Sotto costo a ogni costo

Su Amazon e sugli altri suoi affannati imitatori, sono state condotte inchieste per denunciare i ritmi di lavoro ai quali sono sottoposti gli addetti alla movimentazione delle merci. L’efficienza e la velocità nella consegna sono all’origine di molti infortuni, anche assai seri, che in alcuni casi portano alla perdita del posto di lavoro.

Secondo gli attivisti di Attac, che com’è noto non amano nessuna espressione del modello neo-liberista contemporaneo, il Black Friday avrebbe dato un contributo notevole alle emissioni di gas serra. A partire da questa considerazione, necessariamente ipotetica, le manifestazioni di venerdì 29 novembre che, anche in Italia, hanno di nuovo visto scendere in piazza i giovani per chiedere l’intervento dei governi mondiali per contrastare il riscaldamento globale, si sono tradotte in un “Bloc Friday”.

In varie città d’Europa sono stati presi di mira i grandi magazzini (come Lafayette a Parigi e a Rennes) o i centri di smistamento di Amazon, il grande nemico. Pochi giorni prima, i giornali italiani riportavano i dati sul fatturato delle grandi compagnie che dominano il web (i cosiddetti Gafa: Google, Apple, Facebook e Amazon), segnalando gli utili e le tasse pagate nei diversi Paesi. E soprattutto quelle eluse.

black friday

 

Ma le accuse rivolte ad Amazon non si limitano a questo (o al grande tema dell’uso dei nostri dati).

Comprendono le condizioni di lavoro dei suoi dipendenti (dalla sicurezza, ai ritmi giornalieri e alla sorveglianza, alla retribuzione), lo stravolgimento del commercio (come leader dell’ecommerce mondiale Amazon è considerato il maggiore responsabile della chiusura di punti vendita fisici sul territorio di molti tipi di merce), gli impatti sull’occupazione (solo in Francia chi si oppone ad Amazon, che nel Paese impiega più di 9 mila addetti, sostiene che per ogni posto di lavoro creato ne vengano perduti due).

Al di là delle critiche che provengono dalle formazioni dell’anticapitalismo noglobal, molte informazioni sui diversi aspetti del gruppo guidato da Jeff Bezos sono disponibili ufficialmente o cominciano a trapelare grazie alle inchieste e alle ricerche che vengono via via condotte. 
Sono noti i volumi di affari, gli utili, le tasse pagate nei diversi Paesi e quelle non pagate (nel 2018 le aziende cosiddette WebSoft hanno sborsato complessivamente 17,6 miliardi di tasse, risparmiandone 5 grazie al ricorso a Paesi a fiscalità agevolata, 1,3 grazie alla riforma fiscale voluta da Trump e 6,3 per i crediti fiscali relativi alle attività di ricerca).

Si conosce il peso crescente sull’occupazione, che a livello globale vede Amazon primo datore di lavoro del settore, avendo dal 2014 al 2018 “più che quadruplicato il numero dei propri dipendenti, in parte grazie all’acquisizione di società minori, con 647 mila unità nel 2018”, di cui (dati Mediobanca) 4.608 in Italia. Un dato, questo, che l’azienda corregge al rialzo, prevedendo di chiudere il 2019 con “ulteriori 1.000 dipendenti a tempo indeterminato per raggiungere i 6.500 complessivi – che lavorano in 20 sedi diverse con tutti i livelli di esperienza, istruzione e competenze” (Ufficio Stampa Amazon Italia).

Diverse indagini sono state condotte sui magazzini Amazon, dove i nostri pacchetti vengono preparati per la spedizione.

La società di Jeff Bezos è stata al centro di molti attacchi, in Europa così come negli Stati Uniti. Anche in Italia i sindacati hanno messo in luce le condizioni di lavoro di centri come quello di Castel San Giovanni (sino a 400 mila colli movimentati al giorno, a seconda del periodo dell’anno, 110 all'ora in media per ciascun dipendente), nell’area piacentina della logistica, o in quello più recente e ad alta Eye 4robotizzazione di Passo Corese, vicino a Rieti (65 mila metri quadrati di superficie).

Sull’immenso magazzino californiano di Eastvale (un chilometro quadrato di estensione, uno dei 110 nei diversi Stati), presentato come una sorta di meraviglia di automazione, efficienza e velocità, sono state condotte inchieste per denunciare i ritmi di lavoro cui sono sottoposti gli addetti alla movimentazione delle merci. L’efficienza e la velocità nella consegna sono all’origine di molti infortuni, anche assai seri, che in alcuni casi portano alla perdita del posto di lavoro. La percentuale di incidenti definiti gravi secondo gli standard dell’Amministrazione federale per la sicurezza è stata di oltre quattro volte la media del settore: “Alla radice del successo di Amazon sembra stare il suo problema con gli infortuni e il ritmo di consegna vertiginoso garantito ai suoi clienti” (Will Evans per The Atlantic).                            

Come è evidente, il ritmo diventa particolarmente serrato e, dunque, pericoloso in occasione di picchi di traffico particolari, primi fra tutti il Black Friday che segue il Thanksgiving Day e i suoi tacchini arrosto e, naturalmente, le feste natalizie. Sono queste le settimane in cui, per rispondere alla domanda, si ricorre massicciamente al lavoro interinale e si aumenta la durata dei turni, che in alcuni casi diventano obbligatoriamente di 12 ore.

La società di Bezos in più occasioni si è vantata di condurre un rigoroso programma di addestramento dei propri addetti ai magazzini; l’immagine che ha cercato di darsi è quella di un’azienda all’avanguardia che cerca di ridurre il più possibile la fatica umana grazie al ricorso dei robot. L’ordine e la pulizia, la presenza di punti di controllo e di addetti alla sicurezza, contribuiscono a dare al visitatore l’idea di grande efficienza. Anche in Italia è possibile visitare i magazzini, previo appuntamento. E si resta ammirati dalle auto parcheggiate muso avanti per essere pronti a ripartire evitando il più possibile incidenti da manovra, quando si è (molto) stanchi dopo il lavoro.

Anche in Amazon, secondo quanto denunciato dai sindacati, sembra prevalere la logica ricattatoria che oggi domina molti rapporti di lavoro, nell’industria così come nei servizi (“se queste condizioni ti sembrano troppo dure non hai che da mollare, fuori c’è la fila di persone pronte a prendere il tuo posto a condizioni anche peggiori rispetto alle tue”). E, nonostante le precauzioni e le norme di sicurezza, in certi periodi i lavoratori per tenere il passo devono necessariamente prendersi dei rischi non previsti dal protocollo: “diversi ex lavoratori hanno affermato di dover infrangere le norme di sicurezza per stare al passo.

Saltano o si allungano per raggiungere uno scaffale particolarmente alto invece di usare una scala. Fanno movimenti forzati o si piegano malamente per afferrare le scatole invece di prendersi il tempo di accovacciarsi e rialzarsi sulle gambe. Sollevano da soli oggetti particolarmente pesanti per non perdere tempo a chiedere una mano.
Devono farlo, altrimenti rischiano di perdere il lavoro. La presenza dei robot non sembra ridurre i rischio: in cinque anni, da quanto sono stati introdotti i piccoli robot simili ad aspirapolveri circolari nella sede di Tracy, sempre in California, il tasso di infortuni gravi registrato è passato dal 2,9% all’11,3%. Il ritmo sembrano darlo loro agli umani, e non viceversa.

Ma l’impero di Bezos sembra non temere crisi.

Ogni volta che Amazon deve aprire un nuovo centro logistico lancia una vera e propria gara, cui concorrono i diversi territori.
Nel settembre di due anni fa, quando ha annunciato l’intenzione di aprire un secondo quartier generale dopo Seattle, si sono subito candidati lo Stato dell’Indiana e quello della Virginia, offrendo non solo i terreni e le infrastrutture ma anche, nel caso di Arlington 550 milioni di dollari e un eliporto; mentre dal Delaware, il piccolo Stato confinante con New York, venivano offerti 6 miliardi e mezzo di incentivi fiscali. Difficile resistere al miraggio di 50 mila nuovi posti di lavoro per qualsiasi pubblico amministratore.

Nonostante tutto, il legame tra velocità per la soddisfazione del cliente e rischio per il lavoratore non sembra intaccare lo spirito cu cui tutta la filosofia Amazon si muove, tanto da far annunciare a Bezos il dimezzamento dei tempi di consegna per i clienti Prime: “Customers love the transition of Prime from two days to one day: they’ve already ordered billions of items with free one-day delivery this year”.

Dopo il Black Friday, osteggiato da qualcuno nelle piazze e celebrato da milioni con acquisti davanti a uno smartphone o a un computer (rispetto al 2018 si stima un incremento dei volumi di spesa del 23%, con punte del 50% per l’ecommerce; a Parigi dal milione di pacchi consegnati in un giorno si è passati a due milioni e mezzo, 10 volte la media giornalie), è l’ora del Cyber Monday, un’altra occasione per non rinunciare all’impedibile “sottocosto”.

Ma dietro a ogni sottocosto, non solo su Amazon ma su tutta la Gdo, spesso c’è un sottosalario o forme di lavoro che fanno sì che qualcuno la differenza di prezzo la paghi in prima persona: per l’ambiente di lavoro, per la sicurezza, per il tipo di contratto. Senza falsi moralismi, forse è bene tenerlo a mente.

 

Bruno Simili

Bruno Simili è vicedirettore della rivista "il Mulino" dal 2012. Ha scritto per "Il Messaggero", "Il Piccolo", "la Repubblica ed. Bologna". Per il Mulino, ha curato tra l'altro il volume di Edmondo Berselli, L'Italia, nonostante tutto (2011) e Viaggio in Italia. Racconto di un paese difficile e bellissimo (con G. Viesti, 2017).

Fonte: il Mulino

Illustrazione: Carolyn Figel

 

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