Dovere di cronaca, Eric Clapton contro il "Green Pass"
Suscita più che sconcerto se una star internazionale come il chitarrista Clapton dichiara che, non si esibirà dove "viene richiesta la vaccinazione", e ne spiega il perché.
scritto da Berlin89 il .
Suscita più che sconcerto se una star internazionale come il chitarrista Clapton dichiara che, non si esibirà dove "viene richiesta la vaccinazione", e ne spiega il perché.
Paolo Molina il .
L’emergenza sanitaria Covid-19 ha ridefinito i valori dell'economia, su scala mondiale e nazionale. Il ruolo del settore farmaceutico è cruciale e l’industria italiana, leader in Europa, è in fermento. È Rivoluzione!
Vincenzo Maddaloni il .
Nell'èra di WhatsApp e di TikTok le Russie dei Pasternak sono scivolate in fondo al cassetto.
Giorgio Cremaschi il .
Il Covid19 sta sterminando chi ha dai settant’anni in su, la mia generazione e quelle più vicine.
Paolo Molina il .
In un articolo del 2017 dei ricercatori tedeschi affermano tranquillamente "E' ora di dividere Salvia" e propongono di suddividerlo in sei generi, due dei quali sono Perovskia e Rosmarinus.
Gilad Atzmon il .
IL MONDO DOPO IL CORONAVIRUS -
Il capolavoro cinematografico Metropolis, del 1927, viene spesso descritto come un’opera dell'”espressionista tedesco” (anti realista) e un film di “fantascienza.” Oggi, mentre osserviamo il dissolversi dell’effimera saga sull’apocalisse virale del Covid19, cercheremo di appurare se la trama di Metropolis sia veramente anti-realista. Guardare il film quasi un secolo dopo la sua realizzazione porta ad alcune sconcertanti considerazioni esistenziali.
di Gilad Atzmon
Guy Van Stratten il .
Il contagio si rivela con un annientamento cerebrale generato dal consumo indiscriminato e acritico di fronte al martellamento mediatico che accompagna ogni tipo di notizie che si affastellano le une sulle altre e che non riusciamo a percepire con il dovuto distacco critico. L’abulia, la spersonalizzazione, la meccanicità dei movimenti e l’apatia sono caratteristiche anche della raffigurazione cinematografica dello zombie, presente sugli schermi da quasi novant'anni. Una ragione c'è.
L’abulia, la spersonalizzazione, la meccanicità dei movimenti e l’apatia sono caratteristiche anche della successiva raffigurazione cinematografica dello zombie: è soprattutto George A. Romero a offrircene l’immagine più pregnante con la sua trilogia composta da La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead, 1968), Zombi (Down of the Dead, 1978) e Il giorno degli zombi (Day of the Dead, 1985). Lo zombie, a partire dal cinema di Romero, si trasforma in un “semi-vivente” che non agisce sotto l’influsso malefico di uno stregone ma si muove autonomamente senza una ragione ben definita.
Una figura di questo tipo, se pensiamo che nasce proprio da credenze popolari che la rivestivano di connotazioni di schiavitù e di assoggettamento al potere di uno stregone, può rimandare alla figura dell’essere umano assoggettato a una nuova forma di schiavitù all’interno della società capitalistica, quella del lavoro. Lo zombie haitiano si configura come una perfetta macchina da lavoro.
Gli zombie del folklore, secondo Rocco Ronchi, si possono considerare quasi come la rappresentazione della nozione marxiana di forza-lavoro:
“Non sono definiti da nessun’altra caratteristica se non dalla capacità astratta di lavorare per produrre valore. Non pensano, non parlano, non socializzano, non hanno una vita privata, neppure quella residuale che era concessa al proletariato inglese della prima rivoluzione industriale”. Essi sono pura forza-lavoro: immagine dello schiavo, dell’essere umano sfruttato dal colonialismo occidentale e, successivamente, dell’operaio moderno, macchinario egli stesso all’interno della catena di montaggio, sfruttato dal sistema capitalistico.
Il lavoratore, comunque, all’interno di questo sistema, deve anche necessariamente configurarsi come consumatore: ecco che la figura dello zombie può rimandare all’incontrollata abulia del consumo.
In Zombi di Romero vediamo infatti un gruppo di zombie che assaltano un supermercato richiamati, pare, dall’istinto al consumo che possedevano da vivi. Il consumatore di merci abulico e bulimico, preda della pubblicità mediatica, che fa code chilometriche fin dall’alba per accaparrarsi l’ultimo modello di smartphone, si configura esattamente come uno zombie.
La bulimia dello zombie, il quale non mangia per nutrirsi ma semplicemente per continuare a farlo in una reiterazione pressoché infinita, rimanda poi alla produzione di merce all’interno del sistema capitalistico che domina la società contemporanea.
Uno smartphone o un PC, infatti, dopo pochi mesi è subito sostituito da un nuovo modello (‘zombificazione’ della produzione) mentre i soliti consumatori faranno la fila per acquistarlo gettando via il loro vecchio modello anche se acquistato pochi mesi prima (‘zombificazione’ del consumo).
Come ribadisce Robert Kurz, un produttore può produrre indifferentemente torte al cioccolato, ordigni nucleari o scavare buche per poi riempirle: tutto ciò non è importante, ciò che conta è solo l’astratto interesse monetario.
Vincitore è perciò chi sperpera forza-lavoro e materiale manifestando la massima indifferenza per i propri prodotti, creando la maggior quantità possibile di valore. Kurz nota inoltre che nel capitalismo occidentale come nell’economia di stato sovietica venivano e vengono prodotte inutili “cattedrali nel deserto”, infrastrutture la cui costruzione si prolunga all’infinito e senza una precisa finalità come, per citare un caso vicino a noi, la realizzazione della TAV in Val di Susa: la sua progressiva costruzione è mossa da una logica capitalistica legata un sistema che non guarda in faccia a niente e a nessuno, tanto meno alla natura; un sistema che, come uno zombie, procede abulico e apatico per la sua strada senza minimamente riflettere sulle conseguenze che provocherebbe un tale scempio naturale. Questo non vale solo per la TAV ma per molte altre “grandi opere” nonché per tutti i progetti di realizzazione di rigassificatori, inceneritori e discariche.
Inoltre, come è stato notato da Martino Doni e Stefano Tomelleri nel loro interessante saggio, la figura dello zombie, non essendo identificato come individuo, può rimandare ad una idea di massa indifferenziata: nella fattispecie, a come sono mostrati e percepiti i migranti che vengono bloccati alle porte dei paesi occidentali.
I migranti bloccati ai confini della fortezza Europa sono rappresentati dai media (e percepiti dagli spettatori) come una massa indistinta: disumanizzati, vengono fatti apparire come un gruppo di zombie e di automi che si spostano meccanicamente, senza un vero motivo e senza una vera logica, perdendo la loro connotazione di esseri umani in fuga da guerre, carestie e stragi. Oppure, vengono rappresentati come una massa indistinta affollata su fragili barconi e, appunto, come zombie possono essere bloccati o eliminati senza alcun problema.
La ‘zombificazione’ del sistema delle informazioni, il quale a sua volta ha trasformato i fruitori in tanti zombie, ‘zombifica’, se così si può dire, tanti esseri umani che si muovono in cerca di condizioni di vita migliori. Solo con questa ‘zombificazione’ generalizzata si può spiegare l’indifferenza con la quale i migranti, esseri umani bisognosi di immediate cure mediche, vengono respinti o bloccati sulle navi in balia del mare in tempesta.
C’è un recente film che mostra, in modo interessante, come gli immigrati siano sottoposti a un fenomeno di trasformazione in zombie da parte dei social network e dei telegiornali: si tratta di Go Home – A casa loro (2018) di Luna Gualano.
Le prime immagini del film mostrano alcuni manifestanti di estrema destra che protestano di fronte a un centro per accoglienza di immigrati (ricostruito nel centro sociale Intifada di Roma); dalla parte opposta, alcuni giovani manifestano invece a favore del centro: improvvisamente, il contagio zombie investe tutti, arriva come una malattia che non fa distinzione, come una sorta di assuefazione acritica alle più svariate problematiche, anche gravi, che percorrono la società contemporanea.
Infine, la figura dello zombie, oltre a tutte le caratteristiche abuliche e omologanti fin qui elencate, può assumere anche connotazioni antisistemiche e sovversive.
Come nota sempre Gioacchino Toni, “il potenziale antisistemico dello zombie può essere ravvisabile anche nella sua radicale e anticapitalistica inoperosità”. Infatti, “lo zombie, da Romero in avanti, è in grado di distruggere l’ordine esistente trasformando individui attivi e produttivi in ‘bighellonatori’ trasandati”.
Lo zombie, perciò, oltre che al lavoratore reso schiavo dalle dinamiche capitalistiche, può rimandare anche a un personaggio ozioso che bighellona e se ne va in giro senza alcuna meta, una figura indubbiamente molto più simpatica che sembra uscita dalle pagine del Diritto alla Pigrizia di Paul Lafargue.
L’immagine preponderante che lo zombie ha trasmesso all’immaginario collettivo è comunque quella di un essere apatico e abulico, una sorta di automa che si muove in modo meccanico senza alcuna volontà o finalità.
È proprio per questo che la metafora più significativa a cui può rimandare la figura dello zombie, oggi, è quella di una umanità che progressivamente si sta disumanizzando, resa schiava e abulica dal consumo incessante dei media e degli audiovisivi all’interno del sistema capitalistico.
Una trasformazione contro la quale è doveroso e semplicemente umano opporsi.
Fonte: Codice rosso
Luisa Trojanis il .
La risacca della malasanità scandinava sovraccarica di malati si è abbattuta anche su queste terre di quiete turbando la serenità dei pochi abitanti che ci vivono. "Siate gentili l'uno con l'altro, prendetevi cura l'uno dell'altro", è il leitmotiv presente in molti dei post sui social degli svedesi. Facile da scrivere difficile da realizzare quando i medici scarseggiano,e i letti in ospedale pure.
Berlin89 magazine del Centro Studi Berlin89
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