Quando il vicino della porta accanto era comunista

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Annette Krause-Thiel, avvocata, che vive a Berlino fin dalla nascita, racconta come si viveva nel settore Ovest della Capitale attraversata dal Muro. Una testimonianza inedita e preziosa. Aiuta a capire perché, «L’Est è ancora povero, mentre l’Ovest è ricco. La riunificazione tedesca è un processo non ancora completato», come ha di recente ammesso la cancelliera Angela Merkel in uno dei suoi discorsi celebrativi per il trentennale del Muro.

Annette Krause ThielBerlino ha festeggiato i trent´anni della caduta del “muro”, trasformandosi in una sorta di museo per far rivivere ai berlinesi e ai turisti quel periodo durato “soltanto” 28 anni. Per ricordare il suo percorso irregolare, spesso assurdo, è stata posta una striscia in sampietrini rossastri, l´unico colore possibile secondo il codice della strada, perché il muro s'è sbriciolato essendodi cemento di cattiva qualità, e il tempo ha fatto il resto.

Oggi sopravvive per pochi metri intorno al Martin Gropius Bau, il museo, e per un chilometro e mezzo, all´est della Capitale , grazie ai murales dipinti da artisti di tutto il mondo, che non si è avuto il coraggio di abbattere. E' tutto quel che resta di un monumento del XX secolo, non soltanto tedesco, ma che sparì con fretta eccessiva, distrutto dai bulldozer, e dai cacciatori di souvenir. Ma per decine di migliaia di berlinesi che hanno superato i cinquant’ anni quei 155 chilometri di barriera artificiale sono scavati nella loro memoria.

“Per noi che abitavamo nella zona Ovest della città, quello era il “il muro della vergogna”, come l’aveva definito l'allora sindaco di Berlino Ovest, Willy Brandt. Così lo chiamavano indicandocelo i nostri nonni, i nostri zii, i nostri genitori. E così questo epiteto è rimasto appiccicato al Muro, tant’è che è stato rispolverato anche in questi giorni di celebrazione del trentennale della sua caduta. Anche questo è una la conferma che il flusso della storia persiste molto più a lungo della vita di una generazione.”, spiega Annette Krause-Thiel (nella foto a lato), brillante avvocata che vive a Berlino fin dalla nascita.

Che cosa significava vivere in un contesto simile, all’ombra della cortina di ferro frutto della Guerra Fredda?

Significava una vita tormentata da una paura quotidiana, c’era sempre il timore che dovesse accadere qualcosa di tremendo, che si scatenasse una guerra. Sapevamo che dall’altra parte c’era un esercito ben armato che non perdeva occasione per mostrare la sua forza con interminabili parate”, racconta l’avvocata Annette. Conclude:

“In questi giorni si è parlato pochissimo, ma comunque si è parlato anche della vita a Berlino ovest negli anni del Muro. Ho letto dichiarazioni in cui si afferma che a quel tempo Berlino Ovest era un’isola felice perché noi che l’abitavamo avremmo avuto un sacco di privilegi, nel senso che c’erano sconti sui treni, chi studiava qui non doveva fare il servizio militare che invece era obbligatorio nel resto della Germania dell’Ovest. Ai lavoratori dipendenti il Governo federale elargiva la Berlin Zulage (una percentuale di denaro in più nella busta paga), in pratica era un incentivo per non abbandonare Berlino.

Io però mi ricordo soltanto della paura.

Come dire, mangiavo pane e paura. All’epoca della quale stiamo parlando aveva undici anni, la paura a quell’età è più che naturale. La differenza è che la condividevo con tutte le persone che avevo intorno”.

In questo scenario cupo che mi sta descrivendo c’era qualche barlume di speranza, di gioia, qualche pausa di serenità?

A quel tempo vivevamo con la consapevolezza di stare molto meglio dei nostri connazionale di là del Muro. Berlino Ovest era stata divisa in tre circoscrizioni, ciascuna amministrata dalle nazioni vincitrici della Seconda Guerra mondiale: Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Io abitavo nella zona amministrata dagli inglesi dalle parti dove ora svetta lo Stadio olimpico.”

Naturalmente nella scuola gli insegnanti erano tedeschi, tutto funzionava come funziona ora. Ho avuto la fortuna di avere un’insegnante che sapeva bene l’inglese perché aveva e me lo ha insegnato nelle ore libere. Morale, a undici anni sono volata a Londra e ci ho passato le vacanze. Bello, no? Un’avventura del genere era impensabile per un mia coetanea che abitava a Berlino Est.”

Nella mia zona, non si vedevano militari in giro per le strade. A quel tempo abitavo nel quartiere Westend dalle parti del Maifeld centoquindici mila metri quadrati di campo sportivo a ridosso dello Stadio Olimpico, divenuto tristemente famoso perché vi si svolsero i giochi olimpici del 1936, che sono passate alla storia come le Olimpiadi di Hitler, e che furono filmate da Leni Riefenstahl, la fotografa e attrice regista di Hitler. Dal 1953 il Maifeld passò sotto il comando del quartier generale delle forze armate britanniche, e mi ricordo che spesso mi fermavo a guardare i militari che impegnati in partite di cricket, di  rugby, oppure che si allenavano per le parata.”

Per la cronaca, anche i nazisti lo usavano per le parate. Fu una delle tappe d'obbligo di Mussolini durante la sua visita ufficiale  nel settembre del Trentasette. Mi ricordo che un giorno planò su quel prato anche la Regina d’Inghilterra e ci fu naturalmente una parata che ho memorizzato perché era davvero fastosa.”

Su questo scenario che può sembrare idilliaco incombeva sempre la paura. Anche se i miei genitori a casa non ne parlavano. Mia madre aveva dei familiari di là del muro, ogni tanto desiderava che l’accompagnassi. E ogni volta i controlli alla frontiera erano estenuanti oltre che umilianti. Non sapevi mai cosa ti poteva capitare. Ricordo che una domenica le guardie volevano sequestrale meno di un etto di speck, che mia madre voleva portare a una nostra parente. Non ci furono santi, alla fine pur di non mollare mi madre scelse di mangiarselo lì davanti ai miliziani, perché non finisse nelle loro mani. Erano tedeschi pure loro, perché tanto accanimento? mi chiedevo.

Adesso mi rispondo che il capitalismo occidentale da un lato e il socialismo sovietico dall’altro avevano favorito lo sviluppo di due culture profondamente differenti. Questo “frutto” è maturato in trent’anni anni di separazione, durante i quali i tedeschi hanno vissuto sotto due sistemi completamente diversi sotto il profilo economico e politico. Non è un caso che dopo la caduta del Muro più di quattro milioni di persone fuggirono dall’ex Germania Est per andare in cerca benessere nell’ ex Germania Ovest e che molti furono i giovani più preparati e intraprendenti a scegliere quella strada. Il risultato è che ancora oggi nei territori orientali c’è più povertà. Lo ha ammesso di recente persino Angela Merkel: «L’Est è ancora povero, mentre l’Ovest è ricco. La riunificazione tedesca è un processo ancora non completo».”.

Infatti, nell’ex DDR sono tantissimi i delusi dall’unificazione tedesca e da tutte le false speranze collegate a essa. Forte è la rabbia per il fatto che trent’anni dopo il crollo del muro si sentono cittadini discriminati, di seconda classe, con minori posti di lavoro, e salari inferiori rispetto ai tedeschi dell’Ovest. Lei condivide le ragioni di questo malessere?

Potrei rispondere che l’ex Germania Est conta 12 milioni di abitanti mentre la popolazione della Germania supera gli 80 milioni, ergo potremmo non tenere in alcun conto le loro lagnanze. Ma non possiamo non ascoltarle in un momento politicamente così tormentato, in ogni parte d’Europa. Mancano le risposte dei governi su come  affrontare il pesante deterioramento delle condizioni economiche e sociali, che scatenano la paura di sprofondare nella più disperante povertà. Il risultato di questa ansia da noi si vede. Nelle elezioni di domenica 27 ottobre l’ultradestra tedesca dell’Afd - l’Alternative für Deutschland - è volata per la terza volta in meno di due mesi incassando un clamoroso raddoppio elettorale raggiungendo in Turingia, regione dell’est della Germania, il 24 per cento dei voti. Con un aumento di 13,1 punti rispetto a cinque anni fa. Il risultato è inquietante, l’ultradestra dell’Afd fa paura. Mi fa più paura di quella che soffrii quand’ero bambina davanti al Muro”.

Laura Menti

 

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