Never Going to Italy (Non andare mai in Italia)
Caro Ian questa traduzione è un regalo per te. So che darà alimento alle idiosincrasie che ti sei "cucite addosso" e ironicamente raccontate in stile "Unbirthday" . Ma te lo meriti comunque per tutti i moma che hai diffuso nelle città italiane. Così ti leggeranno pure degli italiani, probabilmente gustandosi un espresso, come se fosse miscelato da Starbuks.
Da sempre una delle mie aspirazioni è di non andare mai in Italia. Quando ero ragazzo, in Ohio, i miei genitori mi esortavano a desiderare qualcosa di più realistico, come non andare mai da nessuna parte nel Missouri (a diversi Stati di distanza). Mamma e papà sapevano che non andare mai in Italia sarebbe stato una fantasia irraggiungibile per persone come noi. Ma io continuavo a sognare, mentre scorrevo le mie liste di luoghi in Italia che temevo di vedere, cibi che speravo di non mangiare, e le famose cattedrali che non volevo visitare. Dopo tutto, la parte di maggior divertimento del non viaggiare mai da qualche parte sta nella pianificazione. I miei genitori hanno avuto la saggezza di permettermelo, anche se sapevano che la delusione sarebbe di sicuro arrivata.
Un innato temperamento artistico mi ha creato ulteriori problemi, sono infatti molto sensibile alle arti visive. Per quanto mi sforzi a ripulire il mio cervello da tutte le conoscenze sulla pittura e scultura, proprio non ci riesco. Con grande sforzo, mi sono sbarazzato di ogni parola del vocabolario degli amanti dell'arte, tranne che per la fastidiosa e incontrollabile: "Provenienza". Ancora oggi, se mi trovo a un cocktail quando in una conversazione,viene citata un'opera d'arte particolare, dalla mia bocca, salta fuori la domanda "Sì, ma qual è la sua provenienza?" A quanto pare, "provenienza" è l'unica parola di cui hai bisogno per cadere in un pozzo senza fondo di discussioni sull'arte e che sembra portare sempre all'Italia (di solito a parlare del Vasari). Per quanto mi riguarda, in questa direzione sta la follia.
Ho anche una debolezza strana e deplorevole quella di aver inventato acronimi orecchiabili per i musei d'arte. Anche quando decido fermamente di usare per intero il nome corretto di un museo ogni volta che il museo viene fuori, la mia naturale inclinazione mi tradisce. Per esempio, cerco fedelmente di dire "the Museum of Modern Art", ma quello che mi viene fuori è invece "moma" (un acronimo che ho inventato qualche anno fa). E se voglio riferirmi al Los Angeles County Museum of Art con il suo nome completo, mi scappa di dire "lacma", acronimo popolare che mi sono inventato (anche se, lo ammetto, è molto più breve e maneggevole). Non molti sanno che sono la persona che ha introdotto l'uso di chiamare il famoso Musée du Louvre, a Parigi, "mudulou" (si pronuncia "moo-doo-loo"). In queste mie creazioni, ormai ampiamente adottate, scorgo uno spettro vago e minaccioso che in qualche modo mi attira inesorabilmente verso l'Italia - e tremo.
L'altro giorno me la sono vista brutta. Ero su un aereo che è stato dirottato da Heathrow verso l'Italia, a causa del maltempo. Ora, io considero Heathrow la mia seconda casa. Come cittadino del mondo (ad eccezione dell'Italia), avrei preferito che il volo sfidasse la tempesta in modo da potermi rilassare nella sala V.I.P. dei Cittadini del mondo di Heathrow (Italia esclusa). Il pilota dell'aereo era però il tipo robusto che assomiglia ad un modello maschile e quindi cerca l'habitat naturale del modello maschile, cioè l'Italia. Il volo continuava ad andare avanti, diretto in Italia, mentre io sudavo sul sedile. Il sogno di una vita stava per giungere a una fine ingloriosa. Poi, dieci minuti prima di entrare nello spazio aereo italiano, il tempo sopra Londra è migliorato e l'aereo si è riorientato. Il mio sogno è ancora vivo! Ho cominciato a piangere tranquillamente. Mi sono detto: "Attieniti ai tuoi sogni! Non andrai mai in Italia, se solo credi che non lo farai".
Questa mia esperienza quasi italiana mi ha solo reso più determinato. Non andare mai in Italia potrebbe comportare molte difficoltà, ma credo di esserne all'altezza. Per prima cosa, dovrò essere in condizioni fisiche peggiori. In questo modo, quando qualcuno mi domanderà sul perché non sono ancora andato in Italia, potrò rispondere: "Non posso! Troppo fuori forma! Secondo, dovrò scrivere un libro per denunciare la criminalità organizzata in ogni grande città italiana. A questo punto il governo italiano non mi permetterà di attraversare la frontiera, a causa dei costi in uomini della sicurezza che si dovrebbero sostenere per una mia maggiore protezione. E, terzo, perderò il passaporto! Il bello di questa strategia sta nella sua semplicità. Sono sorpreso di non averlo mai pensato prima.
Già sento schiere di frequentatori dell'Italia, che mi dicono che sto soltanto mentendo a me stesso. Ma rispondo guardate la cosa in quest'altro modo: non sto indossando una piccola bandiera, conducendo un gruppo di turisti da una basilica ad un'altra, nè ti spingo mentre cerchi di dare un'occhiata più ravvicinata a quello splendido Vasari. Nei luoghi più frequentati d'Italia, date un'occhiata all'angolo meno affollato. La persona che non sta lì in piedi sono io.
"Italy" by Ian Frazier The New Yorker print edition - March 11, 2019
This article appears in the print edition of the March 11, 2019, issue, with the headline “Italy.”
Ian Frazier is a staff writer at The New Yorker and most recently published “Hogs Wild: Selected Reporting Pieces. The original article is transcribed below
Never Going to Italy
One of my lifelong ambitions is never to go to Italy. When I was a boy, in Ohio, my parents urged me to wish for something more realistic, such as never going anywhere in Missouri (several states away). Mom and Dad knew that never going to Italy would be unattainable for people like us. But I kept dreaming, as I pored over my lists of places in Italy I dreaded to see, foods I hoped not to eat, and famous cathedrals I did not want to go on tours of. After all, a big part of the fun of never travelling somewhere is in the planning. My folks had the wisdom to allow me that, though they knew the disappointment sure to come.
My own inborn artistic temperament created an additional problem, because I happen to be highly susceptible to the visual arts. Much as I try to scrub my brain of all knowledge of painting and sculpture, I can’t. With great effort, I got rid of every word in the art lover’s vocabulary except for one pesky holdout: “provenance.” Even today, if I find myself at a cocktail party and a particular work of art comes up in conversation, out of my mouth always leaps the question “Yes, but what is its provenance?” As it turns out, “provenance” is the only word you need in order to fall into a bottomless pit of art-related discussion that always seems to lead to Italy (usually by way of Vasari). For me, in this direction lies madness.
I also have a strange and regrettable weakness for inventing catchy acronyms for art museums. Even if I firmly resolve to use a museum’s entire name whenever that museum comes up, my natural bent betrays me. For example, I faithfully try to say “the Museum of Modern Art,” but what I blurt out instead is “moma” (an acronym I invented some years ago). Similarly, I always want to refer to the Los Angeles County Museum of Art by its full name, and never say “lacma,” the popular acronym I came up with (though it is, I admit, much shorter and handier). And not many people know that I’m the person who thought of calling the famous Musée du Louvre, in Paris, “mudulou” (pronounced “moo-doo-loo”). In these now widely adopted coinages of mine, I discern a vague, threatening spectre somehow inexorably drawing me toward Italy—and I tremble.
I had a close call the other day. I was on an airplane that was diverted from Heathrow to Italy, because of bad weather. Now, I consider Heathrow my second home. As a citizen of the world (except for Italy), I would have preferred that the flight brave the storm so that I could relax in Heathrow’s Citizens of the World (Except for Italy) V.I.P. Lounge. But the pilot of the plane was the rugged type who looks like a male model and therefore seeks the male model’s natural habitat—i.e., Italy. The plane kept on going, Italy bound, while I sweated in my seat. The dream of a lifetime was about to come to an inglorious end. Then, ten minutes before we entered Italian airspace, the weather over London cleared and the plane turned around. My dream still lived! I began to weep quietly. I told myself, “Hold on to your dreams! You will never go to Italy, if only you believe you won’t!”
This near-Italy experience has only made me more determined. Never going to Italy might take a lot of sloth, but I believe I am up to it. First, I’ll need to be in the very worst physical condition. That way, when someone interrogates me about why I haven’t yet gone to Italy, I’ll answer, “Can’t! Too out of shape!” Second, I’ll have to write a book exposing organized crime in every major Italian city. Then the Italian government will not allow me to cross the border, because of the potential costs of heightened police protection. And, third, I’ll lose my passport! The beauty of that strategy is in its simplicity. I’m surprised I’ve never thought of it before.
I can hear the Italy-goers, in their multitudes, telling me that I’m only cheating myself. But look at it this way: I’m also not carrying around a small flag, leading a tour group into one basilica or another and bumping into you as you try to get a better look at that gorgeous-whatever Vasari. In the busiest Italian places, check out the one less-crowded corner. 
Illustration by Luci Gutiérrez
The person helpfully not standing there is me.
