Cosa significa LGBTQI e perché la sigla si allunga

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La sigla LGBT è ormai entrata nel dibattito mediatico (meno nel lessico delle persone comuni) e oggi viene spesso usata con una certa approssimazione, quando non in modo sbagliato, da chi talvolta non ne conosce esattamente il significato.

È una storia piuttosto recente fatta di grandi discussioni e di graduali modifiche, e che non è ancora finita: e racconta un pezzo di cosa è stato il movimento internazionale per i diritti civili degli ultimi trent’anni. 

LGBT22Nel corso del tempo alla sigla originale LGBT si sono aggiunte altre lettere, a indicare altri orientamenti sessuali e altre identità di genere, così come alla bandiera arcobaleno sono stati aggiunti altri colori: questo è stato reso possibile dal progresso degli studi di genere – che hanno a che fare, semplificando, con lo studio di come nel tempo, nella storia e nella cultura siano state costruite le identità femminili e maschili – e con la diffusione di maggiori sensibilità su questi temi. C’è un grande dibattito su quale sia oggi la miglior sigla da utilizzare, e anche se la sua versione più attestata rimane quella iniziale di quattro lettere, è frequente imbattersi in diverse variazioni.  

Oggi con LGBT si indicano solitamente le persone che non sono eterosessuali, cioè che non sono attratte unicamente dalle persone dell’altro sesso, e le persone non cisgender, cioè che non si identificano con il proprio sesso biologico. Questo include persone lesbiche (L), gay (G) e bisessuali (B), cioè con orientamenti sessuali diversi da quello eterosessuale, e persone transgender (T), che cioè si identificano con un genere diverso da quello del sesso di nascita.

Da tempo ormai le differenti definizioni di sesso (cioè quello determinato dalle caratteristiche anatomiche) e genere (cioè quello determinato dalla percezione che ciascuno ha di sé) sono diventate note e accettate anche fuori dall’ambito scientifico o accademico. Questo ha avuto come conseguenza la diffusione del termine transgender: transessuale infatti è rimasto associato generalmente a chi si sottopone a un’operazione chirurgica per la riassegnazione del sesso, che però sono soltanto una parte delle persone che si identificano con un genere diverso. Trasgender le include tutte, ed è per questo considerato più corretto e inclusivo.  

Le prime occorrenze della sigla LGBT risalgono agli Stati Uniti degli anni Ottanta, ma l’acronimo si diffuse soprattutto a partire dagli anni Novanta. Nacque per tenere insieme una comunità molto eterogenea, e questo fu visto da molti come un problema: tra gli attivisti LGBT si discusse a lungo, e in realtà si discute ancora, se avesse senso unire le rivendicazioni sociali legate all’orientamento sessuale con quelle legate all’identità di genere. Altri sostennero che una simile etichetta-ombrello perpetuasse lo stereotipo secondo cui le persone non eterosessuali o cisgender fossero genericamente “diverse” (pur insistendo nel chiedere uguaglianza).  

Nonostante il vivace e talvolta duro dibattito che accompagnò la sua genesi, la sigla LGBT divenne presto molto popolare e usata, accompagnata spesso dalla bandiera arcobaleno. In parte sostituì i termini usati in precedenza, come omosessuale e lesbica, e soprattutto l’espressione “comunità gay”, definizione che non rappresentava una buona parte delle persone che ne facevano effettivamente parte.  

A partire dal 1996 a LGBT si cominciò ad aggiungere la lettera Q di “queer”. È un termine che nel Novecento fu a lungo usato con una connotazione dispregiativa, ma che poi è stato rivendicato e adottato dalla comunità LGBT e dagli studi filosofici. Negli anni Novanta queer fu proposto come alternativa alla sigla LGBT da quelle sottoculture che criticavano il movimento per essersi orientato su posizioni conservatrici e istituzionali, avendo scelto di mettere al centro della propria battaglia politica temi come il matrimonio e le adozioni. All’inizio, quindi, queer era un termine che si portava dietro un significato politico radicale e “ribelle”, che però perse con il passare degli anni.  

Oggi queer – che letteralmente significa “eccentrico” – è usato principalmente da quelle persone che non si riconoscono nelle tradizionali definizioni usate per gli orientamenti sessuali e per le identità di genere, che vogliono rimettere in discussione anche da un punto di vista politico. Queer è usato per esprimere dissenso verso l’eteronormatività, cioè la convinzione che quello eterosessuale sia l’unico orientamento legittimo, e il binarismo di genere, cioè la convinzione che esistano soltanto il genere maschile e quello femminile.  

Il presupposto è che su eteronormatività e binarismo si siano poi costruiti i principali stereotipi che ritengono fuori norma gli orientamenti e le soggettività a cui non vengono riconosciuti pari e pieni diritti.  

C’è anche chi sostiene che la Q debba significare “questioning”, cioè che debba definire quelle persone che non sono ancora sicure del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere. Questa è però un’interpretazione minoritaria. Oltre alla Q di queer, alla sigla LGBT è ormai spesso aggiunta la I di intersessuale, cioè una persona con caratteristiche fisiche diverse da quelle tradizionalmente associate a maschi e femmine. La scienza riconosce circa 40 variazioni diverse che rientrano nell’intersessualità: non tutte sono congenite e possono manifestarsi in caratteristiche biologiche proprie di entrambi i sessi, oppure di nessuno dei due.  

Le persone intersessuali sono spesso associate alla comunità LGBT, anche se di per sé l’intersessualità è una condizione fisica che può benissimo coincidere con l’eterosessualità e la cisessualità (cioè l’identificarsi con il genere corrispondente al proprio sesso biologico di nascita). Alcuni studi hanno rilevato che le persone intersessuali sono in leggera maggioranza omosessuali, mentre la maggior parte di loro si identifica con il sesso assegnato alla nascita.  

LGBTQI è quindi la versione estesa di LGBT. Gli ultimi anni hanno visto un acceso dibattito tra chi chiedeva che venissero aggiunte altre lettere per rappresentare nella sigla altri orientamenti sessuali.  

La prima è la A di asessuale, cioè una persona che non prova attrazione sessuale per nessun genere (c’è dibattito sul fatto se sia un orientamento sessuale o piuttosto una mancanza di orientamento sessuale). Secondo altre interpretazioni – la discussione è molto aperta – la A indica anche gli “alleati”, le persone eterosessuali che solidarizzano e sostengono la comunità LGBT. Poi c’è la P di pansessuale, un termine spesso confuso con bisessuale anche se non sempre sovrapponibile. Bisessuale è una persona attratta da persone di più generi: maschi e femmine, per esempio, ma anche da persone non binary, cioè che non si identificano come maschio o femmina, ma con tutti e due i generi, con nessuno dei due o con in parte con l’uno e in parte con l’altro. Una persona pansessuale prova attrazione indipendentemente dal genere, e quindi per tutti i generi (tutti, mentre i bisessuali possono provarla solo per alcuni).  

LGBTQIAP non è comunque la versione più estesa della sigla LGBT: negli ultimi anni alcuni attivisti e attiviste hanno chiesto l’aggiunta di altre lettere, anche se evidentemente ogni lettera che si aggiunge rende più difficile la comprensione, l’uso e la diffusione della sigla, compromettendone gli obiettivi. Non sempre quindi queste proposte sono state bene accolte, e in molti casi il dibattito è ancora in corso. Spesso, per evitare di escludere alcuni orientamenti o identità di genere dalla sigla, si usa LGBTQ+, o talvolta LGBTQI+.

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