Da questo momento compagno sarà lei!

Mancano una cinquantina di giorni alla fine dell'Urss,  ma già da questa corrispondenza del 10 settembre da Mosca di Giulietto Chiesa si capisce che oramai l'implosione dell'Unione sovietica è irreversibile. Volentieri ne riproponiamo la lettura.

 Chiesa disordiniPrima era tutto così semplice! Si poteva dire a Gorbaciov «compagno Gorbaciov» e il cameriere del ristorante, che non veniva mai a servirti, poteva essere apostrofato energicamente: «Compagno!» Nel «Vocabolario di etica», autorevole vademecum dell'attivista di partito, c'era scritto tutto quanto occorreva per non sbagliare. «La struttura capitalista, con i suoi rapporti di proprietà privata e di concorrenza, alimenta la reciproca ostilità, diffidenza », mentre «con la vittoria del socialismo i rapporti tra compagni per la prima volta si dilatano all'intera società. Questo è il significato più profondo dell'espressione, comune nella società socialista, di compagno».
Ma adesso le cose si vanno facendo più complicate. Compagno di che? A voler guardare bene in faccia alla realtà, non è che proprio tutti amassero questa forma di rapporto.
Per evitare la parola «compagno» c'erano degli originali che si rivolgevano l'un l'altro così: «Ehi, uomo! », «ovvero donna».

Se l'età lo permetteva si poteva chiedere un fiammifero a un «giovanotto» (molodoicelovek). Ma se era vecchio? Poteva offendersi, o scambiare il termine come un'irrisione. Come attirare la sua attenzione? Restavano gesti muti, da handicappato, oppure la rinuncia a ogni originalità e l'accettazione della norma: «Tovarish, mi fa accendere?» Certo si doveva evitare con cura la parola «cittadino» (grazhdanin). Intanto perché significava insinuare che la persona in questione non era un iscritto al partito. E di nuovo avrebbe potuto offendersi. Ma c'era di peggio. L'insulto sfiorava il codice penale. Tutti sanno che il secondino non si sarebbe mai rivolto all'ospite involontario della cella chiamandolo «compagno». Era di rigore, appunto, «grazhdanin ».
Non resta che riesumare una vecchia, orribile parola. 


Esecrata prima ancora che dimenticata: «signore» (gospodin). Parola che aveva, indubbiamente, stretta parentela con la proprietà privata. Eliminata quella, non restava che eliminare anche i «signori». E bisogna dire che i bolscevichi si impegnarono con invidiabile perseveranza a eliminare davvero tutti i «signori ». Intendo dire non solo gli appellativi, ma anche i loro concreti portatori, in carne e ossa.
Ma sono risorti, a milioni, anche se la proprietà privata è stata solo riproclamata e non c'è ancora. A cominciare dal Parlamento, dove ormai si sono visti intrepidi deputati rivolgersi agli onorevoli colleghi chiamandoli proprio «signori », per finire nelle fabbriche. Si vuol forse negare all'operaio Ivanov il diritto di diventare «signore»?

Tra l'altro l'ingiustizia di «tovarish» era anche nella sua neutralità asessuata. Era «tovarish » lui, ma anche lei. E diventava imbarazzante farsi da parte per far entrare una signora in ascensore: «Si accomodi, tovarish», mancava la poesia. Comunque, signore e signori, comincia una nuova storia. Resta solo da sperare che a qualcuno non venga in mente di scrivere, su qualche nuovo vocabolario, che è vietato chiamare qualcun altro «compagno».


Giulietto ChiesaGiulietto Chiesa, una vita tra giornalismo e politica che si è spento  il 26 aprile del 2020 all'età di 79 anni, non era un personaggio facile. I suoi scenari politici sovente arditi, le sue denunce sempre scrupolosamente documentate, erano regolarmente ignorate, accantonate, dal media mainstream. Anche per questo è doveroso ricordarlo come un giornalista di alto profilo, un esempio di etica professionale.

Giulietto Chiesa, ex europarlamentare è stato a lungo corrispondente da Mosca per «La Stampa» e «l’Unità»  L'articolo del quale abbiamo riproposto la lettura è stato pubblicato il 10 settembre 1991 sul quotidiano La Stampa nella rubrica Diario di Mosca.

 

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