— I Dossier di Berlin89
L’Europa paga la guerra di Trump all’Iran
La decisione del presidente Trump di stoppare totalmente l’import di greggio dall’Iran, con il mancato rinnovo delle esenzioni waivers a otto paesi, Italia inclusa, si traduce in un altro giro di vite per la popolazione iraniana stremata dalla gravissima crisi economica, che ha ridotto le possibilità di acquisto e ha innalzato il costo della vita.
Come se non bastasse, l’Iran ha dovuto affrontare una serie di inondazioni catastrofiche. Tuttavia, l’amministrazione Trump, diversamente dall’Europa e dalla Francia, non solo si è rifiutata di fornire il minimo aiuto umanitario, ma ha stretto la morsa proprio mentre il paese stava attraversando un momento di difficoltà. È un esempio tra i tanti dell’accanimento con cui gli Stati Uniti premono sul paese dell’Aytollah, ignorando i continui richiami alla ragionevolezza dell’Unione Europea.
Le sanzioni all'Iran hanno messo in crisi le aziende europee protagoniste di primo piano nella realizzazione dei grandi progetti petroliferi e gasiferi ora congelati. Penalizzati in modo particolare Italia e Germania i maggiori partner in assoluto della repubblica degli Ayatollah.
Donald Trump ha alcune ossessioni tra cui l’Iran
La Casa Bianca è allineata all’asse formato da Israele e Arabia Saudita, due paesi decisi a far cadere il regime iraniano, ognuno per le proprie ragioni.
L’obiettivo dell'amministrazione americana è quello di “portare a zero l’export” di petrolio, il quale rappresenta il 40 per cento dei ricavi nel bilancio della Repubblica islamica dell’Iran. Infatti, da quando Trump nel maggio 2018 ha annunciato l’uscita degli Usa dall’accordo nucleare, un milione e mezzo di barili di petrolio iraniano non sono più mercato. Il Dipartimento di Stato stima che le sanzioni unilaterali decise dagli Usa abbiano ridotto gli introiti petroliferi all’Iran di oltre 10 miliardi di dollari. Naturalmente, non rivela che le sanzioni penalizzano l’Europa e in modo particolare l’ Italia e la Germania, i maggiori partner commerciali in assoluto della repubblica degli Ayatollah.
Dopo le sanzioni di Trump contro l'Iran c’era il rischio concreto che il paese degli Ayatollah abbandonasse il compromesso indebolito e riprendesse la sua marcia verso l’atomica. I firmatari europei dell’accordo – Francia, Regno Unito, Germania e commissione europea – hanno convinto Teheran a non compiere l’irreparabile e hanno promesso di fare tutto il possibile per tenere aperti i flussi commerciali con l’Iran.
La giustificazione ufficiale dell’amministrazione americana secondo la quale con le sanzioni si contiene il terrorismo è pretestuosa. Si tenga a mente che i terroristi islamici sono pressoché tutti di matrice sunnita e costituiscono un comune nemico di Stati Uniti e dell’Iran sciita, come dimostra il fatto che i due Paesi hanno combattuto, fianco a fianco, contro l’Isis nella battaglia per la riconquista di Mosul in Iraq.
Dopotutto gli americani son ancora pervasi dal desiderio di vendetta per la cosiddetta “crisi degli ostaggi” di quarant’anni fa, uno degli eventi che più ha condizionato i rapporti tra l’ Iran e gli Stati Uniti, proprio perché (finora) essi non hanno potuto punire gli iraniani come avrebbero voluto.
L’Iran viene generalmente presentato come la culla dell’eresia più vistosa dell’ecumene islamica, lo shi‘ismo. Non è così. Lo shi‘ismo, vale a dire quel ramo dell‘islam che trova il suo referente principale nella discendenza di ‘Ali, il quarto califfo, sia in termini politici/dinastici che religiosi è fenomeno prevalentemente arabo.
L’Islam pacifico, tollerante e orientato in senso sociale, era considerato una minaccia, almeno da Londra, Washington e Parigi. Doveva essere fermato, anche distrutto, risolutamente e con tutti i mezzi disponibili. Soltanto al Wahhabismo, pre-approvato e ‘coprodotto’ dall’Impero Britannico, fu scelto e gli si permise di ‘fiorire e avere successo’.
Washington dichiara pure che la propria politica di “massima pressione” è destinata a colpire la classe dirigente, ma nella realtà dei fatti essa provoca un effetto “rally around the flag”, ovvero un compattamento degli iraniani attorno alla propria bandiera.
La reazione “rally around the flag” è confortante per i Paesi più colpiti dall’appesantimento delle sanzioni come lo sono la Turchia, l’India, la Cina, la Corea del Sud, il Giappone,e una buona parte di quelli europei i quali dipendono significativamente dal petrolio iraniano. Colpire economicamente questi Paesi non dovrebbe rientrare nell’interesse strategico degli Stati Uniti. Poiché la Turchia è nella Nato, ed è un protagonista di primo piano in Medio Oriente. L’India è una democrazia filooccidentale che nella strategia americana dovrebbe porsi come un argine al predominio asiatico della Cina. A loro volta, il Giappone e la Corea del Sud sono alleati storici e strategicamente importanti per gli Stati Uniti. Il loro contributo è decisivo per raggiungere un accordo col regime di Pyongyang. Infine, c’è l’esigenza americana di mantenere buoni rapporti con l’Europa per garantire le proprie esportazioni.
Tuttavia Trump non desiste dall’imporre le “più severe sanzioni della storia umana”, come le ha entusiasticamente definite il segretario di stato Mike Pompeo. L’obiettivo sarebbe un “regime change”. L’intento sarebbe quello di affamare il popolo iraniano inducendolo, con qualche “aiutino” dall’esterno, a rovesciare il governo degli ayatollah. Come accadde - con protagonisti diversi – con il governo iraniano nel 1953.
È una strategia mediatica complessa quella di Washington contro la Repubblica islamica. Da quando Trump è alla Casa Bianca la macchina di propaganda degli USA, si è messa al lavoro diffondendo programmi e trasmissioni on line su quanto fosse meraviglioso la vita ai tempi dello scià.
Due settimane fa con non poco clamore, gli Stati Uniti – per la prima volta nella storia – hanno inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche un’unità militare regolare, come lo sono i Pasdaran, i Guardiani della rivoluzione islamica che rispondono direttamente alla Guida Suprema Ali Khamenei.
Una mossa simbolica più che pratica, contro i Guardiani (protagonisti di primo piano nel tessuto socio-politico-economico e culturale dell’Iran), che ha ridato nuova energia ai circoli più conservatori della politica iraniana, che si sostiene con le proteste per il carovita e le rivendicazioni economico-sociali dei suoi cittadini.
Attualmente le esportazioni complessive da Teheran sono di un milione di barili al giorno (secondo i dati Refinitiv Eikon, forniti dalla Reuters), ossia meno della metà di quelle dell’aprile del 2018, il mese prima di quando Donald Trump annunciò il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo raggiunto dal suo predecessore Obama nel 2015, per congelare il programma nucleare della Repubblica islamica.
A seguito della rivoluzione popolare dell’11 febbraio 1979 nacque la Repubblica Islamica dell’Iran, ora è una “signora quarantenne” che vive in un momento di grande malessere, pressata com’è dalle sanzioni internazionali e dalle proteste nazionali.
L' Ayatollah Khamenei non potrà più condividere le fotogafie. La guerra globale dell'informazione scatenata da Facebook in ossequio a Trump ha falciato i più importanti funzionari del governo iraniano che sono stati oscurati da Instagram poche ore dopo che Trump aveva soprannominato l'IRGC. i Pasdaran un'organizzazione "terrorista".
Washington è determinata nella politica di pressione e la sorregge con il petrolio. “D’ora in avanti nemmeno una goccia potrà lasciare il territorio iraniano, pena pesanti sanzioni contro il paese importatore” ha sentenziato Trump, il quale fa leva sulla potenza degli Stati Uniti e sulla loro capacità di schiacciare tutti i paesi che la pensano diversamente.
Naturalmente, i danni provocati dall’ appesantimento delle sanzioni sono penalizzanti per le aziende europee. Né l’UE pur ricorrendo agli incentivi, sarà in grado di convincere le società con sede sul suo territorio a violare le sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Alcuni funzionari europei intervistati dal New York Times hanno risposto con non poco ottimismo che l’Europa riuscirà tra il 20 e il 30 per cento dell’attuale volume di commercio con l’Iran. Dunque bruttissimi tempi per la Germania e l’Italia già dolorante di suo.
Nel frattempo gli iraniani, cercano di mantenere un flusso accettabile di esportazioni verso i paesi asiatici, con la non ultima speranza che Cina e Russia voltino definitamente le spalle al dollaro.
È la domanda che un iraniano come lo è l'autore di questo saggio si pone sull' atteggiamento di resa dell' Unione europea di fronte alle sanzioni all'Iran del presidente Trump.
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