Un errore? Un messaggio? I "vory v zakone"
Salvini - ministro degli interni, solerte ed irrituale nel denunciare i veri o presunti crimini commessi dai migranti - è costretto a confrontarsi sull'esistenza della silenziosa mafia georgiana, organizzazione criminale in continua ascesa, che gestisce il business milionario dei furti in abitazione in tutta Europa.
Ladri dell'Est
Amano chiamarsi e farsi chiamare “i russi”, i loro passaporti sono quasi sempre falsi. Entrano ed escono dalle prigioni italiane, accolti con timore e deferenza. Per regolare i conti mai le armi! Ma pestaggi, feroci e silenziosi, fino all'attimo prima che la vittima perda i sensi. Se la vendetta lo richiede, ecco apparire i loro cecchini migliori, un colpo dritto alla testa e poi il nulla.
Sono “vory v zakone”, o ladri nella legge, sono i padrini della mafia russa, devoti a un codice criminale nato nei gulag sovietici e sopravvissuto fino a oggi. In Italia alcuni di loro hanno trovato una patria d’adozione. Un terreno fertile per costruire un impero che si finanzia grazie a un settore immune alla crisi: quello dei furti.
Da Nord a Sud tutti i reati sono in calo, non i furti che continuano ad essere una nota dolente per il Viminale. Nell’ultimo anno le denunce sono a quota un milione e 261mila. I furti in abitazione, in particolare, sono stati 194.880, 534 episodi al giorno. Così l’Italia si conferma terreno di caccia per i re dei ladri.
Il furto in abitazione, era una volta monopolio della piccola delinquenza comune, ora è in mano delle mafie straniere una vera e propria industria dei furti, gestito soprattutto da tre mafie internazionali, che come organizzazioni militari gestiscono eserciti di ladri sparpagliati in tutta Europa.
In italia i “signori dei furti” comprano ville, riciclano i soldi, programmano summit criminali.
Il “generale Jango”
«Siamo ladri, noi! Siamo una piccola forza. Ci facciamo sentire solo se abbiamo qualcosa di importante da dire. La verità è dalla nostra parte».
Intercettato il proclama di un affiliato del clan di Kutaisi, organizzazione criminale della Georgia che oggi conta in Italia una delle sue più influenti succursali.
La provincia di bari, è il regno di Merab Dzhangveladze, detto Jango, si ritiene essere il generale della mafia georgiana a capo di una holding che privilegia la missione dei furti e del riciclaggio. L'uomo entra ed esce dal carcere, o sconta i domiciliari nella sua villa di Bari. Le sue detenzioni sono brevi, sempre molto brevi. Per i tribunali italiani, nonostante la sua fama internazionale, “Jango” è e rimane un semplice ladro.
Questo nonostante che forze dell’ordine ne siano certe: il suo esercito è sterminato. I suoi luogotenenti impartiscono ordini ai soldati semplici, i “bravi ragazzi”, batterie di ladri attive in tutta Italia e nel resto d’Europa. Introvabili per la polizia italiana, mimetizzati fra decine di alias indecifrabili e protetti da uno stile di vita irreprensibile.
Parlano poco, e lo fanno con manifesti sulla pelle. Quattro lettere tatuate con inchiostro blu significano “ho ucciso un poliziotto”. Le rose dei venti indicano la gerarchia criminale dei ladri. Una stella vuol dire “vendetta compiuta”.
L’attività illecita è sempre considerata sacra: rimanere per più di un anno a piede libero è un disonore.
I bravi ragazzi
Non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine, è regola aurea. L’unico fatto di sangue di cui i clan georgiani si sono macchiati in territorio italiano rimane l’omicidio del connazionale Revas Tchuradze, assassinato a Bari sei anni fa per aver incautamente cercato di scalzare un clan rivale. Da allora, i “bravi ragazzi” sono rimasti in silenzio, ma il loro territorio criminale si è allargato come la tela di un ragno. Le centrali investigative informano che, la mafia georgiana è più che mai attiva a Catanzaro, Roma, Reggio Emilia, Torino. In Piemonte, sono state scoperte vere proprie palestre dello scasso dove i ladri si allenano a forzare serrature senza lasciare tracce.
I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Novara negli ultimi cinque anni hanno arrestato oltre 200 persone e recuperato refurtiva per 10 milioni di euro per un giro d’affari di quasi 100 mila euro al giorno. Soldi che finiscono direttamente nella cassa comune della cupola georgiana, la “obshak”, che a sua volta va a finanziare la “Organizacija”, la mafia russo-georgiana.
Ma se la manovalanza criminale mantiene il profilo basso, i loro capi hanno ambizioni sfrenate. E vogliono proteggere l’impero con ogni mezzo.
I poliziotti dell’Interpol hanno notato, tra le altre, una strana coincidenza: molti vory georgiani stanno acquisendo la cittadinanza russa. Lo stratagemma sembra avere un unico scopo: evitare l’estradizione in caso di mandato di cattura internazionale.
Nella russia di Vladimir Putin la norma costituzionale ha reso quasi impossibile la consegna dei criminali russi alle autorità straniere.
Quando la polizia italiana fa scattare gli arresti, loro sanno dove andarsi a rifugiare.
Dzhemal Mikeladze vive protetto in Lettonia
È riuscito con successo a mettere radici anche nel mondo criminale italiano, costituendo un’associazione per delinquere di stampo mafioso transnazionale senza precedenti nel nostro Paese
Detto Djemo, ha origini georgiane, ed è uno dei ladri nella legge più pericolosi in circolazione. Il core business di Djemo e dei suoi uomini sono i furti, le estorsioni e il riciclaggio.
I poliziotti dell’Interpol riferiscono una strana coincidenza: molti vory georgiani stanno acquisendo la cittadinanza russa.
Lo stratagemma avrebbe un scopo preciso: evitare l’estradizione in caso di mandato di cattura internazionale.
La russia di Vladimir Putin per norma costituzionale ha reso quasi impossibile la consegna dei criminali russi alle autorità straniere.
E così che quando la polizia italiana fa scattare gli arresti, loro sanno dove andarsi a rifugiare.
Per una strana controtendenza, un anno fa, la Russia ha consentito l’estradizione in Italia. Ospite del carcere di Bari ha subito un processo, assistito da un pool di avvocati internazionale. I giudici, non hanno considerato sufficienti le prove a suo carico, ed è stato condannato a pene minori.
Dopo meno di 9 mesi di detenzione, Djemo è già volato via e vive in Lettonia protetto da una scorta privata: su di lui è pronta la vendetta per la morte di nonno Assan, il capo dei capi, assassinato a Mosca 5 anni fa.
La mafia albanese
È la cupola straniera più potente e radicata in Italia - insieme al narcotraffico e alla tratta di esseri umani di recente è tornata ad occuparsi proprio dei reati predatori, soprattutto nel Centro Nord.
La manovalanza criminale arriva da Tirana, Durazzo e dalla piccola città di Milot, dove fanno base le cosche più attive in Italia.
Rispetto, lealtà e famiglia. Per questo il “kanun”, il codice della malavita albanese, prevede l’omicidio come forma di vendetta per la morte di un familiare. Non a caso, i ladri che fanno parte delle organizzazioni albanesi sono quasi sempre legati da vincoli di sangue.
A Terni, è stata smantellata un’organizzazione composta esclusivamente da fratelli e cugini.
«Agiscono in piccoli gruppi, spesso slegati fra di loro. Non di rado per via dei loro introiti attirano l’attenzione di famiglie più potenti, che cercano a loro volta di controllarli».
La disponibilità economica dei clan, permette a ladri di usare equipaggiamenti all’avanguardia: nel Nord Italia gli investigatori dell’Arma hanno scoperto che prima di ogni colpo i professionisti del furto preparano il terreno attraverso “jammer”, ovvero disturbatori di frequenze che mandano in tilt gli allarmi, impediscono ai telefoni di ricevere o trasmettere onde radio. Non parlano mai ai cellulari, ma utilizzano potenti ricetrasmittenti. Le intercettazioni telefoniche che li riguardano si contano sulle dita di una mano: fra queste ci sono quelle effettuate dalla Procura di Milano.
«Abbiamo la fila di ragazzi che vogliono venire a rubare in Italia», diceva uno dei ladri intercettati su richiesta del pubblico ministero David Monti, «tanto ti fai 24 ore di galera e poi sei già fuori».
Pantere dei Balcani
Dette le “Pink Panthers”, sono un’organizzazione transnazionale fondata nei primi anni Novanta da ex combattenti di origine serba e oggi composta da circa 200 affiliati.
«Oggi», fanno sapere dal Servizio Centrale Operativo «l’esercito delle Pink Panthers si sta riorganizzando ed è più attivo che mai».