Estonia. la Nato Republic sul Baltico

Lo scontro diplomatico della Russia con l'Europa divampa in Estonia. Tanto per cominciare Tallinn ha espulso dell'ambasciatore russo Vladimir Lipayev.  Il Cremlino ha risposto cacciando l'ambasciatore estone Margus Laidre dalla Russia: la prima espulsione di ambasciatori dal paese nell'anno da quando la Russia ha lanciato la sua invasione su vasta scala dell'Ucraina. Per meglio capire l'odio che divide i due paesi vi riproponiamo questo nostro reportage a Tallinn.

REPORTAGE_ Siamo andati sul Baltico in Estonia a sentire l'aria che tira. Brutta per i russi. Bloccati i visti d'entrata, estirpati i monumenti dell'ex Unione Sovietica, abbandonato alle ortiche il mausoleo dei soldati russi morti combattendo contro i nazisti. Il Paese che vuol contare di più in seno all' Alleanza atlantica è armato fino ai denti perchè teme un'invasione. Caccia F-35, elicotteri Apache degli americani, persino un reggimento di soldati italiani. Ed euro a go-go da Bruxelles.

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Il balcone del Parlamento estone con la bandiera ucraina e di fronte la cattedrale russa-ortodossa Alexander Nevskij/  © Berlin89 

A Tallinn, la capitale dell’Estonia, sul balcone del palazzo del Parlamento  che campeggia sulla collina di Toompea , nella Città Vecchia, hanno esposto la bandiera ucraina  affiancata su entrambi i lati dal tricolore blu, nero e bianco  di quella estone. Sono state sistemate così, a bella posta per evidenziare la protesta contro l’invasione dell’Ucraina, poichè il balcone si affaccia sulla cattedrale russo-ortodossa Alexander Nevskij la quale, con le sue cupole che dominano la collina di Toompea, dipende dal Patriarcato di Mosca, è il simbolo del potere russo.

Poi, davanti all’Ambasciata russa, al numero 19 di via Pikk Tänav ("Strada Lunga"), in pieno centro storico con tutte quelle casette dipinte di fresco, hanno steso le transenne per impedire l’accesso al marciapiede, che confina con la parete della sede diplomatica. Sul selciato e sulle transenne ci sono, ordinati in bella mostra, vestiti, giocattoli, casalinghi (padelle, macchine del caffè, bicchieri, prodotti per l'igiene), per rammentare i saccheggi nelle case degli ucraini, da parte dei soldati russi. Sono lì dal 13 aprile scorso, a testimonianza di una manifestazione - ebbe una vasta risonanza in Occidente - durante la quale un gruppo di donne in mutande spruzzate di rosso, con le mani legate e con un sacchetto nero in testa, protestarono contro le violenze sessuali commesse dai soldati russi sulle donne ucraine.

Visto dalle vetrine del fastoso storico “Cafè Maiasmokk”, dirimpetto all’ambasciata, lo scenario appare ancora più inquietante, con quella pattuglia di poliziotti - un uomo e una donna - che vanno su e giù con la mano poggiata sulla pistola, e con i passanti che tirano dritto senza posare gli occhi su quelle transenne. Sicché una domanda sorge spontanea: consideranto come sta andando a singhiozzo per Putin la “conquista” dell’Ucraina, gli estoni continuano a temere l'invasione russa?

«Dai russi noi dei paesi baltici, e l’Estonia per prima, possiamo aspettarci ogni sorpresa, anche la più imprevedibile. Lo conferma la nostra Storia”, mi risponde davanti a una tazza di latte macchiato, Merika Lepik, una collega del Postimees (il Postino), il quotidiano più antico (1857) del Paese. Spiega, “I nostri governanti non possono sottovalutare la potenza di fuoco della Russia, pertanto, la sicurezza è il problema centrale per i governanti baltici. Lo conferma il comunicato congiunto dei tre primi ministri delle Repubbliche Baltiche, ai quali si è aggiunto il primo ministro polacco Morawiecki . Ecco cosa dice, te lo traduco: ” Accogliamo con favore la decisione di sospendere i visti tra l'UE e la Russia, che rappresenta un primo passo necessario per salvaguardare la nostra sicurezza. Tra i cittadini russi che entrano nell'UE ci sono certamente dei terroristi, se si pensai che i tre quarti dei cittadini russi si sono espressi a favore della guerra di aggressione”. E dunque, niente visti poichè, “il viaggiare nell'Unione Europea va considerato un privilegio, non un diritto”. 

«Condivido questa decisione», commenta Merika, « perché - ella rincara - noi siamo i tre Paesi più esposti a una rappresaglia, siamo la preda più facile da raggiungere. La storia lo dimostra».

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Tallinn. L'Ambasciata russa/  © Berlin89

Ricordano i libri di Storia che, fu il trattato di Nystad, del 10 settembre 1721, a consacrare l’egemonia baltica della Russia. La Grande guerra del Nord, combattuta tra il 1700 e il 1721, vide impegnati i regni di Danimarca, di Polonia, di Sassonia e l’Impero russo dello zar Pietro il Grande contro l’Impero svedese del diciottenne Carlo XII di Svezia. La Grande guerra del Nord fu un lungo conflitto per l'egemonia sul mar Baltico combattuto tra il marzo del 1700 e il settembre del 1721 nei territori dell'Europa settentrionale e orientale. Carlo XII morì durante un assedio nel sud della Norvegia, e la Svezia, prostrata, dovette chiedere la pace. Con una serie di trattati firmati con le varie parti in gioco Stoccolma dovette rinunciare a quasi tutti i suoi possedimenti nella regione del Baltico, perdendo il ruolo di egemonia che aveva nel bacino. Il conflitto segnò il definitivo tramonto della Svezia come nazione egemone nel Nord Europa, e a sancì la consacrazione della Russia come nuova grande potenza europea, la quale come primo atto, si annesse le provincie della Livonia, dell’Estonia, dell’Ingria e della Carelia.

Riassumendo al massimo, soltanto a partire dagli anni Venti dell’Ottocento l’idea di nazione si iniziò a diffondere nei Paesi Baltici. Fu proprio il primo giornale in lingua estone, il Postimees (Il Postino) dove oggi lavora la collega Marika, a modificare la nozione di “popolo rurale” con quella di “estoni”. Ma indipendenti a tutto tondo i Paesi Baltici lo divennero soltanto nel 1991, dopo lo scioglimento dell'Unione Sovietica che le aveva incorporate come repubbliche socialiste, sulla base del patto Molotov-Ribbentrop del 1939. L’occupazione durò 47 anni, dal 1940 al 1991 quando l’Urss implose.

Dopodiché trascorsero altri 13 anni, e nel 2004 Estonia, Lettonia, e Lituania, che complessivamente contano 6 milioni di abitanti, divennero membri dell’Unione europea e della Nato, la quale subito sentenziò che, siccome i territori delle tre Repubbliche essendo pochi estesi “faciliterebbero un’operazione militare nemica”, dovevano essere super armati. Cosicché, dal 2016 funzionza la missione “Baltic Guardian”, una eFP (enhanced Forward Presence) dell’Alleanza atlantica, costituita da quattro Battle group multinazionali guidati rispettivamente dal Canada in Lettonia, dalla Germania in Lituania, dal Regno Unito in Estonia e dagli Stati Uniti in Polonia. A completamento, subito dopo l'invasione dell'Ucraina, il presidente americano Biden ha inviato otto caccia F-35 e, elicotteri d’attacco AH-64 Apache, e 800 fanti della 173ª brigata aviotrasportata di stanza a Camp Ederle (Vicenza). Le cronache recenti informano che, pure l’Italia è presente in Lettonia con 230 soldati e 130 mezzi terrestri.

Naturalmente, assieme agli armamenti della Nato, sono arrivati anche i fondi europei. L’Estonia ha ricevuto ad oggi da Bruxelles 10,4 miliardi di euro in investimenti del fondo di coesione, a cui si aggiunge un altro miliardo e 300 milioni di euro previsti dal piano Juncker. Musei, scuole, opere pubbliche, come i I centri storici delle città, a cominciare da Tallinn e Pärnu, hanno riconquistato l’antico splendore. Sicché in ogni angolo del Paeseci sono cartelli con la bandiera a dodici stelle e la scritta: “realizzata con gli aiuti europei.”

Di certo, qualche euro è avanzato, altrimenti, in un’epoca di grandi e obbligati risparmi energetici, come si spiegherebbero le luminarie gialle e blu, i colori del vessillo ucraino, sulle guglie delle chiese, sul palazzo del governo e persino sugli alberghi a cinque stelle, che brillano al calar del sole fino alle prime luci dell’alba, da quando è cominciata l’invasione russa.

Di giorno, la memoria dei lutti si raccoglie intorno alle bandiere ucraine, le quali sono stese un po’ dappertutto nella Città Vecchia, ma anche negli spiazzi al centro di quel poco che resta degli ex combinat sovietici, o dei condomini che nell’aspetto architettonico fanno tornare in mente la Kommunalka quei casermoni, tipici dei primi quarant'anni di vita dell'Urss e tuttora esistenti nei Paesi ex-sovietici, in cui più nuclei familiari condividevano i servizi, la cucina e il corridoio, occupando in forma privata uno o due locali.

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Nel centro di Tallinn/ © Berlin89

L’Estonia - si è detto - non è terra di grandi numeri: 45 mila 228 chilometri quadrati dei quali la metà è foresta. Gli abitanti sono 1 milione e 300 mila dei quali il 24,8 per cento (322 mila) sono russi. La gran parte di essi sono i cosiddetti russi “alieni”, che ancora oggi posseggono i passaporti grigi per i non-cittadini e non hanno accesso al diritto di voto o al pubblico impiego. L’Estonia, come la Lettonia del resto, ha adottato la linea dura nei confronti dei russi non concedendo loro la cittadinanza - nemmeno ai loro figli benché nati in Estonia - nel momento della transizione dall’Unione sovietica all’indipendenza, ad eccezione di quelli residenti nell’area già da prima del 1940, anno dell’occupazione sovietica.

Infine, qualche settimana fa, il governo della prima ministra Kaja Kallas ha concordato che, i monumenti sovietici (intorno ai 400) negli spazi pubblici di tutta l’Estonia saranno rimossi. «Abbiamo deciso: i monumenti devono essere spostati nei cimiteri militari e lo faremo il prima possibile», ha precisato la premier spiegando che, «L'aggressione russa in Ucraina ha squarciato le ferite nella nostra società, che questi monumenti comunisti ci ricordano», e quindi , «la loro rimozione dallo spazio pubblico è necessaria per evitare ulteriori tensioni», ha concluso la Prima ministra.

Nella biografia di Kaja Kallas (45 anni), c’è scritto che, durante le “purghe” sovietiche, sua madre Kristi, che all'epoca aveva sei mesi, fu deportata in Siberia con la madre e la nonna su un carro bestiame e visse nel lager fino all'età di dieci anni. Dal 1940 fino alla morte di Stalin (1953), furono 24 mila gli estoni deportati, fra uomini, donne, bambini, anziani, inviati in gran parte nei distretti siberiani di Irkutsk, Krasnojarsk, Novosibirsk, Amur, Omsk e Tomsk. Molti non fecero più ritorno in patria.

Si arriva con l’autobus numero 8 davanti al memoriale eretto nel 2018 per ricordare una delle pagine più tragiche della storia estone del ventesimo secolo. E' un'opera di 30 mila metri quadrati, che è costata 6,6 milioni di euro, pagati con i fondi europei. Il Memoriale ha anche un database online in cui sono riportati i nomi dei deportati, con le coordinate per focalizzarli sul muro della memoria assieme ai brandelli di biografia di ciascuno di loro, che si sono riusciti a raccogliere e ordinare.

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Il Memoriale alle vittime dei Gulag/© Berlin89

Accade non a caso, poiché siamo nella “Digital Republic”, come l’ha battezzata il settimanale americano New Yorker. Infatti, la Lettonia è tecnologicamente tra le nazioni più avanzate al mondo, con l’informatica che permea la vita quotidiana dei suoi abitanti. E’al primo posto anche per libertà d’uso di Internet e per numero di startup pro capite. E’ al quindicesimo posto per la libertà economica d’investimento, quando l’Italia arriva a malapena all’ottantesimo posto.

Insomma il Paese che geograficamente è il più vicino alla Russia, è anche quello - tra le tre repubbliche - che più si stringe all’Occidente; è quello che vuol contare di più in seno alla Nato, e anche quello che lascia crescere le ortiche nel mausoleo (costruito nel 1947) dei soldati russi caduti combattendo contro i nazisti. Gli hanno pure costruito a fianco il Memoriale dal quale - da mattino a sera - si levano funebri melodie, by online.

 

COPERTINA -  Birgit Püve è una fotografa estone di 44 anni. “Le facce delle persone sono la migliore testimonianza dei tempi che cambiano”. Da anni Püve, nelle sue foto, cerca la modernità e la tradizione estoni: attraverso i volti vuole lasciare traccia dello stato psicologico di un paese postcomunista del ventunesimo secolo.


 

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Vincenzo Maddaloni
Vincenzo Maddaloni ha fondato e presiede il Centro Studi Berlin89, l'associazione nata nel 2018, che si propone di ripercorrere analizzandoli i grandi fatti del mondo prima e dopo la caduta del Muro di Berlino. Professionista dal 1961 (per un decennio e passa il più giovane giornalista italiano), come inviato speciale è stato testimone in molti luoghi che hanno fatto la storia del XX secolo. E’ stato corrispondente a Varsavia negli anni di Lech Wałęsa (leader di Solidarność) ed a Mosca durante l'èra di Michail Gorbačëv. Ha diretto il settimanale Il Borghese allontanandolo radicalmente dalle storiche posizioni di destra. Infatti, poco dopo è stato rimosso dalla direzione dello storico settimanale fondato da Leo Longanesi. È stato con Giulietto Chiesa tra i membri fondatori del World Political Forum presieduto da Michail Gorbačëv. È il direttore responsabile di Berlin89, rivista del Centro Studi Berlin89.
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