Trump minaccia incassa e fiacca l'Europa

Le sanzioni all'Iran hanno messo in crisi le aziende europee protagoniste di primo piano nella realizzazione dei grandi progetti petroliferi e gasiferi ora congelati. Penalizzati in modo particolare Italia e Germania i maggiori partner commerciali in assoluto della repubblica degli Ayatollah. 

di Vincenzo Maddaloni

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Sono stati sufficienti meno di novanta giorni perché la situazione interna dell’Iran diventasse ancora più complicata dopo la reintroduzione – novembre scorso – delle sanzioni. Donald Trump, (al contrario del suo predecessore Obama che le aveva sospese) le ha ritenute indispensabili per costringere gli iraniani ad abbandonare il loro programma nucleare.

Il provvedimento vieta all’Iran di usare il dollaro americano per le transazioni, blocca il commercio con gli Stati Uniti di metalli e di macchine prodotte in Iran, revoca i permessi all’esportazione dei tappeti e dei prodotti alimentari iraniani.

Naturalmente, le sanzioni economiche hanno fatto lievitare il prezzo di ogni prodotto a livelli vertiginosi, devastando la vita quotidiana degli iraniani. Nel pacchetto di Trump sono sanzionati anche quei medicinali che l’Iran non produce e che è costretto ad importare. Per capirci, i farmaci per il trattamento del cancro, per i problemi cardiaci, di respirazione, per la talassemia, la sclerosi multipla, e via elencando.

Beninteso, l’Iran è governato da una teocrazia che non è una democrazia di tipo occidentale, ma non può essere nemmeno confusa con una dittatura. L’Iran non ha nella sua storia millenaria episodi di un’aggressività tale da allarmare la comunità internazionale. È un paese membro dell’Onu che ha firmato i trattati internazionali più importanti, tra i quali la non proliferazione nucleare (Tnp), aprendosi così alle ispezioni dell’Aiea.

Al Pakistan invece, che è una potenza nucleare, ma è pure un paese amico degli Stati Uniti, gli sono state riservate ben altre attenzioni. Lo stesso accade con l’India, che ha stipulato accordi sugli interscambi di tecnologia nucleare con Washington. Né Israele, né il Pakistan, né l’India hanno firmato il Trattato di non proliferazione nucleare. Tuttavia i tre paesi hanno le armi nucleari. Tutti e tre hanno sistemi aerei e missilistici in grado di trasportare le bombe atomiche sugli obiettivi nemici. Tutti e tre sono in aperta violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’Iran rappresenta l’esatto contrario: non ha armi nucleari, non ha sistemi missilistici per portarle a destinazione, ha ratificato il Tnp e dichiara di volerlo rispettare.

Va pure aggiunto per completare il quadro che Trump da una parte stigmatizza il programma nucleare di Teheran, però dall’altra parte continua a stanziare 27 miliardi di dollari l’anno per la manutenzione e la costruzione di nuove armi nucleari (in piena trasgressione del Tnp che impone agli Stati col nucleare come lo sono gli Usa il disarmo graduale).

A soffrire gli effetti di questa politica dissennata che fa leva sulle sanzioni, sono le imprese statunitensi ed europee, protagoniste di primo piano nella realizzazione dei grandi progetti petroliferi e gasiferi, ora congelati dalle sanzioni. Non va dimenticato che l’Iran rappresenta un mercato di 70 milioni di persone (tanti sono i suoi abitanti) e ha una solvibilità garantita dai pozzi di petrolio e dai depositi gas.

Sono i settori energetico, industriale, delle telecomunicazioni e dei trasporti che offrono enormi opportunità agli investitori. Un esempio tra i tanti è il South Pars Gas Field, di gran lunga il più grande giacimento di gas naturale del mondo.  Secondo i calcoli dell’ International Energy Agency (IEA), su quell’area di 9.700 chilometri quadrati  si stima ci siano 1.800 trilioni di piedi cubi (51 trilioni di metri cubi) di gas naturale e circa 50 miliardi di barili (7,9 miliardi di metri cubi) di condensati di gas da liquefare  per poterli esportare. Insomma, questo e un paese molto ambito dal business occidentale, dall’Italia e dalla Germania in particolare, i maggiori partner commerciali in assoluto.

Sebbene gli interessi economici siano elevati, è arduo prevedere il ritorno alla normalità dei rapporti commerciali. Lo scenario che fa da fondale è cupo. 

Ogni qual volta Trump “pressa” la Repubblica degli ayatollah, Israele esulta di avere un nemico in comune con gli Stati Uniti. In Iran invece, si consolida la coesione sociale.  Il novanta per cento degli iraniani, di destra, di centro (la sinistra è costretta alla clandestinità), laici e religiosi, filostatunitensi o non, difendono il diritto ad avere il nucleare civile; non tollerano le imposizioni dall’esterno, sono orgogliosi dei loro 2500 anni di storia durante i quali i confini della nazione non hanno subito mutamenti.

La riprova di questa accanita determinazione è che, in tutti questi anni di affannose trattative, l’Iran non ha ceduto di un millimetro, e non manca occasione per ribadire che mai Teheran arresterà il proprio programma nucleare, anche con il Paese stritolato dalle sanzioni.

A conforto, c’è il fallimento della conferenza anti-Iran – sponsorizzata dagli Stati Uniti e da Israele – di Varsavia del 13 e 14 febbraio scorsi. L’intento del team trumpiano era di radunare assieme ai rappresentanti dei governi Ue, i leader dell’area sunnita contro l’Iran sciita, in uno dei rari vertici degli arabi con Israele se non l’unico dai primi Anni Novanta. La sede scelta è la Polonia, costellata di basi americane e di scudi antimissile, ossia il Paese dell’Ue che più si oppone alla Russia (alleata dell’Iran), e che è tra i più zelanti membri della Nato. Di converso, la gran parte dei governi Ue ha inviato delegazioni di livello inferiore e l’incontro è stato ampiamente considerato un fallimento.

Una cauta speranza per mantenere in vita i rapporti economici, arriva comunque dall’Unione europea che il 31 gennaio ha approvato l’Instex (Instrument In Support Of Trade Exchanges). D’ora in avanti esso dovrebbe consentire alle imprese comunitarie di continuare a fare affari «in modo legittimo» con l’Iran nonostante le sanzioni. L’ Instex è un meccanismo complicato, registrato in Francia e diretto da un banchiere tedesco, con azionisti dei tre paesi europei firmatari dell’accordo sul nucleare iraniano: Francia, Germania e Regno Unito.

E’ stato un parto difficile durato otto mesi perché nessun paese voleva assumersi i diritti di paternità per timore di rappresaglie statunitensi. In effetti gli Stati Uniti hanno minacciato di distruggerlo prima ancora che nascesse. Vediamo quale idea viene a Trump ora in mente.

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Vincenzo Maddaloni
Vincenzo Maddaloni ha fondato e presiede il Centro Studi Berlin89, l'associazione nata nel 2018, che si propone di ripercorrere analizzandoli i grandi fatti del mondo prima e dopo la caduta del Muro di Berlino. Professionista dal 1961 (per un decennio e passa il più giovane giornalista italiano), come inviato speciale è stato testimone in molti luoghi che hanno fatto la storia del XX secolo. E’ stato corrispondente a Varsavia negli anni di Lech Wałęsa (leader di Solidarność) ed a Mosca durante l'èra di Michail Gorbačëv. Ha diretto il settimanale Il Borghese allontanandolo radicalmente dalle storiche posizioni di destra. Infatti, poco dopo è stato rimosso dalla direzione dello storico settimanale fondato da Leo Longanesi. È stato con Giulietto Chiesa tra i membri fondatori del World Political Forum presieduto da Michail Gorbačëv. È il direttore responsabile di Berlin89, rivista del Centro Studi Berlin89.
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