso riverniciato con l’anglicismo smart working - anche a lavorazioni “immateriali”, come può essere il lavoro impiegatizio o le prestazioni del pubblico impiego. L’epidemia ha accelerato questo processo, lo ha reso in una certa misura necessario, tanto che viene accolto con notevole favore da una buona parte di lavoratori giustamente preoccupati di contaminarsi lavorando a fianco dei colleghi, in ambienti in cui l’applicazione delle norme di prevenzione è spesso blanda, o di fronte al pubblico.
Tuttavia è altrettanto evidente che, nella maggior parte dei casi lo smart working si svolge in appartamenti di 70, 50 metri quadrati, dove si “parla” moltissimo con il pc e pochissimo - l’essenziale - con i congiunti. Risultato? Si rischia di diventare estranei e spesso insofferenti in casa. Oppure si può impazzire, specie se si è single, senza mai incontrare anima viva. Naturalmente, c’è di peggio. C’è chi ha perso il lavoro perché l’azienda ha chiuso i battenti. C’è chi non riceve da mesi la cassa integrazione e non sa come pagare le utenze e fare la spesa.
Pertanto il telelavoro - nell’immaginario collettivo - risulta comunque appagante. Secondo l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano l’emergenza è da considerarsi provvidenziale perché “ha dimostrato come un modo diverso di lavorare sia possibile anche per figure professionali prima ritenute incompatibili” con esso si è ottenuta una trasformazione del modo di lavorare che “in tempi normali avrebbe richiesto anni”. Sicché, raccomanda l’Osservatorio si deve evitare di “disperdere l’esperienza di questi mesi, per poter passare al vero e proprio smart working, che deve prevedere maggiore flessibilità e autonomia nella scelta di luogo e orario di lavoro, elementi fondamentali a spingere una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.
Benché flessibilità e orario di lavoro, abbiano un suono ambiguo che sa di cottimo, di sfruttamento, è innegabile - come si è detto - che la maggior parte dei lavoratori si mostra favorevole a questo cambiamento. Lo conferma anche una ricerca del Forum PA, la piattaforma per la formazione e l'empowerment del capitale umano, il quale sottolinea che “il 93,6 per cento dei dipendenti pubblici vorrebbe continuare a lavorare in smart working se gliene venisse offerta la possibilità una volta tornati alla normalità”. La ragione sta nell’apparenza di una maggiore autonomia del lavoratore: Ma non è così. Questo dossier spiega attraverso le “firme” e le testimonianze perché non lo è affatto.
Sull’onda del Covid19, comincia a diffondersi anche in Europa il femtech, ovvero l'insieme di app, prodotti e tecnologie che, monitorando la salute delle donne, consentono la “sorveglianza mestruale”, attraverso la quale i datori di lavoro e le assicurazioni possono raccogliere di prima mano, informazioni riservate sulla fertilità, sul ciclo mestruale e sulla gravidanza, delle proprie dipendenti .
Da troppo tempo le donne sono le protagoniste di una mancata valorizzazione dei talenti presenti nel mercato e nei luoghi di lavoro. Tuttavia, molti osservatori e la baronessa Joanna Shields ex ministro inglese per la sicurezza di Internet, è tra costoro, sostengono che le tecnologie digitali aiuteranno a colmare il divario di genere.
Ai primi di Febbraio di quest’anno, l’ISTAT ha pubblicato i dati riferiti al dicembre 2020 su persone occupate, disoccupate e inattive. In numeri assoluti si parla di 101 mila persone occupate in meno nell’ultimo mese del 2020 rispetto a novembre del 2019, di queste, 99 mila sono donne.
Ho sempre deprecato il proliferare del lessico filosofico nel corso dei secoli, mi è sempre sembrato che la storia della filosofia fosse una storia di incomprensioni lessicali: sarebbe dunque onesto dichiarare, all’inizio di ogni nostro discorso, l’inaffidabilità dello strumento di cui ci serviamo.
Il lavoro che viene svolto con l’ausilio delle tecnologie digitali e delle telecomunicazioni, o che riguarda la produzione di contenuti, si è diffuso rapidamente nelle economie capitalistiche avanzate. Inoltre, mostra delle caratteristiche proprie, non ultima in ordine di importanza la presenza ormai consolidata di quelle vulnerabilità e di quegli svantaggi a livello di mercato del lavoro che sono solitamente associati al lavoro femminile, oltre che ad altre forme di lavoro fortemente connotate dal punto di vista di genere.
E' confermato! Le nuove tecnologie si sono rivelate un terreno davvero fertile per la violenza di genere pure nel mondo della politica. Negli Stati Uniti sarebbe necessaria la modifica dell’art. 230 del Communications Decency Act, la legge sul decoro nelle comunicazioni, per far sì che le piattaforme social rispondano anche dei contenuti pubblicati. Le carenze mostrate (in particolar modo da Facebook e Twitter) nel contrasto alla violenza digitale hanno portato a un aumento della misoginia all’interno di queste piattaforme.
Fare di necessità virtù. Così recita un vecchio adagio. Qualcuno oggi probabilmente preferirebbe far ricorso al concetto di resilienza, ma siamo sempre lì: la pandemia da Covid19 ha diffuso moltissimo il lavoro “da remoto” ed è importante quindi cominciare a ragionarci su, anche in prospettiva, per comprenderne a fondo tutte le implicazioni presenti e future. Sappiamo già che il fenomeno ha interessato (e interessa), solo in Italia, milioni di persone: «durante il picco coronavirus si è arrivati a vette di 6–8 milioni di lavoratori “da remoto”».
Con il Coronavirus il lavoro digitale è entrato in casa, annullando i confini tra vita privata e lavoro retribuito: la casa diviene il luogo della forma competitiva di lavoro, con la conseguenza che non è più possibile definire e circoscrivere cosa conta come lavoro. Il lavoro retribuito invade il tempo privato presentandosi come “lavoro flessibile”, persino divertente, ma decretando una perenne mancanza di tempo.
Internet e social prima e dopo il Coronavirus. Fraintendimenti e deviazioni che tradiscono la democrazia. E' il titolo del saggio di Alessandra Valastro sul tipo di emergenza e di crisi generato dal Coronavirus, che ha chiamato in causa così prepotentemente le dimensioni più minute dell’esistenza, qualche elemento chiarificatore lo avrà offerto. Ma, appunto, semplice non è facile.
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