Alla ricerca (col gay-dar) della Golden Star
Le lesbiche si raccontano: dal lessico al dress code. Butch, femme, tomboy, lipstick e chapstick. Sono cinque categorie di lesbiche con le quali “ci si classifica, ma per scherzo, non succede davvero”, a raccontarlo sono le ragazze dell’Arc onlus, Giorgia, Mariangela, Marta, Martina e Tatiana.
Butch è “la lesbica molto maschile“, comincia Giorgia. Butch “è un nome proprio che nei paesi anglofoni, a quanto pare, è molto diffuso tra i camionisti. Infatti – continua Tatiana – noi le butch le chiamiamo direttamente camioniste”. In genere indossano “vestiti di taglio maschile – dice ancora Giorgia -, magari un po’ larghi per nascondere le forme del corpo. Hanno i capelli cortissimi e detestano il maquillage”. Ma “per essere butch bisogna avere il physique du rôle”, sottolinea Tatiana, “vuol dire corpo massiccio e lineamenti duri”.
La femme sono invece le “lesbiche molto femminili in modo naturale“, spiega ancora Giorgia. “Praticamente sono quasi insospettabili”. Infatti “mandano in tilt il gay radar”, come lo chiamiamo noi, dice Marta -. È detto anche gay-dar: è una sorta di sesto senso per individuare una lesbica. Del resto, quando si entra nei locali non per omosessuali, tutte veniamo considerate etero. Ecco perché abbiamo imparato a riconoscerci, anche solo in base agli sguardi”.
La tomboy “è un’altra sfumatura del maschiaccio“, fa sapere Tatiana. “Ma a differenza della butch, mantiene alcune caratteristiche femminili”. Mariangela puntualizza: “Pur essendo una donna maschiaccio, non rinuncia al rossetto o più spesso alla matita sotto gli occhi o al kajal”. La tomboy indossa abiti casual, non usa orecchini, ma al massimo piercing. “I capelli, però, non sono necessariamente corti a differenza della butch”, dice Martina.
La lipstick è una variante della femme. “Ma la sua femminilità, oltre che naturale, è voluta e ricercata“, sottolinea Giorgia. La lipstick “sfoggia orecchini, accessori e trucco. E anche nell’abbigliamento utilizza capi che fanno molto donna”.
Infine la chapstick. “Il termine – ricorda Giorgia – lo ha coniato l’icona lesbica per eccellenza, l’attrice americana nonché conduttrice tv, Ellen Lee DeGeneres. Ospite in un programma televisivo, le venne chiesto a quale categoria appartenesse e lei rispose chapstick”. Ovvero, “la marca di burrocacao più diffusa in America, l’equivalente del nostro Labello – chiarisce Marta -. Lei disse che si sentiva così, una tra tante. Proprio per spiegare che non voleva definirsi o essere definita da altri in base al suo orientamento sessuale”.
Fuori categoria, ecco la Golden Star. “È la stella dorata – conclude Giorgia -: la lesbica che non ha mai avuto storie con uomini. Ha cominciato a fare sesso direttamente con le donne”.
Tra le parole che si usano molto nel mondo Lgbt (Lesbiche, gay, bisessuali, transessuali), c’è pure queer. Tanto che si parla ormai di Lgbtq. Queer, letteralmente, vuol dire eccentrico, insolito. Deriva dalla parola tedesca “quer” che , a sua volta, significa “di traverso”, “diagonalmente”. Di fatto si indica tutto ciò che non è eteronormato.
ARC come abbreviazione di arcobaleno, arcu ‘e chelu e arc-en-ciel, simbolo internazionale dei movimenti omosessuali. È così che si chiama l’associazione sarda, culturale e di volontariato, nata il 1º dicembre del 2002 a Cagliari, che difende e promuove i diritti della comunità L.G.B.T.Q. (lesbica, gay, bisessuale, transgender e queer) e combatte ogni forma di discriminazione delle persone omosessuali e transessuali. ARC si definisce inoltre democratica e pacifista, ecologista, antirazzista e antitotalitaria, libertaria e avversa al neoliberismo.
Al. Car.
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