Coronavirus, la teoria di Donald Trump ci porta alla disperazione

La pandemia in giro per il mondo/Il Coronavirus, visto da Toronto

Il 23 marzo Trump ha ventilato l’idea di rimandare tutti al lavoro nel giro di alcune settimane, ignorando ogni consiglio dei medici e dei virologi. Benché il 28  marzo il Presidente americano abbia cambiato idea rinunciando alla quarantena per gli Stati di New York, del New Jersey e del Connecticut da questa si sta radicando la convinzione che l' "economia" sia più importante della morte da Covid  19, " Se prevalgono le idee di Trump sarebbe la fine per milioni di persone condannate alla fame", sostiene  lo scrittore Justin Podur che vive a Toronto ed è l' autore di questo articolo. 

di Justin Podur

trump1716Sto scrivendo mentre nel mondo ci sono 585 mila casi attivi, 26 mila morti e con solo Cina e Corea apparentemente sotto qualche genere di controllo (utilizzando uno strumento di metrica sociale, Worldometer).
Il pacchetto di stimolo annunciato dal governo statunitense è di due trilioni di dollari, ma senza protezioni del lavoro, congelamenti degli affitti o un sostegno significativo al reddito della maggior parte delle persone.
A cosa rivolgersi per analogie che ci aiutino a capire il momento? Alla crisi dell’AIDS? Alla crisi economica del 2008? Alla SARS?
Ogni analogia può cogliere una parte della vicenda. Il 23 marzo Trump ha ventilato l’idea di rimandare tutti al lavoro nel giro di settimane, ignorando il consiglio di scienziati della sanità pubblica.
A questo hanno fatto eco il negazionismo di Bolsonaro in Brasile e i discorsi iniziali di Boris Johnson di perseguire l’”immunità di gregge” “beccandocela” [l’epidemia], idea da cui i suoi ministri hanno fatto marcia indietro pochi giorni dopo.  
Su questo specifico argomento, la priorità delle previsioni economiche rispetto a quelle scientifiche, c’è una chiara analogia con l’ultimo grande impero, l’Impero Britannico, con la sua speciale propensione a far morire di fame masse di milioni di persone.
 
Quando l’Impero Britannico si estese nel diciottesimo secolo, i suoi intellettuali svilupparono l’insieme di idee perfetto per un impero: l’economia classica.
La ricchezza delle nazioni’ di Adam Smith fu pubblicato nel 1776, dopo numerose guerre genocide contro popoli indigeni nelle Americhe e l’inizio dell’Impero in India. David Ricardo, Thomas Malthus e John Stuart Mill contribuirono tutti alla teoria classica.
Non appena gli imperialisti consolidarono il loro controllo, smantellarono sistemi governativi locali di prevenzione della fame di masse e iniziarono le carestie in tutta l’India.
Shashi Tharoor le ha elencate nel suo libro ‘Inglorious Empire’ a partire dal Bengala nel 1770 e poi a Madras, Delhi e Bombay fino al 1943.
Nel solo ventesimo secolo 35 milioni di persone sono state uccise dalla carestia imposta dai britannici in India.
 
Nel nome delle stesse dottrine, i britannici avevano affamato anche gli irlandesi.
La carestia delle patate del 1845-9 cadde in tale periodo e gli irlandesi furono vittime delle stesse dottrine. Edward O’Boyle nel 2006 ha collegato l’economia classica alla carestia irlandese e ha identificato i principi dell’economia classica come: 1. la legge dell’egoismo; 2. la legge della libera concorrenza; 3. la legge della popolazione; 4. la legge della domanda e dell’offerta; 5. la legge ferrea dei salari; 6. la legge della rendita e 7. la dottrina del libero scambio.
Prese insieme, queste leggi, come scrisse il critico Karl Polanyi del mercato autoregolante: “non potrebbero esistere per un qualsiasi arco di tempo senza cancellare la sostanza umana e naturale della società; avrebbero distrutto fisicamente l’uomo e trasformato il suo ambiente in una landa desolata”.
Durante una delle molte carestie indiane (India meridionale, 1876-78) il viceré britannico Lord Lytton dichiarò: “non devono esserci interferenze di alcun genere da parte del governo con l’obiettivo di ridurre il prezzo del cibo”. Johann Hari racconta la vicenda di un dirigente britannico, Sir. Richard Temple, che, quando importò del cibo da distribuire agli affamati durante un’altra carestia, fu denunciato dalla rivista Economist per aver dato agli indiani l’idea che “sia dovere del Governo mantenerli in vita”.
Durante tale impero la teoria economica classica e la carestia si sommarono senza soluzione di continuità con il razzismo in una miscela tossica.
O’Boyle cita una conferenza dell’economista classico William Stanley Jevons:
“Una carestia finisce con l’essere considerata una specie di evento naturale… la guerra è … uno stato normale delle cose nelle società primitive. Gli indiani dell’America del Nord, ad esempio, la loro unica occupazione seria, il loro solo divertimento, era la guerra… il modo in cui vivono gli irlandesi, in alcune delle nostre grandi città e in alcune parti del loro stesso paese, rendono probabile a priori che moriranno rapidamente”.
I britannici ebbero un impero di carestie. Noi viviamo in un impero di sanzioni.
Mentre Iran, Venezuela e Gaza si incrinano sotto la tensione simultanea di pandemia e assedio, diplomatici chiedono agli USA di sospendere le sanzioni fino a quando la crisi attuale non sarà passata. Inutilmente:  l’assassinio di massa col telecomando è un punto cardine della politica statunitense troppo solido per essere sospeso a causa di qualcosa di così banale come una pandemia globale.
 
In quale misura l’economia è stata affinata nei secoli? In quale misura è divenuta più radicata su prove?
Un’abbondanza di letteratura di studiosi appena esterni all’economia convenzionale sostiene: “non molto”.
Nel 2001 l’economista eterodosso James Galbraith scrisse un articolo elencante cinque affermazioni largamente condivise della professione economica moderna (“l’inflazione… è un fenomeno monetario”; “la piena occupazione senza inflazione è impossibile”; “l’aumento delle differenze di salari deriva dal cambiamento tecnologico”; “aumentare il salario minimo causa disoccupazione”, “una crescita sostenuta non può superare il 2,5 per cento l’anno”), come ciascuna di esse fosse screditata dall’evidenza economica e come continuavano a essere sostenute nonostante l’evidenza.
Lo stesso anno l’economista eterodosso australiano Steve Keen pubblicò Debunking Economics: The Naked Emperor of the Social Science a proposito dei difetti teorici ed empirici dell’ortodossia prevalente.
Un decennio dopo, nel libro ECONedYves Smith ha raccolto un rosario dei modi in cui sono costruiti gli assunti dei modelli economici non reggono di fronte ai dati (dall’equilibrio del mercato alla curva della domanda).
Opere simili abbondano, così come approcci interessanti alle economie reali che sono respinti dalla tradizione economica.

La convenzione è riferita talmente impermeabile a idee alternative che in università gli economisti eterodossi sono destinati a tipi diversi di programmi, come economia politica alla Stanford, o economia e studi politici alla Notre Dame, che è stata separata dalla Facoltà di Economia nel 2003 e poi chiusa nel 2010. All’Università di Manitoba il conflitto da economia eterodossa e ortodossa è divenuto così spettacolare che l’Associazione Canadese dei Docenti Universitari ha condotto nel 2015 un’inchiesta sulla facoltà.

La scienza opera in modo diverso. Come disse Einstein, la scienza è l’affinamento del pensiero quotidiano. Per me la scienza è l’uso sistematico della qualità umana della curiosità.

Ci sono molti studiosi che pensano scientificamente riguardo alle economie, usando assunti trasparenti e un approccio sistematico al ragionamento e a ricavare conclusioni dall’evidenza. Ma questi studiosi sono esclusi dalla professione economica ed è la professione economica – con i suoi assunti insostenibili e il suo disprezzo per le realtà economiche – che costruisce i modelli che determinano la politica durante disastri e pandemie.

L’annuncio di Trump che lui vuole che le imprese aprano di nuovo in poche settimane a suscitato una discussione su ascoltare gli economisti o i medici. Questa non è una disputa tra due scienze: solo i medici stanno praticando scienza qui.

Virus precedenti e crisi precedenti possono offrirci solo indizi. I dati più significativa di cui disponiamo riguardo a questa crisi provengono dai paesi colpiti più duramente in precedenza: Cina, Corea e Italia. Ogni modello che costruiamo deve partire da tali dati e ogni buona idea su come potremmo superare questo deve passare attraverso lo studio di tali esempi.

Toronto unoA Toronto,alle prese con il Covid-19 c'è una numerosa comunità italiana proveniente per la massima parte dalla Calabria. e calabrese in particolare. La prima ondata migratoria di italiani si ebbe tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento. A partire dal 2000 sono parecchie centinaia gli italiani che ogni anno decidono di trasferirsi in Canada: per lo più si tratta di giovani studenti, ma vi sono anche molti professionisti e imprenditori. Il Canada rappresenta una delle economie più vive a livello mondiale.Trump e la destra globale che lo segue (Bolsonaro, Johnson, eccetera) disprezzano la scienza epidemiologica proprio come disprezzano la scienza climatica e per gli stessi motivi: la scienza riguarda realtà che confliggono con le loro ideologie e disturba la loro propaganda.
La scienza è chiara sul fatto che salvare vite comporterà interrompere la marcia dei super-ricchi verso la distruzione della società e dell’ambiente. Quello che lo scrittore di fantascienza Kim Stanley Robinson disse un decennio fa a proposito della scienza climatica è vero in questo momento: “Quella che è stata avviata e si sta ora svolgendo è una enorme lotta storica mondiale tra scienza e capitalismo. La scienza sta insistendo enfaticamente ogni giorno che questo è un pericolo reale e presente. Il capitalismo dice che non è così, perché se fosse vero significherebbe una maggior controllo governativo delle economie, più giustizia sociale (come tecnica di stabilizzazione climatica) e così via”.

Se la ascoltiamo, la scienza può aiutarci in questo momento. Seguire i modelli economici, d’altro canto, farà morire le persone, come accadde un secolo fa.

 Podur JustinJustin Podur insegna alla Facoltà di Studi Ambientali  della York Universitydi Toronto. E’ autore del romanzo Siegebreakers.

 

 

 

 

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