Siamo contagiati dalla 'zombificazione' malattia che non fa distinzioni

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Il  contagio si rivela con  un annientamento cerebrale generato dal consumo indiscriminato e acritico di fronte al martellamento mediatico che accompagna ogni tipo di notizie che si affastellano le une sulle altre e che non riusciamo a percepire con il dovuto distacco critico. L’abulia, la spersonalizzazione, la meccanicità dei movimenti e l’apatia sono caratteristiche anche della raffigurazione cinematografica dello zombie, presente sugli schermi da quasi novant'anni. Una ragione c'è.

 

zombi 44Lo zombie (Down of the Dead,1978) del regista George Romero rispecchia l’immagine di un essere umano del tutto privo di spirito critico, che si lascia abbindolare dalle pubblicità e dalle attrazioni consumistiche. (Nella foto una scena del film)

La figura dello zombie, come quella del vampiro, fa ormai indelebilmente parte dell’immaginario collettivo.
Come nota Gioacchino Toni, la sua fortuna è dovuta “alle sue indubbie capacità di metamorfosi che le hanno consentito di mettere in scena le ansie, le paure e le speranze del momento”. È soprattutto il cinema ad aver rivestito lo zombie di una posizione di rilievo fra altre figure legate all’immaginario collettivo.
Esso trova però le sue origini all’interno del folklore haitiano: secondo le credenze del luogo, infatti, alcuni sacerdoti detti bokor sarebbero in grado di catturare una parte dell’anima e rinchiuderla in una piccola fiasca. Il rito produrrebbe nella vittima uno stato di letargia molto simile alla morte.
Ai bokor spetterebbe poi la decisione di resuscitare la vittima, anche dopo diversi anni dalla sepoltura, restituendole una piccola parte dell’anima sottratta, quel tanto che basta per renderla uno schiavo abulico. Quello che si può considerare come il primo film sugli zombie, L’isola degli zombie (White zombie, 1932) di Victor Halperin, mostra infatti la figura di uno stregone (Bela Lugosi) che esercita il suo potere su una manodopera di schiavi drogati.  

L’abulia, la spersonalizzazione, la meccanicità dei movimenti e l’apatia sono caratteristiche anche della successiva raffigurazione cinematografica dello zombie: è soprattutto George A. Romero a offrircene l’immagine più pregnante con la sua trilogia composta da La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead, 1968), Zombi (Down of the Dead, 1978) e Il giorno degli zombi (Day of the Dead, 1985). Lo zombie, a partire dal cinema di Romero, si trasforma in un “semi-vivente” che non agisce sotto l’influsso malefico di uno stregone ma si muove autonomamente senza una ragione ben definita.

Una figura di questo tipo, se pensiamo che nasce proprio da credenze popolari che la rivestivano di connotazioni di schiavitù e di assoggettamento al potere di uno stregone, può rimandare alla figura dell’essere umano assoggettato a una nuova forma di schiavitù all’interno della società capitalistica, quella del lavoro. Lo zombie haitiano si configura come una perfetta macchina da lavoro.

Gli zombie del folklore, secondo Rocco Ronchi, si possono considerare quasi come la rappresentazione della nozione marxiana di forza-lavoro:

“Non sono definiti da nessun’altra caratteristica se non dalla capacità astratta di lavorare per produrre valore. Non pensano, non parlano, non socializzano, non hanno una vita privata, neppure quella residuale che era concessa al proletariato inglese della prima rivoluzione industriale”. Essi sono pura forza-lavoro: immagine dello schiavo, dell’essere umano sfruttato dal colonialismo occidentale e, successivamente, dell’operaio moderno, macchinario egli stesso all’interno della catena di montaggio, sfruttato dal sistema capitalistico.  

Il lavoratore, comunque, all’interno di questo sistema, deve anche necessariamente configurarsi come consumatore: ecco che la figura dello zombie può rimandare all’incontrollata abulia del consumo.

In Zombi di Romero vediamo infatti un gruppo di zombie che assaltano un supermercato richiamati, pare, dall’istinto al consumo che possedevano da vivi. Il consumatore di merci abulico e bulimico, preda della pubblicità mediatica, che fa code chilometriche fin dall’alba per accaparrarsi l’ultimo modello di smartphone, si configura esattamente come uno zombie.

In questo caso, la metafora rispecchia l’immagine di un essere umano del tutto privo di spirito critico, che si lascia abbindolare dalle pubblicità e dalle attrazioni consumistiche.
La mancanza di spirito critico, però, non rimanda solamente al consumo di beni ma anche al consumo di notizie.
Se non disponiamo di un senso critico e della capacità di ragionare, di fronte al martellamento mediatico che accompagna ogni tipo di notizia, nella loro fruizione ci configuriamo veramente come una massa di zombie.
Di fronte a una notizia che riguarda la politica o lo sport, o un attentato terroristico, fino a quella che informa sulla diffusione del coronavirus (e ricordiamo che la diffusione degli zombie avviene proprio per contagio, come una malattia), spesso, lo spettatore della televisione o il lettore di giornali e blog si dispone in modo abulico come se fosse un vero e proprio zombie. Ma questo atteggiamento può essere benissimo assunto anche di fronte ai social network o ai videogiochi.  

La bulimia dello zombie, il quale non mangia per nutrirsi ma semplicemente per continuare a farlo in una reiterazione pressoché infinita, rimanda poi alla produzione di merce all’interno del sistema capitalistico che domina la società contemporanea.

Uno smartphone o un PC, infatti, dopo pochi mesi è subito sostituito da un nuovo modello (‘zombificazione’ della produzione) mentre i soliti consumatori faranno la fila per acquistarlo gettando via il loro vecchio modello anche se acquistato pochi mesi prima (‘zombificazione’ del consumo).

Come ribadisce Robert Kurz, un produttore può produrre indifferentemente torte al cioccolato, ordigni nucleari o scavare buche per poi riempirle: tutto ciò non è importante, ciò che conta è solo l’astratto interesse monetario.

Vincitore è perciò chi sperpera forza-lavoro e materiale manifestando la massima indifferenza per i propri prodotti, creando la maggior quantità possibile di valore. Kurz nota inoltre che nel capitalismo occidentale come nell’economia di stato sovietica venivano e vengono prodotte inutili “cattedrali nel deserto”, infrastrutture la cui costruzione si prolunga all’infinito e senza una precisa finalità come, per citare un caso vicino a noi, la realizzazione della TAV in Val di Susa: la sua progressiva costruzione è mossa da una logica capitalistica legata un sistema che non guarda in faccia a niente e a nessuno, tanto meno alla natura; un sistema che, come uno zombie, procede abulico e apatico per la sua strada senza minimamente riflettere sulle conseguenze che provocherebbe un tale scempio naturale. Questo non vale solo per la TAV ma per molte altre “grandi opere” nonché per tutti i progetti di realizzazione di rigassificatori, inceneritori e discariche.  

Inoltre, come è stato notato da Martino Doni e Stefano Tomelleri nel loro interessante saggio, la figura dello zombie, non essendo identificato come individuo, può rimandare ad una idea di massa indifferenziata: nella fattispecie, a come sono mostrati e percepiti i migranti che vengono bloccati alle porte dei paesi occidentali.

I migranti bloccati ai confini della fortezza Europa sono rappresentati dai media (e percepiti dagli spettatori) come una massa indistinta: disumanizzati, vengono fatti apparire come un gruppo di zombie e di automi che si spostano meccanicamente, senza un vero motivo e senza una vera logica, perdendo la loro connotazione di esseri umani in fuga da guerre, carestie e stragi. Oppure, vengono rappresentati come una massa indistinta affollata su fragili barconi e, appunto, come zombie possono essere bloccati o eliminati senza alcun problema.

La ‘zombificazione’ del sistema delle informazioni, il quale a sua volta ha trasformato i fruitori in tanti zombie, ‘zombifica’, se così si può dire, tanti esseri umani che si muovono in cerca di condizioni di vita migliori. Solo con questa ‘zombificazione’ generalizzata si può spiegare l’indifferenza con la quale i migranti, esseri umani bisognosi di immediate cure mediche, vengono respinti o bloccati sulle navi in balia del mare in tempesta.

C’è un recente film che mostra, in modo interessante, come gli immigrati siano sottoposti a un fenomeno di trasformazione in zombie da parte dei social network e dei telegiornali: si tratta di Go Home – A casa loro (2018) di Luna Gualano.

Le prime immagini del film mostrano alcuni manifestanti di estrema destra che protestano di fronte a un centro per accoglienza di immigrati (ricostruito nel centro sociale Intifada di Roma); dalla parte opposta, alcuni giovani manifestano invece a favore del centro: improvvisamente, il contagio zombie investe tutti, arriva come una malattia che non fa distinzione, come una sorta di assuefazione acritica alle più svariate problematiche, anche gravi, che percorrono la società contemporanea.

La ‘zombificazione’ giunge come una abulia da social network, come un annientamento cerebrale generato dal consumo indiscriminato e acritico di sempre nuove notizie che si affastellano le une sulle altre e che non riusciamo a percepire con il dovuto distacco critico.
Sia i manifestanti che gli immigrati, progressivamente, vengono tutti trasformati in zombie. L’unica arma di difesa, alla fine, sembra essere la lotta: mentre sui corpi dei giovani immigrati, asserragliati all’interno del centro e in balia degli zombie che li assediano, si dispiegano le note de Il galeone, probabilmente riemerge la possibilità di lottare per un futuro migliore.  

Infine, la figura dello zombie, oltre a tutte le caratteristiche abuliche e omologanti fin qui elencate, può assumere anche connotazioni antisistemiche e sovversive.

Come nota sempre Gioacchino Toni, “il potenziale antisistemico dello zombie può essere ravvisabile anche nella sua radicale e anticapitalistica inoperosità”. Infatti, “lo zombie, da Romero in avanti, è in grado di distruggere l’ordine esistente trasformando individui attivi e produttivi in ‘bighellonatori’ trasandati”.

Lo zombie, perciò, oltre che al lavoratore reso schiavo dalle dinamiche capitalistiche, può rimandare anche a un personaggio ozioso che bighellona e se ne va in giro senza alcuna meta, una figura indubbiamente molto più simpatica che sembra uscita dalle pagine del Diritto alla Pigrizia di Paul Lafargue.  

L’immagine preponderante che lo zombie ha trasmesso all’immaginario collettivo è comunque quella di un essere apatico e abulico, una sorta di automa che si muove in modo meccanico senza alcuna volontà o finalità.

È proprio per questo che la metafora più significativa a cui può rimandare la figura dello zombie, oggi, è quella di una umanità che progressivamente si sta disumanizzando, resa schiava e abulica dal consumo incessante dei media e degli audiovisivi all’interno del sistema capitalistico.

Una trasformazione contro la quale è doveroso e semplicemente umano opporsi.

Fonte: Codice rosso

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