La pandemia in giro per il mondo/Il Coronavirus, visto da Teheran
Ufficialmente impongono le sanzioni per costringere i governi delle nazioni riottose ad allinearsi alle volontà degli Stati Uniti. Nel reale le sanzioni colpiscono i ceti piu' deboli di quei paesi, li priva di infrastrutture essenziali alla sopravvivenza, all'assistenza sanitaria a quella alimentare. Nel tempo del Coronavirus li condanna alla morte.
di Kamran Babazadeh
L'Iran è tra i paesi piu' colpiti dalla pandemia, con duemila 234 decessi e ventinove mila 406 contaggi (dati ufficiali al 27 marzo); dove a causa delle sanzioni imposte dagli USA, il sistema economico sta crollando, il Rial, la moneta del Paese ha perso moltissimo del suo valore e l'inflazione è arrivata ad oltre 40 per cento.
Il sistema sanitario è in affanno e i prezzi degli alimentari sono raddoppiati. Il blocco delle esportazioni petrolifere ha aumentato il deficit commerciale a dismisura e ha fatto crollare il potere di acquisto. Pertanto, noi, genti dell'Iran mastichiamo rabbia e la consapevolezza dell' abbandono.
Rabbia, perchè abbiamo un buon sistema sanitario, degli ottimi medici e degli ottimi infermieri in numero sufficiente per affrontare qualsiasi esigenza, abbiamo fondi per l'acquisto di tamponi, di medicinali, di respiratori indispensabili per non morire ma, a causa delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uni (dopo la loro uscita unilaterale dall'accordo nucleare del 2015), non troviamo aziende internazionali disposte a venderci quanto ci occorre per debellare il Coronavirus.
L'Unione europea per prima si rifiuta di venderci quanto ci occorre, poichè teme di essere accusata di indebolire le sanzioni del loro potente alleato che presiede tra l'altro la Nato.
Soltanto la Svizzera fa storia a sè. Siccome non è tra i 28 paesi dell'Unione europea, ha aperto un canale per la vendita di medicinali, lo Swiss Humanitarian Trade Arrangement, questo il suo nome, benché gli USA abbiano tentato di bloccarci anche questa ultima possibilità di fornitura.
Il 14 marzo il ministro degli affari esteri Zarif, su uno dei suoi tanti tweet, ha espresso tutta la sua frustrazione scrivendo: “È immorale lasciare che un bullo uccida degli innocenti”. Nel contempo il presidente Rouhani ha rivolto un appello al popolo americano, ha scritto diverse lettere ai suoi omologhi e al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, chiedendo a tutti di agire affinchè le sanzioni statunitensi fossero revocate, per dare la possibilità all'Iran di far fronte alla pandemia che tutto il mondo sta vivendo. A tale scopo si è poi rivolto al Fondo Monetario Internazionale, FMI, a cui ha chiesto un prestito di 5 miliardi di dollari.
Resta da vedere se l'FMI risponderà alla richiesta di Tehran onorando così l'impegno - che rientra nel suo statuto - di aiutare in paese in difficoltà, poichè va tenuto in conto che gli USA ne sono i “maggiori azionisti” e detengono il potere di veto. Essi sfruttano la disperazione di quei popoli che definiscono ribelli, rispondendo picche alla loro richiesta di aiuto?
L'Iran e lo Yemen, il primo colpito dal Covid-19, il secondo dal colera, non sono gli unici paesi sottoposti alle devastanti sanzioni satatunitensi; pure il Venezuela e la Siria sono assediati e indeboliti da terrorismo economico di oltre atlantico.
ll Venezuela è stato il primo paese sudamericano ad essere colpito dal Coronavirus, e al pari del nostro Paese ha chiesto un prestito di 5 miliardi di dollari alla FMI, ma si è visto negare la richiesta per la “mancanza di certezza sulla legittimità del governo di Nicolas Maduro”.
Si tenga a mente che mantenere le sanzioni economiche punitive durante un periodo di pandemia di questa dimensione che coinvolge tutto il mondo, è un crimine contro l'umanità, sancito dalla Commissione del Dritto Internazionale dell'ONU.
L'OMS, l'organizzazione mondiale della sanità, nonostante le sue limitazioni di budget, ha contribuito a fornire attrezzature mediche all'Iran e al Venezuela; nel contempo nazioni non allineate, come Cina, Cuba e Russia, stanno aiutando con medici e medicinali chi è nella nostra situazione, come il Venezuela appunto.
Lo Yemen, paese impantanato in una guerra condotta dalla coalizione araba, sta sprofondando in una crisi senza precedenti, a causa di un ostinato blocco delle di terra, cielo e mare, approvato dalle Nazioni Unite.
La coalizione a guida saudita non potrebbe funzionare senza l'assistenza militare degli USA, del Regno Unito e dell'Ue, tutti responsabili - tra l'altro - della distruzione sistematica degli impianti idrici, fognari e per la dissalazione dell'acqua.
Oggi agli infettati dal colera - oltre 2,3 milioni di persone secondo l'OMS, - si sovrappone con l'avvicinarsi della stagione delle pioggie la devastante minaccia del Covid-19.
Pertanto è urgente trovare una soluzione politica per porre fine al conflitto nello Yemen.
Occorre fermare l'esportazione di tutte le armi verso tutte le zone in conflitto; i paesi che vendono le armi come l'Italia, la Germania, la Gran Bretagna, tanto per fare qualche esempio, sono per noi popoli sanzionati, responsabili della morte di donne, bambini e di tutti coloro che non sono in grado di difendersi.
La pandemia di Coronavirus, di là dei lutti ci offre l'opportunità di contarci, parlo dei popoli di quelle nazioni presenti nella lista nerissima dalle amministrazioni americane che si sono succedute negli ultimi decenni della storia dell'umanità.
Vedermi tra i miei connazionali, a migliaia straziati da un virus micidiale e sconosciuto che potremmo combattere come ogni nazione civile, mi suscita un sentimento di amarezza e di impotenza incommensurabili.
Di fronte ai nostri morti il dolore ci si raddoppia. Il Covid-19 cambierà gli assetti mondiali? Non sono un profeta, ma sicuramente il virus sta mostrando al mondo intero che, si può essere imperdonabilmente crudeli anche durante una pandemia come questa di cui non esiste memoria.
Kamran Babazadeh
L’autore di quest’articolo Kamran Babazadeh nel 1979 era tra i giovanissimi che a Teheran erano scesi in piazza per dimostrare contro il regime dello scià Reza Pahlevi. All’indomani della rivoluzione è emigrato in Italia e poi in Svizzera dove per oltre quindici anni ha lavorato per OSAR ( l’organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati),