La rivolta di Varsavia (1944) esalta l'ambiguità polacca
Una premessa è necessaria. Il nazismo è stato sconfitto soprattutto perchè l’Unione sovietica si è accollata il tributo di sangue (20 milioni di morti e distruzioni immani) che le democrazie occidentali non volevano o non potevano affrontare. Anche lo sbarco in Normandia, che giustamente meraviglia ed emoziona l’Occidente, è stato possibile solo perchè l’Armata Rossa aveva prima “sbudellato” (per usare le parole di Winston Churchill) l’esercito tedesco.
Nella lotta antinazista l’Occidente ha fornito la tecnologia e le risorse, l’Urss il sangue. Questo non lo si può negare. Può non piacere, ma è così: per sconfiggere una dittatura sanguinaria, ce ne è voluta un’altra altrettanto priva di scrupoli e remore con le vite proprie e altrui. Lo sapevano benissimo i leader americani e inglesi (che erano scesi in guerra nominalmente per salvare la Polonia).
Le perdite civili, tra gli abitanti di Varsavia, sono stimate in 200 mila, molti uccisi con enorme crudeltà, mentre altri 55 mila furono inviati in campo di concentramento (13 mila ad Auschwitz) e 700.000 in totale furono costretti ad abbandonare la città, i cui edifici sulla riva sinistra della Vistola alla fine della guerra risultavano distrutti all’85 per cento. Gli omicidi sulla popolazione avevano l’intento di distruggere la forza vitale della città, e metterla in ginocchio.
La gente veniva raccolta nei capannoni delle fabbriche, nelle chiese e in altri grandi edifici e poi uccisa a sangue freddo, addosso ai muri dei palazzi. Atti spregevoli che hanno dato luogo alla fucilazione di intere famiglie con neonati. I cadaveri venivano ammassati in grandi pile a cui poi veniva appiccato il fuoco. Di questo compito se ne occupava il Verbrennungskommando Warschau, costituito dai prigionieri delle SS.
Scoppia perché i polacchi che operavano sui vari fronti della resistenza, che obbedivano agli ordini del governo in esilio a Londra, volevano liberare la città prima dell’arrivo dell’Armata Rossa.
L’idea di una insurrezione contro i tedeschi era legittimata dalla convinzione che, in caso di difficoltà, i sovietici sarebbero intervenuti in soccorso dei polacchi. Quindi sempre su iniziativa del governo polacco in esilio a Londra i vari fronti della resistenza polacca si accorparono sotto il nome di Armia Krajowa e scatenarono la rivolta di Varsavia.

Una volta sgomberata dalla popolazione, Varsavia fu distrutta, casa per casa, da corpi delle SS sottratti al combattimento per tale scopo; solo nel gennaio del 1945 l’Armata Rossa arrivò nella capitale abbandonata dai tedeschi e ridotta in macerie. Il tragico epilogo della rivolta incrinò i rapporti fra gli Alleati ed il governo polacco che il 3 ottobre 1944 rilasciò il seguente comunicato:
“Non abbiamo ricevuto alcun sostegno effettivo… Siamo stati trattati peggio degli alleati di Hitler in Romania, in Italia e in Finlandia. La nostra rivolta avviene in un momento in cui i nostri soldati all’estero stanno contribuendo alla liberazione di Francia, Belgio e Olanda. Ci riserviamo di non esprimere giudizi su questa tragedia, ma possa la giustizia di Dio pronunciare un verdetto sull’errore terribile col quale la nazione polacca si è scontrata e possa Egli punirne gli artefici.”
La scarsa considerazione che il Comando degli Alleati aveva per le richieste polacche a fronte di quelle russe, del resto, era già stata evidenziata ai tempi della Conferenza di Teheran, avvenuta nove mesi prima dell’inizio della rivolta, dove Churchill, Stalin e Roosevelt si erano accordati perché la Russia mantenesse i territori polacchi acquisiti nell’invasione del 1939 e inglobasse il resto della Polonia nella propria orbita, ma il governo polacco venne a sapere di tali decisioni solo durante la Conferenza di Yalta, a guerra ormai conclusa.
Si spiega così perchè l'Armia Krajowa sia diventata nell'immaginario polacco il simbolo della difesa della Nazione dai "barbari" che la circondano. Sarà evocata sovente dagli operai del sindacato Solidarnosc durante le giornate di sciopero nei cantieri navali di Danzica (1980), ma anche dopo. Comparve in ogni omelia papa Wojtyla durante il suo primo pellegrinaggio a Varsavia (1979).
Viene in mente il primo discorso del cancelliere tedesco Konrad Adenauer al Parlamento di Bonn il 20 settembre 1949 (riportato da Tony Judt in Postwar) a proposito dell’eredità nazista:
“Il governo della Repubblica Federale, nella convinzione che molti hanno fatto ammenda da soli (…) , è determinato, dove ciò appare accettabile, a fare il possibile per mettere il passato dietro le spalle”.


