Il Lesecafè che a Roma non c'è
Alzo gli occhi e mi ritrovo davanti a un Lesecafè (caffè con sala lettura) e così istintivamente entro consapevole di essere arrivato dove volevo, quasi per caso. Il locale è caldo e accogliente. Divani in pelle, tavolini in legno, scaffali alle pareti e tanti libri a disposizione dei clienti. Qui ognuno è libero di dare al tempo la durata che ritiene più opportuna e tutto appare come un invito a rallentare.
Mi siedo davanti a una vetrina che mi separa dal mondo esterno. Mentre guardo fuori prendo coscienza del profumo di cannella e ordino un Masala Chai, un the indiano speziato a base di the nero che nella sua versione originale viene servito con una goccia di latte e dei biscotti alle spezie tipici di questo periodo, i Gewürzplätzchen.
Mi allungo sullo scaffale più vicino e prendo un libro a caso. Me lo rigiro tra le mani: copertina rossa, brossura cucita e un sottile nastro dorato che pende tra le pagine. Lo sfoglio distrattamente, ma è a Berlino che penso perché cerco di percepirne il segreto come se questo segreto fosse scritto qui su questo volume dal titolo dorato.
L’Italia non è lontana, la sento dietro l’angolo, eppure mi chiedo perché è tanto distante. La “Fräulein” mi porta l’ordinazione. È elegante e gentile, perfettamente in armonia col luogo. Nei locali di solito c’è ospitalità, affabilità e cortesia. Comportamenti che noi italiani stentiamo a riconoscere nei tedeschi arroccati come siamo nei nostri luoghi comuni. Si parla tanto di questa Germania, di Berlino e delle possibilità accese qui come spente altrove. Rivedo i volti di coloro che ho incontrato, riascolto le loro voci che mi arrivano come attori sul palcoscenico di questa città. Quadri in controluce come i vetri di mosaico delle cattedrali mi hanno aiutato a fi ltrare la luce sbirciando nelle trasparenze della Berlino di oggi. Qui sulle strisce pedonali ci si ferma; ad attraversare il guado d’asfalto non si rischia di morire.
Le strade sono larghe, trafficate ma, inverosimilmente, silenziose. Gli ampi spazi verdi hanno sottratto al cemento ambienti dove esplodono le grida dei bimbi concentrati nei loro giochi sotto lo sguardo attento delle mamme. Nelle chiese i banchi sono imbottiti quasi come a voler prolungare le preghiere dei credenti e permettere loro di abbandonarsi nelle private litanie e nelle profonde rifl essioni esistenziali.
Le bollette si pagano anche il sabato, seguendo file scorrevoli e ordinate. I mezzi pubblici funzionano e sembrano costruiti per ricordarci che si può vivere anche senza possedere un’automobile. Capillari e puntuali gli autobus gialli a due piani arrivano ovunque e la società che li gestisce, la BVG, è in attivo al contrario della nostra ATAC romana.
Nessuno qui stampa biglietti falsi, e nelle metropolitane non ci sono tornelli d’ingresso per dimostrare la fi ducia che il sistema-paese ha nei confronti dei cittadini. La benzina è meno cara, l’autostrada non si paga e su alcuni tratti non ci sono limiti di velocità come a voler regalare agli automobilisti la possibilità di liberare sull’asfalto tutti i cavalli che hanno a disposizione; gli stessi automobilisti che, diligentemente, rispettano i limiti quando questi tornano a essere imposti.
La burocrazia esiste ma non è asfissiante e il sistema penalizza chi non si integra, ma, nello stesso tempo agevola chi ha avuto il coraggio di farlo e ha imparato bene la lingua. Insomma anche se non è vero che qui tutto funziona c’è la precisa consapevolezza di muoversi verso l’efficienza. Muoversi, è questo il segreto. Sfoderare la volontà. Una volontà di miglioramento continuo. Non abbiamo nulla da invidiare alla Germania, sia come popolo che come territorio, ma quello che da noi è un potenziale latente e dimenticato, qui viene continuamente espresso.
Gli obiettivi, sempre qui, vengono inseguiti e spesso raggiunti anche con il ragguardevole aiuto degli stranieri. Da noi scarseggiano le materie prime ma non ci mancano le capacità e l’intelligenza. Ci manca, invece, una coscienza di gruppo, di nazione. Per questo, forse, è come se fossimo sopiti sotto una spessa coperta di mediocrità o coccolati dal tepore delle nostre occasioni mancate.
Leopoldo Innocenti
Leopoldo Innocenti è un giornalista professionista che vive a Berlino. Ha collaborato con quotidiani italiani ed emittenti estere realizzando per la Rai numerosi documentari televisivi ma, soprattutto, lavorando come inviato speciale del Giornale Radio Rai. Ha viaggiato in tutto il mondo descrivendo i più svariati teatri di guerra: da Gerusalemme a Bagdad, da Nassiria a Kabul passando per Beirut e Damasco. È l'autore di "Auf Wiedersehen - Italia in fuga verso il futuro" Armando Editore, da cui è stato tratto il brano qui sopra pubblicato.