Merda eris
di Alceste
Da una delle tante gazzette digitali:
“Lo stato di Washington ha legalizzato il compostaggio dei cadaveri: è il primo stato degli Stati Uniti in cui si potrà scegliere di trasformare i propri resti in terriccio,
da far consegnare ai propri cari per essere usato per piantare fiori o alberi. Il processo è considerato dai suoi sostenitori come un’alternativa alla sepoltura e alle cremazioni più rispettoso dell’ambiente, oltre che vantaggioso per le città dove ormai lo spazio per i cimiteri è molto ridotto …”
Da subito, l’excusatio non petita … l’ecologismo straccione e il baluginio del vantaggio: lo spazio in più, addirittura, in uno Stato in cui la densità di scarafaggi per chilometro quadrato è 40,77 (in Svezia, invece, l’unica altra porzione di merda sulla Terra in cui ciò è permesso, equivale al 23,1; in Italia è del 199, 82).
Si continui la danza:
“A fare pressione per l’introduzione della legge è stata Katrina Spade, fondatrice dell’azienda Recompose, che sarà la prima a fornire il servizio di compostaggio dei cadaveri nello stato di Washington. Il metodo proposto da Recompose funziona così: il corpo della persona morta viene messo all’interno di un contenitore di acciaio esagonale riempito con erba medica, schegge di legno, paglia, altri materiali organici e batteri; il contenitore viene poi sigillato e riscaldato a 55°C: nel giro di 30 giorni si decompone naturalmente, trasformandosi in un terriccio ottimo per concimare. È lo stesso metodo già usato da anni da molti allevatori per gestire i resti del bestiame”.
Si noti come le parole rivelino a chi si predispone alla rivelazione: “i resti del bestiame“. Mi pare sia stato Marco Della Luna a coniare il neologismo “governo zootecnico”; ora siamo all’upgrade: Monarchia Zootecnica.
Ed ecco il terzo giro di valzer, l’ultimo:
“L’infrastruttura è semplice. All’interno del nucleo verticale, i corpi e i trucioli sono sottoposti a decomposizione naturale accelerata, o compostaggio, e vengono trasformati in terreno. Quando qualcuno muore, il corpo viene trasportato alla struttura di compostaggio umano. Dopo aver avvolto il defunto in un semplice sudario, amici e familiari trasportano il corpo in cima al nucleo, che contiene il sistema di decomposizione naturale. Durante la cerimonia di posa, adagiano delicatamente il corpo all’interno del nucleo e lo coprono con i trucioli di legno. Inizia così la delicata trasformazione dell’essere umano in terreno. Nelle settimane successive, il corpo si decompone naturalmente. Microbi e batteri spezzano il carbonio, poi le proteine, per creare una sostanza nuova, un ricco terreno fertile. Questo terreno può essere usato per far crescere nuova vita. E alla fine, potremmo diventare … un albero di limone”.
Confessiamolo: diventare un albero di limone è una bella aspirazione. Una volta, a scuola, si veniva interrogati sul proprio futuro: voglio diventare astronauta, medico, calciatore; ora ci stiamo avvicinando gradatamente all’inorganico, a grandi passi, nel silenzio totale degli ex centri spirituali dell’ex umanità.
Detto fra noi, ho in uggia la mia trasformazione in limone; opterei per il basilico. Le reminiscenze letterarie non mi abbandonano nemmeno di fronte al nichilismo, come potete notare: divenire basilico, come l’amante di Lisabetta nella novella del Boccaccio (Giornata IV, 5). Il lamento funebre della Messinese per l’uomo amato, ucciso dai fratelli, la testa in un vaso a vivificare il basilico innaffiato da lagrime quotidiane …
“I fratelli d’Ellisabetta uccidon l’amante di lei; egli l’apparisce
in sogno e mostrale dove sia sotterrato. Ella occultamente
disotterra la testa e mettela in un testo di bassilico; e quivi
su piagnendo ogni dì per una grande ora, i fratelli gliele
tolgono, ed ella se ne muore di dolore poco appresso”
Boccaccio era pulp prima che inventassero il pulp; Dante, da par suo, anticipò il rap mentre i canti degli schiavi nelle cave di marmo a Carrara il blues: l’Italia, signori, è l’Italia: ci si ritrova tutto.
Ogni tanto qualcuno se ne esce fuori cercando di vendervi l’aria fritta; e ci riesce; l’arrosto, però, già fu cucinato da noi, con mille anni di anticipo o su di lì (gl’Inglesi si effonderanno grati sulla storia di Lisabetta, da John Keats a Oscar Wilde, con mezzo millennio di ritardo).
Ma torniamo alla merda di Seattle (e di Svezia: un giorno scriveremo di come un popolo fiero si sia ridotto ad avanguardia del Nulla).
Quali considerazioni estrarre da tale concime? A parte le excusationes di cui sopra, buone per i gonzi?
La prima blanda considerazione è questa: il concime è l’antipasto del mangime. Non altro. Quando non si ravvedono vere giustificazioni a un atto della Monarchia Universale significa che il fine è Altro; i mezzi, in tal caso, non giustificano il fine consistendo, il Fine, in ben Altro.
A tempo debito, dieci venti trent’anni, dai limoni passeremo alle cotolette energetiche. Mangiare i propri parenti liofilizzati e insaporiti agli spinaci (magari educati grazie alle ceneri della zia, ammessa l’esistenza dei parenti fra qualche decennio: il diritto familiare è un crogiolo di ideuzze niente male) potrà essere, peraltro, motivo di vago divertimento. Blood II o il celeberrimo Soylent Green assurgeranno, allora, a profezie di qualcosa di desiderabile.
Dacché questo è il segreto: ogni passo della Monarchia è desiderato da voi tutti. Voi lo volete, poiché mai dite “no”, un “no” che equivale a un “no”. Proferite “no” con le labbra, ma, in realtà, amate tutto questo. Come nella stanza di Stalker in cui i desideri più profondi, non quelli a parole, si avverano. “Voglio che mio fratello torni in vita!”, poi, invece, il protagonista si ritrovava ricco … il cuore non mente mai.
Rimane dubbio se tali cotolette o spinacine potranno condirsi con il sopraddetto limone: chi vivrà vedrà.
Il progetto, ora in erba, è il caso di dirlo, si svilupperà impetuosamente: i tarli non dormono mai, sempre lì a rodere, di notte, di giorno, col freddo o il caldo; pochissimi li odono; agli altri, i fresconi, quelli che russano a piene nari, succede questo: un giorno vanno ad aprire il cassetto del mobiletto per prendere una camicia e il mobile gli si sfarina davanti in una nube di segatura: “Ma cosa è successo?”.
Tarli svedesi, topi di Seattle e cavallette di varia natura sono instancabilmente all’opera; i disinfestatori, nei pressi del Vaticano, o presso altri centri altrimenti detti: spirituali, russano che è un piacere.
Credo che tale progetto andrà avanti spedito. Meglio così. La materia prima non manca. La maggior parte degli esseri umani, peraltro, si fa trovare pronta ben prima di tirare le cuoia. “Ci sono uomini che vivono solo come passaggio per la merda e per riempire cessi e buglioli” scriveva il Nostro; lui lo scriveva e io lo ripeto, autocitandomi, poiché non ho più voglia di sforzarmi.
Scrivere, in effetti, serve a niente.
Le linee guida sono tracciate. Gli eventi davvero importanti, come questo, di cui l’episodio in questione costituisce un indizio apparentemente trascurabile, sono preteriti dai più, impegnati costantemente a manovrare gli alambicchi dell’attualità: a che percentuale possiamo stimare la purezza del sovranismo della Meloni? Se lo ripetono fra di loro, senza ridere; e già preparano la tessera elettorale: uno spettacolo inverecondo.
Potremmo obiettare, con Eraclito: “I morti sono da gettare via peggio dello sterco”, corredando, magari, l’aforisma con qualche citazione platonica da liceo. Se erano d’accordo loro!
L’obiezione è facile da respingere.
La tragedia del postmoderno sta nella propria angustia.
Si vive nel cono di luce della vita terrena.
Non v’è redenzione, né la liberazione nella sapienza di qualcosa di superiore.
La vita individuale, questo scialo di triti fatti, è tutto ciò che ci resta.
Impossibile inscrivere questo tramestio in un disegno più ampio. A forza di giocare al ribasso ci si ritrova con un epicureismo da poltrona.
Va da sé che, ormai, all’essere umano non resta che una doppia scelta: o avere una paura abietta della morte e sopravvalutare sino al ridicolo gli andirivieni terreni (la libertà, i diritti …); o svalutare del tutto il secolo e, più o meno nascostamente, suicidarsi. Ci sono vari modi per suicidarsi; spararsi nel cervello o gettarsi da un ponte sono le modalità più banali (presto, non occorre preoccuparsi, per tali démodé interverrà una regolamentazione ad hoc). Trascorrere una serata guardando in televisione una partita di cui si sa già il risultato, invece, è già una variazione sul tema più apprezzata dal Potere.
Il rifiuto della Morte, come opposizione alla Vita, entrambi i poli ricompresi nell’Uno, così come il Bene e il Male, ci ha condotti, come vedete, alla morte da entropia, al terriccio da concime.
C’è modo di tornare indietro? No, una volta rotte le uova si prosegue nella frittata. Per riavere le uova bisogna allevare un pulcino, con molta pazienza. Sempre che ne esistano ancora.
Fonte: http://alcesteilblog.blogspot.com