«Sono omosessuale, non sono gay», diceva Franco Zeffirelli (morto il 15 giugno). Nella foto è con il cardinale Edward M. Egan alla parata del Columbus Day del 14 ottobre 2002).
Per Zeffirelli la parola inglese sarebbe stata «frutto della cultura puritana, una maniera stupida di chiamare gli omosessuali, per indicarli come fossero dei pazzerelli».
La sua fede cattolica non rappresentava per lui un conflitto con la propria sessualità perché «il peccato della carne» è «tale se compiuto con un uomo o con una donna». Nel suo approccio alle tematiche LGBTQ c’era anche una lettura storica: «Essere omosessuale – spiegava in un’intervista all’Espresso del 2013 – è un impegno molto serio con noi stessi e con la società. Una tradizione antica e spesso di alto livello intellettuale».
Zeffirelli pensava al Rinascimento, ma anche all’epoca classica: «Nella cultura greca l’esercito portava gran rispetto a due guerrieri che fossero amici e amanti, perché in battaglia non difendevano solo la patria, ma reciprocamente anche se stessi, offrendo una raddoppiata forza contro il nemico».
Il regista sul tema poneva anche una questione anagrafica. Ricordando di avere molti amici gay che vivono in coppia, specificava però che si tratta di «scelte mature, ponderate.
In età più giovane, ci si prende, ci si lascia con grande facilità: non c’è un legame di consacrazione e quindi si tende a svicolare. È un mondo incostante, insomma».
Un' esperienza che Franco Zeffirelli visse a guerra finita a Firenze, al Teatro della Pergola, dove era assistente scenografo, e dove incontrò Luchino Visconti. Zeffirelli diventò suo aiuto regista e collaborò, fra l'altro, alla produzione di capolavori cinematografici come "La terra trema" e "Senso".
«Per me Luchino era il modello di tutto quel che conta davvero, un uomo complesso, autoritario e umile, egoista e generoso, folle e saggio. Un tormentato Don Giovanni e un aristocratico dal sesso facile».
Convisse con Visconti nella sua villa in via Salaria a Roma. Il rapporto tra i due si deteriorò quando, dopo un furto in casa, Zeffirelli fu portato in commissariato insieme alla servitù. Chiarita la sua innocenza ma offeso nell'animo, ebbe modo di riflettere: in quegli anni sotto la protezione di Visconti aveva avuto occasioni di lavoro incredibili, conoscenze importanti.
Era però giunto il momento di emanciparsi, anche se non fu facile: il "conte rosso" era l'intellettuale più ammirato d'Italia, incensato persino da Togliatti.
«Comunista lui?», si chiedeva Zeffirelli. Spiegava: «Licenziò su due piedi un cameriere perché si era dimenticato di pettinare i gatti persiani. Anche mentre si provava in teatro chiamava un domestico a lisciarli. Gridava: se non mi fate fare quello che l'istinto mi ispira, me ne vado su due piedi!».
Diverso invece il suo giudizio sulle forme contemporanee, anche culturali, con cui gli omosessuali si pongono nei confronti della società e le modalità con cui da questa vogliono essere riconosciuti.
Netto, ad esempio, il suo giudizio sui Pride: «Esibizioni veramente oscene, con tutta quella turba sculettante».
Contrario anche ai matrimoni fra persone dello stesso sesso e alle adozioni, Zeffirelli, per cui «non c’è alcun bisogno di mettersi lì a creare una pseudofamiglia “legale” a vanvera, per me ridicola e inaccettabile. Basta sistemare le cose tra persone civili: se viviamo insieme e magari compriamo una casa, chiariamo anche le questioni delle quote, tra persone intelligenti che si vogliono bene».
Ci vuol poco a capire che Franco Zeffirelli era un conservatore a tutto tondo, con giudizi sulla diversità pesanti come pietre.
Così il tema della sua omosessualità, soprattutto negli ultimi anni, in tempi in cui è più facile affrontare il tema rispetto a quelli in cui era cresciuto il regista, diventa per lui un pretesto per prenderne le distanze e richiamare l'attenzione sulla sua eccezionalità di artista, piuttosto che sulla sua diversià sessuale. Un modo, tra i suoi tanti, per non alinearsi la simpatia di alcuno, da vivo e poi da defunto.
Laura Menti