Quanto dobbiamo sentirci in colpa per essere andati in vacanza?

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«Mi sono spesso chiesto cosa si provi a lavorare in un’industria responsabile del riscaldamento globale, come l’estrazione petrolifera o l’allevamento di bestiame. Poi mi sono reso conto che ne faccio parte anch’io». 

vacanza

A scrivere è il travel writer del New York Times, Seth Kugel. Sì certo, ha sempre saputo delle enormi emissioni prodotte dagli aerei su cui viaggia, ma dentro di sé ha sempre dato la responsabilità alle compagnie e al combustibile fossile. Ma ora che il movimento «Flight shaming», vergogna per chi vola, ha preso piede dalla Svezia al resto d’Europa, la colpa sembra essersi spostata sui viaggiatori.

Urge quindi un momento di riflessione: la nostra vacanza estiva sta distruggendo il pianeta? Il senso di colpa aumenta se si considera che non si tratta solo del volo, ma anche del fatto che si contribuisce al degrado ambientale e sociale delle mete più gettonate e affollate di turisti.

«Ok — si chiede Kugel — quanto dobbiamo sentirci davvero in colpa?». È vero che quella singola andata e ritorno sarà probabilmente il nostro singolo maggior contributo all’inquinamento dell’intero anno, ma la vergogna non è il sentimento giusto.

Piuttosto, pensiamo a cosa possiamo fare. Innanzitutto premere sui governi per nuove regole ambientali, così come parlare di questi temi in famiglia e con amici. Poi sostenere ricerche e candidati che abbiano a cuore l’argomento.

Ma questo non significa che le scelte del singolo consumatore non contino: quando si può, meglio prendere il treno. Il viaggio sarà più lungo, ma anche più ricco.

Evitare mete sovraffollate: oltre a ridurre l’impatto ambientale si scopriranno culture e persone più genuine perché più bendisposte con i turisti. Infine, premiare le compagnie aeree più virtuose e che siano più green. Molti di questi consigli renderanno i viaggi più costosi, «prendetela come una piccola tassa autoimposta a noi che abbiamo la fortuna di poter viaggiare, per compensare il danno che facciamo al pianeta su cui vive chi non può spostarsi. Magari ci sentiremo meno in colpa».

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