Si riscopre il fascino discreto della DDR comunista

Trent'anni dopo la caduta del "Muro" nei cinema giungono molti film su quella che fu la vita al di là del “Mauer”. Lungometraggi diversi da quei pochi degli anni scorsi come “Good bye Lenin”, nel 2003, era una commedia grottesca sulla Ostalgie, la nostalgia dell´est.

Nel 2019 si celebrerà il trentesimo anniversario della caduta del “muro” (nove novembre 1989), eppure si continua a discutere sulla riunificazione, riuscita o meno.check point charlie 2 cover© courtesy of Graziano Arici

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Nella ex DDR se si votasse domani trionferebbero le estreme, i populisti della destra, o quelli di sinistra. In molte zone, l´AfD, diventerebbe il primo partito. Ognuno lo spiega alla sua maniera. La protesta di chi è stato dimenticato nella ricca Germania? Anche, ma la roccaforte dei neonazi è la Sassonia, che il Land dove si vive meglio, tra le regioni dell´est. 

Dopo la riunificazione, i tedeschi dell´ovest si sono comportati da “vincitori” volendo cancellare la storia dei fratelli poveri dell´est. Quando intervistai Lothar De Maiziére, l´ultimo premier della Germania rossa (era cristianodemocratico) mi disse con autoironia: “Quando i miei nipotini mi chiederanno che cosa fosse la DDR, risponderò: due righe di nota in un libro di storia”. Forse è anche un problema d´orgoglio, di dignità offesa, e non una scelta solo politica.  

Ora, nei cinema giungono molti film su quella che fu la vita al di là del “muro”, e diversi da quei pochi degli anni scorsi. “Good bye Lenin”, nel 2003, era una commedia grottesca sulla Ostalgie, la nostalgia dell´est. “Le vite degli altri” di Florian Henkel von Donnersmarck, infranse un tabu nel 2006 presentando un agente della Stasi “buono” alla sua maniera. Ma la storia era quella di una piccola élite di artisti, scrittori e attori. Anche “Barbara”, nel 2012, di Christian Petzold vede come protagonista una dottoressa che vorrebbe fuggire all´ovest, ma rimane per non abbandonare i suoi pazienti. Un finale melodrammatico. Petzold si arrabbiò molto perché non vinse l´Orso d´oro alla Berlinale, andato ai fratelli Taviani per “Cesare non deve morire”. 

 Von Donnersmarck ritorna con “Werk ohne Autor”, opera senza artista, presentato con scarso successo all´ultimo Festival di Venezia. Ancora un protagonista eccezionale: la biografia , sotto altro nome, del pittore Gerhard Richter, nato a Dresda nel 1932 e fuggito a Colonia da giovane. Tutto vero, ma è difficile identificarsi in un artista geniale. Può darsi che i critici e il pubblico a Venezia non abbiano compreso una storia molto tedesca.  

Alla Berlinale di quest´anno, ho visto “In den Gängen” di Thomas Stuber, letteralmente nei corridoi, quelli di un grande magazzino tipo Ikea, oggi in una cittadina dell´ex DDR. La vita degli addetti allo stoccaggio dei prodotti è descritta con malinconico realismo. Sono tutti dei perdenti, ma senza rabbia. Hanno trovato una nicchia per sopravvivere, per sperare in un amore, ma non in riscatto sociale.

Un film triste e vero, e che infatti non ha vinto alcun premio, neanche per il protagonista, Franz Rugowski, che avrebbe meritato l´orso come migliore attore. Per ultimo arriva "Kruso", tratto dall´omonimo romanzo di Lutz Seller,  andato in onda sull´ARD, il primo canale pubblico, ancora un film di Thomas Stuber, nato a Lipsia, aveva otto anni quando cadde il "muro".   

E´ la storia degli hippies della DDR, che li tollerava, isolandoli in ghetti facili da controllare, come la piccola isola di Hiddensee, nel Baltico, 17 chilometri per quattro, oggi diventata una ricercata meta turistica dove le auto sono vietate. Seller racconta una storia personale: l´ultima estate nell´´89, mentre il regime va a pezzi. Come il suo protagonista, anche l´autore lavorò nella locanda "Zum Klausner", rifugio dei ragazzi ribelli, che sognano la fuga all´ovest, perfino a nuoto (ne annegarono 161). Kruso, il loro leader, sostiene di essere figlio di un generale dell´Armata Rossa, lava piatti e serve a tavola, e distribuisce ai ragazzi libri proibiti, come i romanzi di Günter Grass. 

Le notizie giungono dalla radio, i tedeschi dell´est fuggono, passando dall´Ungheria. E un giorno dopo l´altro spariscono i camerieri e i cuochi della locanda. Alla fine rimane Kruso e un suo ultimo amico. Ma loro non vogliono che la DDR muoia, perché morirebbe anche il sogno di una società migliore, non comunista, non capitalista. Un´utopia. Ma non un ínvenzione romanzesca. In quell´estate intervistai Jens Reich, uno dei leaders dell´opposizione, e mi disse che lui, e i suoi amici, non pensavano a una possibile riunificazione.

Mesi dopo la caduta del "muro" intervistai Christian Führer, il pastore della Nikolaikirche, la chiesa di Lipsia da dove ogni  lunedì partivano le manifestazioni di protesta, prima cento fedeli, poi mille, diecimila, sempre di più finchè il regime si arrese. "Ma non ci siamo battuti per tutto questo, mi disse, per comprare una VW, o andare in vacanza a Rimini". Si sentiva sconfitto pur avendo vinto. Lui e gli altri, gli intellettuali e i giovani sull´isola, erano pochi, ed erano degli idealisti. Ma ricordarli serve a capire cosa fu la DDR, e capire oggi i tedeschi dell´est.  

arici giardina 2 2© courtesy of Graziano Arici

  

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Roberto Giardina

Roberto Giardina, dal 1986 in Germania, è corrispondente per il QN (Giorno-Resto del Carlino- La Nazione) e Italia Oggi. È presente su Berlin89 con la rubrica Pizza con crauti.  
Autore di diversi romanzi e saggi, tradotti in francese, spagnolo, tedesco. 

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