Il "fascismo del corpo" affligge i gay
Così è definita tra i maschi gay l'ossessione per il corpo perfetto e muscoloso assieme a una giovinezza estetica perenne. Da qualche anno a questa parte si parla anche di body positivity, di accettazione delle proprie forme, della propria magrezza o pinguedine. È una rivoluzione culturale che ha bisogno di tempo ma che comincia a mostrare i primi risultati tra mille e uno disagi esitenziali.
Era il 1997 quando Michelangelo Signorile, giornalista e attivista LGBTQI, aveva provocatoriamente parlato di “fascismo del corpo”. Lo aveva fatto in un libro (Life Outside:The Signorile Report on Gay Men: Sex, Drugs, Muscles, and the Passages of Life) che è stato uno dei primi tentativi di raccontare la comunità gay dall’interno, attraverso centinaia di interviste a ragazzi omosessuali di grandi città e piccoli paesini d’America.
La tesi di Signorile, provocatoria e coraggiosa, era che la nuova cultura dei maschi gay fosse stata contaminata da un’ossessione per l’abbronzatura, i muscoli, una giovinezza estetica perenne. Era questo, secondo Signorile, il “fascismo del corpo” che aveva permeato di sé la cultura gay americana. Da noi, all’epoca, la situazione era molto diversa. Continuiamo a combattere per la visibilità e i diritti fondamentali nel 2020, figuriamoci nel 1997. Ma il “fascismo del corpo” postulato da Signorile è arrivato comunque, anche con qualche anno di ritardo.
L’ossessione per il corpo perfetto e muscoloso in larghi strati della comunità omosessuale italiana è evidente. Certo, nessuno vuole generalizzare e siamo consapevoli che come ogni comunità, nemmeno quella gay è un monolito e che è composta di individualità, ciascuna diversa dall’altra. Ma sarebbe ipocrita negare che la ricerca di un corpo perfetto sia andata ben al di là di una rispettabile e persino condivisibile volontà di essere sani e in forma.
Negli ultimi anni, a differenza della fine degli anni Novanta, si parla parecchio (e per fortuna) di body positivity, di accettazione delle proprie forme, della propria magrezza o pinguedine. È una rivoluzione culturale che ha bisogno di tempo ma che comincia a mostrare i primi risultati. Peccato, però, che ancora troppe volte si continui a predicare bene e razzolare male. L’ossessione gay per il muscolo, o quantomeno per una pressoché perfetta tonicità, è poi stata incentivata a dismisura dai social media e dalle tante app che ci aiutano a incontrare l’anima gemella (più spesso il compagno di una notte di divertimento).
Siamo in vetrina 24/7, esponiamo il nostro corpo per bisogno di conferme, per combattere insicurezze o anche soltanto per legittima vanità. È una scelta, la nostra. E come tale va rispettata. Nessuno può arrogarsi il diritto di criticare. In fondo il corpo è nostro e ci facciamo ciò che vogliamo. Ma se non fosse davvero una scelta consapevole? Se fosse la reazione involontaria a una richiesta di “mercato”? Vogliamo davvero che il nostro corpo sia sano e rigoglioso o è solo che ci adeguiamo al pensiero unico, ai canoni estetici maggioritari, al “fascismo del corpo” postulato da Signorile?
Visto che chi scrive non è mai stato tonico e tantomeno muscoloso, la favola della volpe e l’uva è dietro l’angolo. “Quam tangere ut non potuit, discedens ait: Nondum matura est, nolo acerbam sumere”. E invece no. Anzi. Pur non essendo un figurino, pur avendo combattuto per tutta la mia vita contro i chili di troppo, pur essendo oggi un ex obeso ancora sovrappeso e flaccido, io un corpo perfetto, dei bicipiti che slabbrano le maniche di una tshirt, delle cosce tanto gonfie da non trovare mai un jeans che calzi bene li vorrei eccome. Io credo di essere stato vittima del fascismo del corpo e carnefice allo stesso tempo. Perché cerco negli altri esattamente quello che gli altri non trovano in me. Mi indigno quando pago le conseguenze del pensiero unico, salvo poi utilizzare lo stesso metodo quando a scegliere sono io.
È un circolo vizioso di tossico culto del corpo e di un canone estetico che giocoforza è appannaggio di una esigua minoranza, mentre la gran parte dei gay continua ad affannarsi per tutta la vita all’inseguimento di qualcosa che non otterrà mai. Ed è lì che partono i problemi veri, i disturbi alimentari (da anni in crescita all’interno della comunità gay), le insicurezze croniche, la dismorfofobia, i disagi esistenziali di una comunità già resa vulnerabile da un clima ostile e dalle tante, troppe battaglie che ancora restano da vincere.
Fonte: Queer Magazine
Domenico Naso. Giornalista professionista e autore televisivo. Laurea in Scienze della Comunicazione con tesi sul folklore di Pasqua in Calabria, è originario della piana di Gioia Tauro, dal 1998 .Ha scritto per Vanity Fair e ha un blog su Il Fatto Quotidiano.