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Non ha dubbi Angelo Acerbi che sarà alla Berlinale nella giuria per l’Heiner Carow Aword. Heiner Carow (1929 – 1997) ha diretto Coming Out (1989) un film destinato a dare un contributo politico alla storia del movimento gay e a quella del cinema tedesco. Come sta il cinema italiano? “Credo che sia in salute”.
Angelo Acerbi
Con il suo andirivieni di personalità dal mondo del cinema, il 67° Festival di Berlino è in apertura. Sono tante le star e gli ospiti da tutto il mondo per attendere, come esperti del mestiere o da giudici, alle varie sezioni tra Concorso, Panorama e Forum. Tra costoro e da Torino Angelo Acerbi sarà alla Berlinale nella giuria per l’Heiner Carow Aword. Heiner Carow (1929 – 1997) ha diretto Coming Out (1989) un film destinato a dare un contributo politico alla storia del movimento gay e a quella del cinema tedesco. Angelo Acerbi dunque non sarà qui a caso: Wieland Speck, curatore del Panorama, dedicato quest’anno alParagrafo 175, che discriminava dal 1867 gli omosessuali tedeschi, l’ha invitato perché a Torino Acerbi è uno dei referenti di spicco per i film da presentare al Festival Internazionale Gay (GLBT). Lui gira il mondo in cerca di film e per vederli, collaborando con altri importanti Festival internazionali, come Seattle e Palm Springs negli Stati Uniti. Classe 1963, brillante, concreto e con una verve esplosiva, che lo porta anche a essere DJ tutte le domeniche alQueever (tra i più importanti party Gay di Torino e di tutta Italia). Lo abbiamo intervistato. Gli ho chiesto:
Acerbi, quando ha saputo di essere tra i giurati dell’Heiner Carow Aword?
Wieland Speck era a Torino all’ultimo Festival GLBT e mi ha proposto di essere in giuria.
Un onore…
Anche un riconoscimento al nostro lavoro, se permette. Ciò dimostra che, ancor più dell’Italia, la risonanza del Festival GLBT di Torino a livello internazionale è pienamente attestata.
Quanti sarete in giuria?
Con me ci saranno Peter Ziesche e Melanie Hauth. Entrambi hanno lavorato per la DEFA che ha visto nascere tanti dei film di Heiner Carow.
Chi di voi alla fine consegnerà l’Heiner Carow Aword?
Mi chieda piuttosto se due tedeschi e un italiano potranno mettersi d’accordo sul vincitore.
Come considera il Festival del Cinema di Berlino?
Se partiamo dalla personalità che ci lavorano, si pone come un baluardo contro la stupidità dilagante.
Mentre il Festival in sé?
Lo vedo come una finestra sul futuro: ampia, con un Concorso e tantissime sezioni a corollario.
C’è una sezione in particolare che la affascina?
Non le conosco tutte, la Berlinale è troppo grande. Penso però alla sezione dedicata ai giovani Generation, che sulla loro formazione ha fatto tanto.
Ne parla come se fosse una rarità…
Per l’Europa certamente; ma anche nel mondo, pensandoci, dove altri festival comunque non hanno questa forza di militanza cinematografica e politica che ha la Berlinale.
Lei è stato spesso critico sul Direttore del Festival Dieter Kosslick.
Non sono stato il solo, ci sono critiche comuni, come quelle sulla scelta dei film del concorso, che non è sempre felice.
Ci dica un pregio di Kosslick invece…
Il lavoro che lui ha fatto come architetto del festival è stato titanico. Di un’anima militante per la scelta politica dei film e la presenza simultanea, molto equilibrata, del glamour che invece porta sponsor.
Vedrebbe Kosslick alla direzione di altri Festival europei?
No! Perché nessun altro festival d’Europa potrebbe inverare la quantità di eventi e sezioni come per Berlino.
E di un Festival del cinema italiano?
Meno che meno. Anche in Italia non c’è un’altrettanta utenza come c’è a Berlino e poi credo che un direttore debba avere la stessa nazionalità del Festival che dirige.
Ne è così persuaso?
Guardi a Moritz de Hadeln e alla sua esperienza alla Mostra del Cinema di Venezia: bravo quanto vogliamo, ma non certo calibrato su quel Festival…
Tanta grandezza della Berlinale non la trova un po’ dispersiva?
Questo è un aspetto non da poco. Berlino ha una smania d’avanguardia che ha riempito troppo il suo Festival. Fisicamente è ingestibile.
Lo dice rassegnato.
Io so solo che certe sezioni non potrò mai vederle. Aumenta il volume del Festival, mentre la sua durata resta sempre uguale.
Questa edizione è dedicata all’utopia, ai Rifugiati e il Panorama agli omosessuali perseguitati dal Paragrafo 175. Non vede una forzatura?
Forse all’inizio, quando mi è parso tutto troppo generalizzante e un po’ tirato.
Ha cambiato idea?
Sono andato oltre e ho compreso che questo dilatare simultaneo su più fronti vuole che si generalizzi, appunto.
Ci spieghi meglio, per piacere.
“Utopia”, “Paragrafo 175”, “Rifugiati”… Se l’analisi della presa di coscienza è sulla “normalità” dell’omosessualità, il discorso si adatta all’utopia per qualsiasi minoranza da accettare oltre ogni pregiudizio.
Ci crede proprio nella Berlinale!
La conosco molto bene e so che come sempre ci sarà stato un grande lavoro sull’ideale da applicare nella scelta dei film.
Evviva la leggerezza.
Le scelte sono politiche, più che in altri festival. Rientra nella natura di Berlino e dell’imprinting che il festival ha avuto.
Wieland Speck ha dei meriti?
Se Kosslick è l’architetto, Wieland è un selezionatore politico aperto su tutti gli orizzonti. È sempre stato all’avanguardia e questo coraggio l’ha portato avanti.
Dieter Kosslick ha insistito tanto su “Il giovane Karl Marx” nel Berlinale Special di quest’anno. Non le sembra anacronistico?
Non mi soffermerei su Marx in quanto tale, ma come simbolo e metafora. Se ragioniamo da umanisti sull’utopia, scopriamo come una società possa usarla per arrivare a un miglioramento.
Finendo poi per votare i populisti?
A maggior ragione… Abbiamo bisogno di nuove utopie, per risalire la china.
Il panorama è avvilente, non crede?
In questi ultimi due anni concetti come futuro sociale e prevedibilità degli eventi su scala geopolitica sono imperscrutabili.
Si è chiesto il perché?
Come umanità, ci siamo presi tutti dei sonori schiaffi, che hanno fatto sì che la gente si rendesse conto che non c’è un automatismo ineluttabile al lieto fine.
Se la prende con la società?
Siamo tutti chiamati in causa e se vuoi che le conquiste durino parteggi e ti confronti.
Donald Trump lo abbiamo dunque meritato?
Trump per quanto sia un disastro negli atteggiamenti, non troppo diverso in politica invece da chi l’ha preceduto, genererà a livello di coscienza sociale la nascita di un nuovo umanesimo in un paese dove non c’è mai stato.
Vada avanti per piacere.
Dove tutto è sempre stato collegato a un sistema che imbevuto di corsa alla produzione e al denaro. E solo, ma solo su quello, su un vero narcisismo megalomane.
L’Europa le sembra tanto diversa?
Anche da noi sta imperando il cinismo, ma dell’alta finanza, nella gestione della quotidianità. E adesso la stiamo pagando anche in Italia con certi partiti o in Germania, con l’AfD.
Come sta il cinema italiano?
Il credo che sia in salute. La nuova legge sul cinema e sui finanziamenti, resa finalmente attuativa ha portato a dei buoni risultati.
Come si sente con tutte le serie tv che hanno invaso il mercato?
Non le ritengo una minaccia, se è questo che intende.
E se il cinema muore sopraffatto?
Il cinema non muore perché non c’è nessun mezzo espressivo che sia semplificato come il cinema e la narrazione a puntate per quanto benfatta è altro dal cinema.
Salvatore Trapani vive a Berlino dal 1998. Ha corrisposto per le pagine di cinema e cultura del periodico romano Shalom-Mensile e del quotidiano nazionale Il Giornale. Si occupa di memoria storica e arti visive cooperando come referente alla formazione per il Memoriale agli Ebrei uccisi d’Europa a Berlino, per il Memoriale dell’ex campo di concentramento femminile di Ravensbrück per l’Isituto Storico di Reggio Emilia, ISTORECO, dove ha fondato il progetto A.R.S. – Art Resistance Shoah. È anche autore di novelle (Edizioni Croce) e per saggistica (Editrice Viella). Si chiama Denoument il suo sito tutto dedicato al Cinema.(https://www.denouement.it/).