La rivolta d'Algeria mette l'Europa a rischio pace

'La posizione geografica e la ricchezza del sottosuolo del paese sono il terreno ideale per i miliziani jihadisti che dal 2015 stanno strigendo alleanze con i Fratelli Musulmani sparsi su tutta la nazione. Di questo e di altro scrive Kamran Babazadeh nato a Teheran che qui volentieri pubblichiamo.

BouteflikaIn Algeria, la nazione piu' vasta del continente africano, regna il caos. Dal 22 febbraio scorso migliaia di algerini di tutti i ceti sociali, culturali ed economici scendono nelle piazze e nelle strade di Algeri, cosi come nelle province del paese.

Protestano contro la candidatura, per un quinto mandato, dell' ottantaduenne Abdelaziz Bouteflika (foto a lato). Manifestano contro il suo insopportabile immobilismo dovuto alle precarie condizioni di salute, che lo inchiodano su una sedia a rotelle.

Lo slogan intorno al quale si raccolgono i manifestanti è: “ No al quinto mandato – Bouteflika deve andare via “. Il potente capo di Stato Maggiore, generale Gaid Salah, si è già espresso a sostegno del presidente, quasi volesse rassicurarlo che non ci sarà alcun colpo di stato.

La scena politica e sociale algerina è sempre stata una delle piu' turbolenti del Sud del Mediterraneo. Il paese sin dai primi anni di indipendenza, ottenuta nel 1962 dopo 7 anni di durissima guerra e pagata con un milione di morti sui nove di abitanti, non è mai stato tranquillo.

Il primo governo post indipendenza di Ben Bella, autocratico, viene travolto e destituito da Boumediene con un colpo di Stato. La sua si po' chiamare ora, una dittatura illuminata. Infatti, se da un lato reprime le libertà politiche e di espressione, dall'altro lato, getta le basi per la costruzione di scuole, di ospedali, di centrali elettriche, incoraggia l'agricoltura.

Nel 1976 propone l'istituzione della Presidenza della repubblica, che vine approvata da referendum popolare. In campo internazionale persevera nella politica di non allineamento, tenendo buoni rapporti con il blocco sovietico. In politica economica segue una via di sviluppo non capitalistica.  

Boumediene aveva a cuore l'interesse della sua Algeria, ma resto dell'idea che non si può mirare al bene servendosi del “male”. Infatti per mantenersi al potere, concede la libertà d'azione ai militari, chiude gli occhi sui misfatti di chi gli mostra fedeltà e organizza una rete capillare di controllo della società.

Nel 1988 tutto il sistema da lui creato collassa e Boumedienne muore l' anno seguente, probabilmente avvelenato.

Il paese entra in una fase travagliata e gli eventi segnano l'apertura della politica e dell'economia; la costituzione cambia e decine di partiti si registrano per le nuove elezioni. I due partiti maggiori entrano in uno scontro frontale: La FLN (Fronte della Liberazione Nazionale) e il FIS (Fronte Islamico di Salvezza), che ambisce alla vittoria: Nel dicembre del 1991 il FIS stravince le prime elezione libere della storia del paese e nel gennaio 1992 l'esercito prende il potere con un colpo di Stato.  

L'immediata reazione degli islamisti al golpe fu la formazione di un movimento armato, dedito alla guerriglia e al terrorismo. Seguono sette anni di guerra civile con centinaia di migliaia di vittime; il terrore è presente su tutto il territorio. I settori produttivi girano a meno 20 per cento della loro capacità, le terre agricole vengono abbandonate e l'edilizia quasi si ferma..

Diventa subito chiaro che bisognava trovare delle soluzioni politiche; larghe parti del potere si organizzano e nel 1999 arrivano i primi accordi, grazie anche alla mediazione della comunità di Sant'Egidio, e con esse Boutiflika. Nessuna inchiesta e nessun processo per i numerosi crimini contro l'umanità commessi da entrambi, in cambio del rientro delle multinazionali per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e di gas. 

Bouteflika, durante il suo primo mandato, da outsider, costruisce il suo clan fatto da famigliari, parenti, amici e complici di vita e di politica, rafforzando il suo potere. Grazie all'aumento del prezzo del greggio riesce a eliminare ogni forma di opposizione e manda in pensione i potentissimi generali degli anni 90; riesce persino a cambiare la costituzione e fare, ben 4 mandati al posto di due. 

Poco prima di ripresentarsi per il quarto mandato, nel 2013, è colpito da un  ictus, che negli anni, nonostante le costosissime cure negli ospedali francesi e nelle cliniche private svizzere, è andato via via peggiorando. Oggi non è piu' in grado di esprimersi e ne' di muoversi.  

L'economia algerina è legata all'esportazione degli idrocarburi, e anche il potere dell'ottantaduenne presidente dipende dal petrolio, sceso da 110 dollari al barile a 60 dollari. Il crollo delle entrate corrisponde al crollo degli equilibri politici, costruiti su elargizioni salariali notevoli garantiti ai signori della politica. E' evidente che l'Algeria abbia bisogno di una svolta politica, ma nel clan del presidente non c'è nessuno che lo sostituisca; sono tutti o quasi tutti dei parassiti politici che vivono finchè vive lui.   

Un'Algeria instabile potrebbe avere gli effetti di una bomba che potrebbe mettere a rischio l'Europa da un punto di vista energetico e della sicurezza. L'Italia per motivi economici e di vicinanza puo' essere una delle vittime; l'ENI, presente nel paese dal 1981, occupa una superficie di circa 3`500 chilometri quadrati ed è in testa ai partner della Sonatrach, l'azienda di stato algerina creata il 31 dicembre 1963. È una delle principali aziende petroliere al mondo ed è la più importante sociétà per azioni africana. Nel 2017 le forniture di gas naturale algerino in quota ENI sono stati pari a 13.20 miliardi di metri cubi. Da non sottovalutare i problemi riguardanti la sicurezza, perchè l'Algeria, per la sua posizione geografica e per la ricchezza del sottosuolo, è terreno ideale per i miliziani jihadisti in fuga dai teatri mediorientali.  

L'ISIS sta mettendo a puntoun sistema di alleanze con gruppi combattenti islamici locali come la Fratellanza Mussulmana; e con le mafie dei gommoni che attraversano il Mediterraneo con i migranti..

Quindi una transizione non controllata aprirebbe un copione già visto: Instabilità, conflitti interni, porosità dei confini con tutti i problemi legati alle infiltrazioni dei tagliagole dell'ISIS.  

I giovani algerini meritano un presente e un futuro; un cambio di regime mal gestito rischierebbe di essere il loro peggiore nemico e una spina nel fianco per l'Italia, per l'Europa.

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