Con lady Von der Leyen a capo Ue rischiamo nuove sanguinose avventure

I nostri media hanno fatto finta di ignorare, un perché Ursula von der Leyen - una delle più ferventi sostenitrici della Nato - è stata eletta presidente della Commissione europea. 

In politica Ursula von der Leyen è stata prima ministro della Famiglia, poi del Lavoro e infine della Difesa. Già candidata per la presidenza della Nato, van der Leyen è di sicura osservanza atlantica e ha rivendicato un ruolo più attivo a livello internazionale per le Forze Armate tedesche.

Ursula von der Leyen 22Da quando nel 2013 è diventata ministro della difesa tedesca, il budget del suo ministero è aumentato del 36 per cento. La Germania è il secondo più grande contributore di truppe alla Nato e guida la Very High Readiness, una task force congiunta capace di essere schierata in qualsiasi parte del mondo entro due giorni.

In un momento in cui la Cina si prepara a diventare la prima potenza economica del mondo, in cui la demografia occidentale è in calo mentre la popolazione africana è in fortissimo aumento, in cui la tecnologia non è più solo occidentale e l’esercito cinese aumenta la sua potenza a un ritmo sfrenato,un personaggio come Ursula von der Leyan è vista con molto buon occhio da Donald Trump.

Dopo la caduta del Muro di Berlino e gli stravolgimenti geopolitici che ne sono seguiti, il Patto atlantico, pur non abbandonando la sua originaria missione di alleanza militare difensiva si è assunto il ruolo di «poliziotto del mondo».

Un compito non da tutti condiviso tra i 26 Stati membri e i 17 membri associati che ne fanno parte.

Infatti, Trump lamenta i costi elevati di cui gli Stati Uniti continuano in gran parte a farsi carico, nonostante le continue pressioni di Washington, affinché gli alleati europei contribuiscano maggiormente alle spese di difesa. Al momento, soltanto quattro paesi raggiungono la soglia del 2 per cento del PIL prevista per le spese militari: Grecia, Regno Unito, Estonia e Lettonia (gli Stati Uniti arrivano fino al 3,5 per cento), mentre la Germania ha promesso di avvicinarvisi entro il 2030.

Tuttavia lo scorso gennaio il Congresso americano ha comunque confermato il sostegno alla NATO, segno dell’interesse statunitense a rimanere all’interno dell’Alleanza che gli consente di dirigere ogni azione del «poliziotto del mondo».

Una conferma recente giunge dal "Foreign Affairs", la principale rivista di politica estera degli Stati Uniti, dove si parla del ritorno della "questione tedesca".

Sin dalla fondazione del Reich tedesco nel 1871, infatti, la Germania è sempre stata una potenza troppo grande e troppo popolosa nel cuore d'Europa; ciò all'epoca aveva distrutto l'equilibrio dei poteri interno all'Europa e prodotto "due guerre mondiali", ha scritto il "Foreign Affairs". Pertanto il processo di integrazione europea sotto l'egemonia statunitense sarebbe "l'unica soluzione convincente al problema delle relazioni tedesche con l'Europa".

Un'Europa che si integra, che mette al bando i nazionalismi, deve essere in primo luogo un'Europa che mette al bando il "nazionalismo tedesco" – perché questo notoriamente ha avuto un importante "ruolo distruttivo nel sanguinoso passato europeo."

Sicuramente non a caso la signora von der Leyen, agli inizi di quest’anno ha pubblicato sul New York Times un elogio sperticato al Patto atlantico: «La Nato non è un'organizzazione transatlantica solo di nome. Rappresenta un legame speciale, anche emotivo tra i continenti americano ed europeo. Se i membri dell'Unione Europea riusciranno ad armonizzare la loro pianificazione della difesa e gli appalti militari, e intrecciando le loro forze armate, tutto ciò aggiungerà forza alla Nato. E una Nato più forte servirà gli interessi di sicurezza di tutti i membri, ma soprattutto  quelli degli USA. Inoltre, manderà un chiaro segnale a coloro che si oppongono all'ordine internazionale basato sulle regole: noi alleati transatlantici siamo pronti e disposti a difendere la nostra terra, il nostro popolo e la nostra libertà».

Comunque fa riflettere che, nonostante gli attacchi degli ultimi mesi che hanno colpito la ministra della Difesa tedesca, ella sia riuscita a farsi eleggere, benché con una maggioranza risicata, alla presidenza europea.

Infatti era finita nel mirino del Bundestag per appalti illeciti. E c'è chi pensa, come scrive 'Die Welt', che il suo invio a Bruxelles sia “una liberazione per Berlino”. A conferma c’è un sondaggio in cui il 56 per cento dei tedeschi spiega di essere contrario al ministro “che lascia il viale del tramonto in Germania per una strada lastricata di gloria a Bruxelles”.

Ursula von der Leyen è stata eletta ma con soli 383 voti a favore a fronte della maggioranza necessaria prevista di 374. soprattutto grazie ai 13 voti degli ungheresi di Fidesz e i 26 di Pis, il partito sovranista che dal 2015 governa la Polonia. «Von der Leyen è stata ministra della difesa. Comprende il problema della sicurezza nella nostra parte d’Europa. Speriamo che come capo della Commissione europea, cooperi e rafforzi la Nato. È fondamentale recuperare il rapporto con gli Stati Uniti», ha spiegato Witold Waszczykowski, eurodeputato di Ecr ed ex ministro degli Esteri polacco dal 2015 al 2018. Pertanto inquieta che i grandi giornali non si siano soffermati con scrupolosa attenzione sul curriculum e sulle "doti" della signora Von der Lyen.

Ci vuol poco a capire che la sua zelante fedeltà alla Nato e il suo atteggiamento duro verso la Russia piacciano all'Amministrazione americana, che le interpreta come uno strumento indispensabile per rinsaldare l' Alleanza atlantica in funzione anti russa. Il presidente Trump non può che gioirne.

Prepariamoci ad essere coinvolti in nuove sanguinose avventure.

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Vincenzo Maddaloni
Vincenzo Maddaloni ha fondato e presiede il Centro Studi Berlin89, l'associazione nata nel 2018, che si propone di ripercorrere analizzandoli i grandi fatti del mondo prima e dopo la caduta del Muro di Berlino. Professionista dal 1961 (per un decennio e passa il più giovane giornalista italiano), come inviato speciale è stato testimone in molti luoghi che hanno fatto la storia del XX secolo. E’ stato corrispondente a Varsavia negli anni di Lech Wałęsa (leader di Solidarność) ed a Mosca durante l'èra di Michail Gorbačëv. Ha diretto il settimanale Il Borghese allontanandolo radicalmente dalle storiche posizioni di destra. Infatti, poco dopo è stato rimosso dalla direzione dello storico settimanale fondato da Leo Longanesi. È stato con Giulietto Chiesa tra i membri fondatori del World Political Forum presieduto da Michail Gorbačëv. È il direttore responsabile di Berlin89, rivista del Centro Studi Berlin89.
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