Sono passati più di trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, da quel giorno di novembre in cui la Germania dell’Est annuncia l’apertura della “frontiera” tra Berlino Est e Ovest.
Gli storici fissano al 1991 la fine della Guerra Fredda, collegandola al fatto che è nel dicembre di quell’anno che l’Unione Sovietica si dissolve e termina così un mondo diviso in due blocchi, nato con la seconda guerra mondiale. Per più di quarant’anni due ideologie ben distinte, quella capitalista e quella comunista.
Stati Uniti e Unione Sovietica avevano cercato per tutto quel tempo di rendere il proprio modello migliore dell’altro, o almeno più attraente.
Lo avevano fatto, seguendo strategie differenti: l’URSS con un atteggiamento difensivo perché, nonostante Stalin fosse convinto che il comunismo avrebbe "vinto" e avrebbe sostituito il capitalismo, sapeva bene che il modello occidentale non era in crisi, poiché gli USA, si erano dati un obiettivo preciso: portare il benessere nel mondo e garantire la propria sicurezza.
Cosa c’entra Berlino in questa lotta tra superpotenze?
Punto nevralgico della Guerra Fredda è la Germania perché, dentro la sfera d’influenza sovietica, c’è un pezzettino di sfera di influenza americana, ed è Berlino ovest. Per Stalin questo è intollerabile e nel 1948 blocca il passaggio tra Berlino est e ovest.
La logica è quella dell’Effetto Domino: se si perde Berlino, si perde la Germania, quindi l’Europa, quindi il mondo.
È seguendo questa logica che gli USA nel 1950 Truman interviene in soccorso della Korea del Sud quando è attacata dalla Korea del Nord.
In ogni piccola crisi si vede una potenziale crisi mondiale.
Gli Stati Uniti sono preoccupati di una possibile futura supremazia dell’Unione Sovietica, che invece, teme l’attuale egemonia americana su tutte le zone del pianeta non occupate dall’Armata Rossa.
Quando la Guerra Fredda si conclude, il mondo non può più tornare ad essere quello di prima:
tutto è cambiato, non ci sono più punti di riferimento poiché si sono dissolti, tutte le mappe devono essere modificate.
La fine della Guerra Fredda si rivela non solo la fine di un’epoca per l’est europeo, ma per il mondo intero.
Occidente e Oriente dopo la caduta del muro di Berlino
Come si interpreta l'umanità dopo la
Caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda? In molti modi.
È dagli inizi degli anni Novanta, che si assiste a una sempre maggiore disgregazione dei gruppi multiculturali.
Dove finisce il cristianesimo cattolico e protestante e inizia quello ortodosso?
Nel blocco della Chiesa ortodossa, la Russia assume la posizione centrale circondata da stati cuscinetto islamici, come Kazakistan e Turchia. Il polo sinico riconosce nuovamente alla Cina il ruolo egemone.
A riguardo dell’Islam, si deve risolvere un quesito: quale è lo stato guida? È la religione l’unico grande fattore di coesione, l’Ummah (comunità) è più importante della nazione, e ci sono diversi stati che vorrebbero prenderne la guida, ma ad ognuno manca "qualcosa":
l’Indonesia è dislocata, l’Egitto è povero e legato agli Stati Uniti, in Iran sono tutti sciiti, il Pakistan è povero, nella Turchia l'Islam non è prevalente e l’Arabia Saudita dipende dall’Occidente.
Come è cambiato, e come sta costantemente cambiando il mondo, dopo la Guerra Fredda?
C’è una forza che sembra essere alla base di tutti i processi di coesione o disintegrazione e di conflittualità che caratterizzano il mondo dopo la Guerra Fredda: la cultura.
Lo scontro tra civiltà si sostituirebbe, in questo modo, allo scontro tra superpotenze.
Data per morta l’ideologia, l’uomo è in cerca di un nuovo nemico per definire chi è.
La cultura assume lo stato di forza aggregante o disgregante.
Ed ecco svilupparsi un nuovo scenario multipolare, di sette o otto civiltà, non più bipolare come era stato dal 1947 al 1991.
Un mondo con nuove classificazioni e modi di raccontarsi:
Stati membri, quelli che sono perfettamente integrati in una civiltà;
Stati guida, per esempio gli Stati Uniti per l’Occidente;
Stati divisi, come l’Africa in cui si accavallano diverse civiltà difficili da unificare;
Stati in bilico, ovvero quegli stati che possiedono una cultura dominante e appartengono a una civiltà, ma i loro leader la collocano in un’altra. Come ad esempio l’Australia che negli anni Novanta tenta di “asianizzarsi”, fallendo a causa del forte retaggio occidentaleo la Turchia che durante la Guerra Fredda si unisce al blocco occidentale contro l’Urss, e che poi, quando cerca di entrare nell’Unione Europea, non ci riesce a causa del conservatorismo del suo leader.
Oggi a definirci non sono più le grandi ideologie di un tempo, certo ci sono ma non svolgono il ruolo che hanno avuto durante tutta la Guerra Fredda.
L’uomo di questo inizio secolo ha ancora bisogno di una ’identità avversativa', si riconosce e comprende chi è, solo se sa di essere diverso rispetto a qualcos’altro: sono io perché sono diverso da te.
Una civiltà universale, i questi tempi, sembra non poter vedere la luce, perchè:
non può esistere una religione universale,
non può esistere una lingua universale (anche se ci si ostina a provarci con l’inglese, che è forse uno strumento di comunanza, ma non può essere uno strumento di identità).
E pensando alla globalizzazione, non è la risposta o la soluzione, la globalizzazione non è sinonimo di aggregazione culturale né soprattutto di identità universale.
La guerra in Ucraina ne è la più recente e sanguionosa testimonianza.
scritto da Berlin89