Berlino come luogo del delirio e della speranza
Così la capitale tedesca appare nel film Suspiria di Luca Guadagnino remake dell’omonimo film di Dario Argento (1977) che uscirà in Italia in gennaio. Nella foto: Tilda Swinton la Suspiria del film
Nella lista dei film d’interesse corrente, bene in vista dalle vetrine di alcune videoteche a Berlino, campeggia Suspiria di Dario Argento (1977). Questo perché nelle sale tedesche c’è adesso l’omonimo remake di Luca Guadagnino (2018). Non vogliamo raccontare nulla della trama al pubblico italiano e soprattutto di Guadagnino, con anticipazioni inutili; perché l’uscita in Italia è prevista in Gennaio e perché l’opera di per sé è ripetizione di una già nota che ha fatto storia nell’horror. Ci pare tuttavia interessante osservare questo bel rifacimento attraverso la lente di “Berlino”, dove il film è ambientato e in parte girato e da dove si affaccia al mondo.
Luca Guadagnino raccoglieva successo e onori dal pubblico alla Berlinale nel 2017 con Call me by your name, mentre era qui con la sua troupe per girare le scene finali del suo Suspiria, volute proprio nella capitale tedesca, contra l’originale di Dario Argento, ambientato e girato a Friburgo alla fine degli anni Settanta. Quando in Germania c’era ancora il Muro, onnipresente in quasi tutto il film di Guadagnino per ricreare quell’atmosfera cupa e di oppressione, nell’impedire allo sguardo di perdersi in uno sfondo urbano, sbattendo senza fuga come vittime e prospettiva. Quello che però s’imporrebbe dell’immaginario collettivo della Berlino del Muro è rivisto e corretto dal filtro estetico di Luca Guadagnino, che appunto trasforma una Berlino da incubo, murata e – come da trama – abitata da un covo di streghe fameliche e impietose a capo di una scuola di ballo, in un sogno di assoluta bellezza.
Una storia di redenzione dalla quinta essenza del dolore, con rituali stregoneschi, non di rado truci e forti, al favoloso appunto perché cardine di tutto – altrimenti non sarebbe un film di Luca Guadagnino – non è il male di per sé (come nell’originale di Dario Argento) quanto l’amore. Visto attraverso tre livelli: quello spaziale, quello anatomico e quello emotivo. Si prende tutto l’amore per lo spazio la Berlino Est, con i suoi buchi (spazi) lasciati dalle bombe del delirio nazista e le sue architetture a ridosso del Muro poi, irrecuperate e percorse da figurine umane infinitesimali, anche quando sono streghe potenti, in confronto alla mole di una città simbolica, che ha valicato i limiti della Storia, perché l’ha fatta.
L’amore anatomico è appunto in balia del ballo e delle sue massime tensioni estetiche di corpi nodosi e snelli, lasciati a sbattere sulle pedane, tra di loro e soprattutto a risuonare, perché le membra surclassano la stessa musica, talvolta anche assente. Infine c’è l’amore emotivo e della possessione assoluta dilagata nello spirituale dell’arte, come un rito orgiastico nel perdimento funzionale al divino, come il mito greco ci ricorda con Dioniso.
Per questo motivo il Suspiria di Luca Guadagnino, per quanto horror e remake di un’opera di per sé eccelsa e nota, non andrebbe disertato, per l’occasione di capire il richiamo di Berlino come luogo del delirio e della speranza: vittima straziata da guerre e dittature, trasognata come la libertà lo è dall’arte tutta e luogo di una gioventù europea che la spera per proiettarsi solo da qui ben oltre i vincoli del contingente.