Si procede a grandi passi verso la distruzione della Laguna e non gliene importa a nessuno.
Porto Marghera/ Photo Duccio Pugliese
Ho passato a Venezia una parte di tutte le estati della mia vita fino a vent’anni. Poi i tamburi di rivolta sono stati coinvolgenti e totalizzanti e non c’è più stato spazio neanche per Venezia.
Mi è rimasto per sempre stampato nelle mie sensazioni l’odore dell’acqua salsa dei canali, il rumore delle onde leggere che sbattono sulle rive, il risuonare dei passi, nella calli lontane dal turismo, della vita quotidiana di una città che va sempre a piedi.
Ora, quando, per qualche motivo, ci torno mi ritrovo a camminare inconsapevolmente con piede leggero quasi a non volere pesarci su. Da anni ormai, Venezia è sommersa dall’acqua alta in maniera più violenta e continuativa che mai, la sua laguna è percorsa da navi da crociera più alte del campanile di San Marco per non parlare delle petroliere che vanno e vengono da Marghera, è invasa da masse debordanti di turisti.
Ma al di là delle belle parole, delle frasi fatte e delle vesti stracciate, di Venezia non gliene importa niente a nessuno.
Non importa niente ai politici locali e nazionali perché altrimenti in tutti questi anni avrebbero fatto ben altre leggi e preso ben altri provvedimenti, non importa ai turisti che si riversano in ondate, questa volta umane, incontenibili e che, se fossero coscienti di quello che fanno, a Venezia non ci dovrebbero venire, non gliene importa niente neanche alla maggior parte dei veneziani perché "fin che ghe semo noi, no che non va zò".
D’altra parte il capitalismo è un modello economico basato sul profitto e nella sua attuale fase neoliberista, caratterizzata da un delirio di onnipotenza, tutto è merce, il turismo è merce, le navi da crociera sono merce, il Mo.s.e. è business, Venezia è merce, è una gallina dalle uova d’oro e le faranno fare le uova d’oro finché non stramazzerà per terra.
La laguna di Venezia è difesa da strette lingue di terra, l’isola del Lido, l’isola di Pellestrina, le penisole di Punta Sabbioni e di Chioggia/Sottomarina che la proteggono dal mare aperto. Ci sono tre aperture naturali tra queste lingue di terra, chiamate bocche di porto, che mettono in collegamento il mare con la laguna. Quella di Lido-San Niccolò che porta direttamente al centro storico, quella degli Alberoni che porta a porto Marghera, quella di Pellestrina-Chioggia per le imbarcazioni più piccole.
A Porto Marghera (Marghera è dislocata sulla terraferma ma all’interno della laguna) si concentra il traffico commerciale specialmente con navi portacontainer e petroliere che alimentano l’interporto e la zona industriale.
Dal luglio 2010 vi possono accedere navi da 290 metri contro i 220 di prima, grazie ai lavori di scavo e ampliamento effettuati sul canale dei Petroli che collega Porto Marghera alla bocca di porto di Malamocco. Alla Stazione marittima nel centro storico attraccano le grandi navi da crociera che passano per la bocca di porto del Lido. Da qui passano anche i grandi yacht privati e le unità militari che attraccano all’Arsenale.
L’ area industriale di Marghera ha un forte impatto su tutte le attività in laguna.
Nel bacino sorgono numerosi cantieri navali di costruzione e riparazione, presenti a Marghera, Venezia e Pellestrina. Oltre al porto commerciale, molte industrie sono dotate di attracchi privati.
Il porto è anche sede di attività della Marina Militare Italiana.
I fondali della laguna sono di sabbia e di fango e sarebbero piuttosto bassi.
Questo ha comportato e continua a comportare continui lavori di scavo dei fondali alle bocche di porto. Fino alla fine dell’ottocento per accedere al porto di Venezia veniva usata la bocca di porto di Malamocco che comunque aveva anch’essa delle limitazioni, ma poi per abbreviare i tempi di percorrenza si decise di riaprire la bocca del Lido che si trova in un punto di accumulo sabbioso e che quindi non veniva usata perché il suo fondale era di soli 75 centimetri.
Nel 1882 venne dato l’avvio ai lavori di scavo del fondale e alla costruzione di due dighe per impedire che la sabbia si accumulasse di nuovo. Se oggi per la bocca di porto del Lido passano le grandi navi da crociera come la MSC Divina di 333 metri di lunghezza per 139mila tonnellate di stazza vi potete rendere conto di quanto sia stata scavata.
D’altra parte anche la bocca di porto di Malamocco. Se poi ci si chiede come sia potuto passare per la testa a delle persone apparentemente sane di mente a partire dagli anni Venti del Novecento di creare e sviluppare il progetto di Marghera, un polo industriale destinato all’insediamento di industrie pesanti, è chiaro che è una domanda senza risposta se non quella di una dedizione cieca all’altare del profitto. Chiaramente scavando e riscavando le bocche di porto fino all’altro ieri il filtro mare laguna non esiste più, ma nessuno lo dice, si preferisce tirare in ballo i cambiamenti climatici, il padreterno e tutti i santi.
Le barene sono isolotti affioranti, a pelo d’acqua, periodicamente sommersi dalle maree/ Photo Terry
Marghera è un mostro che, tra l’altro, ha risucchiato voracemente le acque della falda idrica sotto la città e Venezia si è abbassata di svariati centimetri. Ricordiamoci sempre che gli edifici sono costruiti su pali abbastanza sottili di legno di pino, di quercia o di larice, conficcati per circa 7/8 metri sul fondo della laguna su strati alternati di argilla e sabbia. I pali non marciscono perché sono in una situazione anaerobica che non permette lo sviluppo di agenti dannosi. Tutta Venezia è costruita così.
Se guardate lo skyline del polo industriale di Marghera da Venezia vi apparirà una città surreale, vi chiederete se è vera e, d’inverno, se è uno scherzo della nebbia. Sono sparite quasi del tutto anche le barene. In cento anni sono diminuite del 75 per cento.
Le barene sono isolotti affioranti, a pelo d’acqua, periodicamente sommersi dalle maree. Sono attraversate da canaletti naturali, detti ghebi, e ricoprono una notevole superficie della laguna di Venezia, soprattutto nelle zone nord e sud. Erano presenti anche presso le bocche di porto in cui rappresentavano chiaramente un ostacolo alla navigabilità.
Le barene presentano un suolo pesante, asfittico e poco permeabile, che proprio perché è periodicamente sommerso dalle maree è ricco di sali, motivo per cui è definito “suolo salso”.
Poche piante sono riuscite ad adattarsi per crescere in un ambiente così severo, la vegetazione è molto particolare e per le sue caratteristiche di vivere in suoli salati, è detta “alofila”.
Questo tipo di habitat è particolarmente adatto a moderare correnti e moto ondoso e ad abbattere nutrienti ed inquinanti.
Oggi, anche le barene rimaste sono soggette ad un continuo fenomeno di erosione, con serio rischio per l’intero ecosistema lagunare. Dal 1901 al 2003 la loro superficie è passata da 170 kmq a 47 Kmq. L‘erosione è dovuta all’alterazione del sistema delle correnti in laguna causata dallo scavo di canali profondi e dalle modifiche apportate alle bocche di porto, dalle onde generate dal vento ma soprattutto da quelle generate dai motori di barche e navi.
Esiste un progetto del 2017, il LIFE VIMINE dell’Università di Padova, definito “un approccio integrato alla conservazione sostenibile delle barene della Laguna di Venezia” che si propone di contrastare l’erosione attraverso piccoli interventi di ingegneria naturalistica per proteggere le sponde delle barene. Questi interventi sono diffusi, reversibili, realizzati con materiali naturali, lavoro manuale e imbarcazioni leggere. E’ previsto, inoltre, per la manutenzione ordinaria di questi interventi il coinvolgimento della popolazione locale per assicurarne l’efficacia nel tempo. Praticamente giocano come i bambini, con secchiello e paletta.
Ma il progetto dei progetti per “salvare Venezia “sarebbe il Mo.s.e., un sistema di paratoie mobili sommerse e poste alle tre bocche di porto che, in caso di maree oltre i 110 centimetri, si dovrebbero sollevare e difendere la città dall’acqua alta. Ora la costruzione di questa enorme opera, cominciata nel 2003, non è ancora terminata e già presenta problemi a non finire e costi elevatissimi.
Tutto l’arco costituzionale, dopo l’ultima acqua alta di 150 centimetri che ha sommerso Venezia, si è sbracciato per stanziare fondi, individuare responsabilità, eliminare strettoie e pastoie burocratiche perché il Mose fosse finito al più presto, perché il Mose sarebbe la salvezza di Venezia, perché tutto il dramma dell’acqua alta di questo autunno sarebbe stato evitato se ci fosse stato il Mose.
Ma il Mose non è la soluzione, e non perché non funzioni o abbia problemi tecnici, ma perché non affronta le ragioni vere del disastro, ma si colloca proprio in assoluta continuità con tutte le scelte politico-economiche che hanno portato Venezia a questo punto.
E’ un altro passo avanti verso la distruzione della Laguna e non perché sia tecnicamente inadeguato, ma perché si pone il problema di rimediare ad un inconveniente cosicché tutto possa continuare come prima, perché la gallina dalle uova d’oro possa continuare a fare uova d’oro e che prima o poi stramazzi lo danno per scontato ma l’importante è che il profitto vada avanti per più tempo possibile.
E le maschere continuano a ballare per le calli giocando ognuna il suo gioco: c’è quella che raccoglie i fondi, quella che salva le opere d’arte, quella che lucida i mosaici, quella che costruisce le opere di salvaguardia, quella che fa i comizi, quella che ci imposta la carriera, quella che lucra vomitando turisti e quella che riconverte Marghera in polo industriale “green”…
Ma c’è qualcuno a cui importa di Venezia. Sono i NoTav, i
No Muos, quelli del comitato Nograndinavi…sono quelli e quelle che si battono contro la militarizzazione dei territori, quelle e quelli che in Sardegna lottano contro le basi Nato e le fabbriche di armi…sono i portuali di Genova che non vogliono far caricare e scaricare le armi dal loro porto, sono quelle e quelli dell’Asilo Occupato, del Giambellino, quelli che occupano le case, sono quelle e quelli che si battono contro i Cpr, sono le femministe autorganizzate che cercano di smontare i cardini su cui si fonda questo modello sociale, la legalità, la ”sicurezza”, il controllo sociale, la meritocrazia, la gerarchia…sono tutte quelle e tutti quelli che lottano contro le guerre “umanitarie”, contro le missioni all’estero, contro il neocolonialismo…sono tutte quelle e tutti quelli che sono rinchiusi nelle patrie galere, agli arresti domiciliari, al “confino”, in 41bis, perché hanno lottato e lottano contro lo stato presente delle cose.
Chi si batte per uscire da questa società e da questo modello economico, lotta anche per Venezia.
Tutto il resto è mancia.
Per saperne di più clicca su: IL DIVORZIO DELLE BEFFE TRA VENEZIA E GRANDI NAVI - Dossier
Elisabetta Teghil, friulana, architetto, femminista, da sempre si occupa dell’intreccio delle oppressioni di genere/razza/classe con particolare attenzione a come si rappresentano in questa società. Autrice di: "Ora e qui. Lettere di una femminista", Bordeaux, 2011; "Il sociale è il privato" , Bordeaux, 2012 e "Coscienza illusoria di sé" , Bordeaux, 2013. Scrive abitualmente sul blog coordinamenta.noblogs.org, ed ha una rubrica fissa, La "Parentesi di Elisabetta" , nell’ambito della trasmissione "I nomi delle cose" su Radio Onda Rossa.