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Berlino celebra un passato che non ha

di  Thibaut de Ruyter

"Berlino può andare fiera di possedere una situazione architettonica unica tanto quanto unico e assurdo era il muro che, tra il 1961 e il 1989, la divise", parola di Thibaut de Ruyter, architetto francese, critico d'arte che vive e lavora nella capitale tedesca.

berlin charlie point   Checkpoint Charlie, Berlin ( photo:Jeanne Menjoulet)

Se andate dalle parti della celebre isola dei musei per ammirare Nefertiti o qualche dipinto di Caspar David Friedrich, esiste un luogo particolarmente interessante che riassume in sé l’intera Berlino – e questo testo. Arrivando da Unter den Linden e lasciandovi alle spalle la Porta di Brandeburgo, dovete fermarvi dopo aver percorso qualche metro sullo Schlossbrücke e guardare alla vostra destra. Là, l’imponente ricostruzione del Castello degli Hohenzollern, ormai terminata, ha occupato il suo posto nel paesaggio urbano. Esiste. Restate dunque sul ponte e osservate con attenzione.

Da metà anni Novanta questa parte della città è cambiata radicalmente.

La Germania Est vi aveva inaugurato il suo Palast der Republik nel 1976 (un edificio dalle molteplici funzioni che includeva l’aula per le deliberazioni del parlamento della Ddr, una sala per gli spettacoli, un ufficio delle poste, spazi espositivi, ristoranti e caffetterie, un teatro e anche un bowling). Non resta nulla di questo edificio e dei numerosi altri monumenti, a parte il vecchio Staatsrat (il Consiglio di stato) che oggi è una scuola internazionale di management e tecnologia.

Intorno al castello ancora fresco di pittura, su un territorio che vuole essere il cuore storico della capitale tedesca, regna la storia falsa.

Ma se osservate bene le due costruzioni – la facciata del castello che dà su Unter den Linden e quella della scuola di management – dovreste notare una cosa: un’intera sezione delle loro facciate è identica. In effetti, quando la Germania Est decise diemolire il castello, simbolo della Prussia bellicosa e destrorsa, ne salvò un frammento: il portale e il balcone dove, il 9 novembre 1918, Karl Liebknecht proclamò la Libera repubblica socialista di Germania. Questo pezzo di architettura fu dunque spostato dalla Repubblica democratica tedesca e integrato in una nuova costruzione dall’aria moderna.

Quando si cancella la storia, è cosa opportuna dare prova di una capacità di discernimento e salvare ciò che, simbolicamente, merita di essere salvato.
Ma la cosa più divertente resta il fatto che, durante la ri-costruzione delle facciate del castello, fu presa la decisione di non smontare questa parte autentica per integrarla al castello «storico» ma di crearne invece una seconda, a meno di duecento metri dall’originale. Il risultato è che Berlino si ritrova con due balconi al prezzo di uno.
(E, se continuate a osservare con impegno, potreste anche mettervi a giocare a «Trova le differenze».)

Orgoglio
Non penso che una situazione simile esista in altre parti del mondo. Certo, ci sono una Statua della libertà a Parigi, una piramide di Cheope a Las Vegas e una Tour Eiffel ad Almaty. Ma non sono che modellini, costruzioni in cartongesso e a scala ridotta, che non hanno nessuna pretesa di sembrare originali. Dunque ora Berlino può andare fiera di possedere una situazione architettonica unica (tanto quanto unico e assurdo era il muro che, tra il 1961 e il 1989, la divise). Ma, soprattutto, se prendiamo questo scherzo urbano come punto di partenza, ci rendiamo conto di come si tratti, in realtà, di un «manifesto retroattivo» della città di Berlino, per riprendere il sottotitolo di un celebre libro di Rem Koolhaas, Delirious New York (Mondadori Electa, 2001).

State lasciando il settore americano (o quasi)
Ludwig Feuerbach, nella prefazione alla seconda edizione de L’essenza del cristianesimo (1841), scrive: «Senza dubbio il nostro tempo... preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere... Ciò che per esso è sacro non è che l’illusione, ma ciò che è profano è la verità. O meglio, il sacro si ingrandisce ai suoi occhi nella misura in cui al decrescere della verità corrisponde il crescere dell’illusione, in modo tale che il colmo dell’illusione è anche il colmo del sacro».
Guy Debord usa questa citazione in esergo al suo celebre saggio La società dello spettacolo (Baldini e Castoldi, 1997) e, anche se le sue città elettive furono prima di tutto Parigi e Firenze, osservando la maniera in cui Berlino ha manipolato copie e originali nel corso della seconda metà del Ventesimo secolo è impossibile non pensare immediatamente a lui.
 
Andiamo dunque là dove centinaia di migliaia di visitatori danno inizio al loro soggiorno berlinese: al Checkpoint Charliela riproduzione di un posto di blocco sparito ben prima della caduta del Muro, riassunto perfetto della storia architettonica della città dal dopoguerra a oggi. La capitale tedesca celebra un passato che non ha.

Fonte: da Alta Infedeltà, di Thibaut de Ruyter, in The Passenger: Berlino, Iperborea (2019)

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