Italia. Tutto è pronto per l’arrivo del Prefetto tedesco

Il declino dell’Italia potrebbe essere a un momento decisivo. Il Governo potrebbe di fatto aprire le porte al Prefetto tedesco in diverse occasioni evocato.

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Cari lettori, vi voglio dare un consiglio, se permettete. E lo faccio dal cuore e con il cuore: fate come me, mettetevi l’animo in pace, armatevi di pop-corn e patatine e godetevi con il distacco tipico di una liberatoria ineluttabilità, la fine di questo Paese.  

È giusto così. Anzi, è addirittura auspicabile. Una dignitosa eutanasia politico-economica, tanto per non tirare in lungo un’agonia che sta perdendo anche i crismi della tragicità, l’epica decadente ma maestosa della “caduta degli dei” e sta letteralmente tracimando in barzelletta, oltretutto scontata e sconcia. E la politica, la tanto vituperata politica, è solo la cartina di tornasole di un degrado generale, talmente ampio, ramificato, esteso e dilagante da tramutarsi giorno dopo giorno in metastasi: vale per tutto, informazione come cultura, senso civico come coesione sociale, tenuta etica come profilo valoriale. 

  

 

Basta guardarsi attorno: aprire un giornale, guardare la tv, fare una passeggiata nel centro storico, ascoltare i discorsi al bar. Fino a poco tempo fa temevo che il Paese fosse ormai sul baratro, destinato a una titanica lotta per sopravvivere: mi sbagliavo, siamo come un golfista improvvisato e saccente che non riesce a uscire dal bunker e se la prende, nell’ordine, con mazza, pallina, vento, sabbia, green. Tutto, tranne ammettere la propria incapacità. Nell’intervista che ieri apriva Il Sussidiario, Mario Sechi sintetizzava in questo modo quella che a suo modo di vedere è l’unica, possibile via d’uscita a un epilogo tragico per governo e Paese, determinato dal caos dei mercati in autunno: «Un New Deal italiano in cui Salvini e Di Maio smettono di fare campagna elettorale e mettono insieme un trust di persone pensanti con il compito di elaborare un accordo rooseveltiano coerente che unisca Nord e Sud».

Mi piace pensare che in questo Paese ci sia ancora gente che sogna, però il tempo dei sogni è finito. Game over.

Salvini e Di Maio non possono smettere di fare campagna elettorale, per il semplice motivo che un istante dopo sparirebbero, fagocitati dal nulla che li contraddistingue, al netto di sparate buone per rappresentanti di padelle anti-aderenti in un mercato rionale.

 Guardate solo le ultime 36 ore, un esempio disarmante di come in realtà questo governo del cambiamento sia niente più e niente meno che un governo di cialtroni. Sul Def abbiamo sentito e letto tutto e il contrario di tutto: sì all’aumento dell’Iva per finanziare la flat tax, poi no all’aumento dell’Iva. Via gli 80 euro per finanziare la flat tax, poi marcia indietro.  

 

Per carità di patria taccio su questioni come l’obbligo vaccinale o la Tav o il fondo per le periferie, semplicemente perché il solo fatto di discuterle ci qualifica per quello che siamo in realtà: un Paese in via di sviluppo.E in grave ritardo, anche.

 Scusate, ma se voi foste la Commissione Ue o la Bce (e ho citato due organismi di fatto benevoli nei nostri confronti, ben altra cosa sono gli investitori privati, i mitici “mercati”), come valutereste un operato simile, al netto di un debito monstre e di dinamiche macro di una debolezza imbarazzante?

istat Italia. Tutto è pronto per l’arrivo del Prefetto tedescoGuardate questa schermata, è tratta dall’ultimo bollettino dell’Istat: se cala la domanda estera, leggi export, siamo al palo. Morti, abbracciati al nostro zero virgola di crescita come Leonardo Di Caprio al suo pezzo di scialuppa nella scena finale di Titanic

  

E in una situazione simile (ovviamente non imputabile al Governo attuale), con oltretutto la fine del Qe alle porte (quindi con pesanti ripercussioni sul servizio del debito, visto che l’80% delle nostre emissioni l’anno prossimo dovrà essere assorbito da soggetti privati e sul finanziamento extra-bancario delle imprese più grandi che non potranno più contare su emissioni allegre acquistate da Draghi), voi pensate di uscire dallo stallo e ripartire con il reddito di cittadinanza o la scritta “Nuoce gravemente alla salute” stampata sui Gratta e vinci? Per favore, siamo seri. Qui siamo di fronte a uno snodo che renderà il 2011-2012 una passeggiata nel parco e diamo il Paese in mano a Salvini e Di Maio? Dei 5 Stelle nemmeno parlo, visto che li ritengo la versione eterodiretta e meno intelligente di Scientology, ma della Lega sì, non fosse altro perché la conosco bene, avendoci vissuto all’interno per anni come giornalista de La Padania. E posso dirvi una cosa, mai cambiata di una virgola: si tratta di un partito a tre strati, come una torta.

Ha una leadership mediamente incapace e infarcita di arrivisti e professionisti dell’accoltellamento alle spalle, una base fideistica che vive nel culto acritico della leadership di turno, ma ha la fortuna di avere uno strato intermedio di amministratori locali – anche ai massimi livelli, come i governatori di Regione – con i fiocchi. Davvero con i fiocchi. Non a caso, sono quelli maggiormente colpiti dalle purghe dei vertici, ontologicamente allergici alle persone capaci e ai non leccapiedi del capo di turno in via Bellerio. Si fa un gran parlare, probabilmente a ragione, del presunto esodo di parlamentari e amministratori da Forza Italia proprio verso il partito di Matteo Salvini, ma nessuno si è posto il problema più grande, nessuno ha davvero voluto fare la prova del nove: chiedere a governatori, sindaci, assessori o semplici consiglieri comunali cosa pensano del reddito di cittadinanza, della messa in discussione dei piani infrastrutturali e delle Grandi Opere, del “Decreto dignità” e della sue ricadute sul piano occupazionale.

E sapete perché? Perché per quanto possano pubblicamente difendere la linea del partito e del governo, nel chiuso dei loro uffici e dei consigli comunali, si mettono le mani nei capelli. Per una semplice ragione: a differenza di chi sta a Roma e può permettersi il lusso di discettare sul sesso degli angeli o sul superamento del Parlamento per approdare alla democrazia diretta e di massa della Rete, alternando le discussioni con l’apologia del decotto di ali di pipistrello come rimedio naturale contro il morbillo, chi sta sul territorio deve preoccuparsi di far funzionare i mezzi pubblici, la raccolta dei rifiuti, l’erogazione dei servizi primari ai cittadini. E, nei centri più piccoli, magari di sostituire le lampadine e le panchine nel parchetto. Devono fare e non parlare.

Ecco perché quando sento avanzare l’ipotesi di cessare la campagna elettorale permanente, mi viene da ridere: e di cosa parlerebbero, di grazia, Salvini e Di Maio? Il primo campa a colpi di tweet da 13enne, neppure particolarmente intelligente, dalla spiaggia o dai comizi, mostrandoci cosa sta mangiando o cosa sta facendo ogni 30 secondi, come mostra plasticamente questa perla pubblicata ieri (foto in alto) e destinata a finire nei libri di storiografia politica.

Vi pare che il ministro dell’Interno di un Paese del G7 possa mettere in Rete una decina di idiozie simili al giorno, al netto di quanto sta accadendo nel Paese e del minimo sindacale di dignità professionale richiesta dal ruolo che ricopre?

 Il secondo, invece, vive come in Truman Show solo attraverso le dirette Facebook, grazie alle quali sappiamo anche quante volte va in bagno e se ha digerito bene il pranzo, salvo poi chiedere tempo e pazienza a chi ha l’ardire di ricordargli che, finora, parole tante ma fatti concreti pochini: insomma, tutto trasparente e in tempo reale,senza filtri oppure mediato dal buon senso, magari un po’ novecentesco, dei tempi necessari per fare le cose per bene? Ah, dilemma.

Ma un dilemma utile, perché altrimenti si correrebbe il rischio di guardare in faccia la realtà. La quale, ad esempio, nel caso di Salvini ci direbbe che – proclami e tweets a parte – gli sbarchi erano già calati a livello record con Minniti al Viminale (basta pagare i libici, non ci vuole l’acume di Churchill o l’arte mediatoria di Kohl per risolvere certi problemi, vedi la ricetta europea con la Turchia per blindare la “rotta balcanica”) e, al netto delle chiacchiere, il tanto pubblicizzato direttorio con Austria e Germania è passato in cavalleria, così come il grande successo ottenuto da Conte al Consiglio europeo, quello del “su base volontaria” che ci ha relegato a ruolo di potenziale hotspot d’Europa. 

Peccato che non più tardi di ieri la Germania abbia siglato un patto per il ricollocamento con la Spagna, alla vigilia dell’incontro fra Pedro Sanchez e Angela Merkel: e se il Paese che sta pagando maggiormente in termini di sbarchi la guerra interna all’Ue e quella personale del governo contro le Ong, si riavvicina a chi vuole blindare la frontiera Nord (con la Francia già in modalità fortezza), dubito che la missione Sophia – quella che, di fatto, vede i nostri porti aperti per legge – sarà cambiata in senso favorevole all’Italia, come millantato dal Governo. Ma non è questo il problema: il problema per Salvini è passare indenne l’estate e la sua emergenza sbarchi, arrivare con i consensi alle stelle in autunno.  

Poi si vedrà, magari pur di non dover affrontare l’umiliazione di dover ammettere che flat tax e rottamazione della Legge Fornero non si faranno mai, troverà l’alibi per rompere e tornare all’ovile, quello nei dintorni di Monza.

È la realtà, signori: altrove i politici fanno i fatti, qui si limitano ai tweet e i post, cavalcando l’onda lunga del populismo. Di Maio, poi, non solo ha dato vita a un decreto che è riuscito nel miracolo di mettere d’accordo – nel giudizio negativo al riguardo – chiunque abbia lavorato realmente almeno 10 minuti in vita sua, ma ha anche trasformato il tavolo negoziale sul futuro della principale industria siderurgica italiana in una sagra di Paese, a cui erano invitati tutti. Talmente intelligente, come idea, da aver spinto il sindaco di Taranto, personalità vagamente parte in causa, a disertare direttamente l’appuntamento.

E questi dovrebbero dar vita a un New Deal, capitanando un trust di cervelli competenti? Temo sia più facile che l’Udinese compri Messi e Mbappè insieme, giusto per farli allenare ma tenendoli poi in panchina, preferendo Behrami e Lasagna. Quindi, cari lettori e amici, mettetevi davvero l’animo in pace e, paradossalmente, sperate che i mercati facciano ciò che devono fare in autunno: ovvero, liberarci da questa fase terminale e farsesca di un declino che, questo va ammesso, ha radici lontane e non va certamente imputato interamente agli ultimi arrivati al potere. Sono solo dei curatori fallimentari da film di Totò, capaci però di fare danni accessori, visto che vogliono mettere mano e becco in cose da grandi, mentre mandano in malora il Paese: vedi l’indegno spettacolo da lottizzazione vecchia maniera delle nomine negli Enti e nelle aziende a controllo pubblico.

Qualcuno, non mi ricordo chi, disse che l’Italia è un Paese straordinario che però necessita di un prefetto tedesco per tenerlo a bada e farlo funzionare. Lo penso anch’io e, forse, stavolta ci siamo davvero.

E tranquilli, perché a pensarla così, con il passare ormai delle ore e nemmeno più dei giorni, sono sempre più elettori anche della Lega, fidatevi. Perché chi lavora e deve far quadrare i conti non ha tempo da perdere con la decrescita felice e la democrazia del web degli alleati di turno: deve pagare affitto o mutuo, bollette, rette scolastiche e spesa al supermercato. Attività terribilmente noiose e borghesi per le menti illuminate della Casaleggio Associati, forse, ma che restano il fondamento di ogni società civile e Paese sviluppato. Piaccia o meno.

Dai, abbiate pazienza ancora qualche settimana. Poi, forse, insieme al clima più fresco arriverà finalmente anche il prefetto tedesco. E, stante la realtà, sarà molto meno cattivo di quanto non vi abbiano sempre raccontato. Soprattutto se sarete così rivoluzionari da vivere compiendo quotidianamente, nel vostro piccolo, un atto che ormai in questo Paese è visto come un’attività eversiva: fare il proprio dovere. Ma, soprattutto, fare

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