E' la "Oslo Paradiso" per il mondo delle diversità
Secondo il World Happiness Report delle Nazioni Unite la Norvegia è dopo Finlandia e Danimarca, il paese più felice al mondo. Ma è pure la nazione dove l'omosessualità è legale dal 1972. Nel 1981 è diventato il primo paese al mondo ad applicare le leggi contro l'omofobia e il secondo al mondo per aver legalizzato nel 1993 le unioni civili (il primo è stato la Danimarca nel 1989). Anche sulle politiche dell'immigrazione si distingue dal resto d'Europa.
Oslo - Il cartellone con la mappa che mostra gli itinerari delle passeggiate del I'm Every Lesbian – Oslo l'hanno posato nella sala principale del Museo Munch, “ a testimonianza di un'impegno preso fin dall'inizio”, come spiega il direttore Stein Olav Henrichsen. L'evento data 2016, con la scultrice Sofia Hultin che propone una “passeggiata” per le vie di Oslo alla ricerca dei luogi, degli spazi, dei caffé dove ha raccolto le interviste con donne di diversa età, di diversa estrazione sociale e di variegate identità sessuali.
E' quanto risulta scritto sullo spazio intorno la mappa, la quale in quell'anno era stata appesa accanto all'ingresso principale del Munchmuseet. Ai partecipanti veniva data una brochure sulla quale sono indicati l'itinerario e le coordinate sul come e dove collegarsi per poter ascoltare le interviste, durante le soste pianificate da Sofia Hultin lungo le vie di Oslo. Furono tre in tutto le “passeggiate”, non di più. Quanto bastò perché ne parlassero in tutta Europa e oltre, anche perché il Munchmuseet è un'ottima cassa di risonanza per iniziative come questa, incoraggiate dal governo norvegese.
Non a caso sulla guida ufficiale online di Oslo, dopo il link “ Oslo economica” ce n'è uno dedicato a “ LGBTQ+ di Oslo”, per dire come sono intese da questa parte le libertà democratiche, e come eventi con risonanze importanti come questa, alzano di molto la media europea di coloro (71% ) che si dichiarano d’accordo sul fatto che gay, lesbiche e bisessuali dovrebbero avere gli stessi diritti degli eterosessuali, e di quanti (61%) sono a favore del matrimonio egualitario.
Naturalmente, come ricorda la sociologa Daniela Danna, “ A espandere il riconoscimento delle coppie e delle famiglie Lgbt è stata anche la logica della libertà di circolazione dei lavoratori, che richiede il riconoscimento reciproco degli atti amministrativi tra Paesi nell’Ue. In questo modo i ricorsi in giudizio da parte di coppie unite civilmente o sposate all’estero sono andati avanti anche in Italia.”.
Comunque sia, nel Belpaese rimane una strada tutta in salita, fintanto che la stragrande maggioranza dei politici italiani sostiene o comunque non condanna chi pretende di disciplinare la sessualità, la riproduzione, l’intimità e persino l’amore. Così operando il rischio è che vengano messe in discussione le garanzie fondamentali non solo delle minoranze, ma di tutti i cittadini. E' una minaccia per la democrazia che nei paesi Scandinavi è stata bypassata, semplicemente affidandosi all’ideologia liberale, secondo la quale non vanno tenute in alcun conto le caratteristiche innate che riflettono la variabilità umana. Poiché - è accertato - tutti possono dare il loro contributo allo sviluppo dei mercati e al progresso, e a nessuno dovrebbe essere impedito di farlo. In Norvergia funziona dal 1981(!) da quando è diventato il primo paese al mondo ad applicare leggi contro l'omofobia.
Molto vi ha influito la cultura laica assieme a una cognizione profonda del concetto di democrazia di cui i norvegesi sono pervasi, e che li rende distanti anni luce - è un esempio tra i tanti – da Brian Brown ( presidente dell’IOF, l'ente che quest'anno ha scelto Verona per l’annuale manifestazione delle Famiglie) il quale interrogato sul perché ai transessuali americani è vietato di diventare militari, ha risposto che, “l’esercito è per la guerra, non per le erezioni”. Non vanno inoltre dimnticate le titubanze di buona parte dei Paesi dell’ex blocco sovietico che ancora esitano sull'argomento, benché sia stato loro richiesto di introdurre clausole antidiscriminatorie che riconoscano le minoranze sessuali, (Criteri di Copenaghen).
Non pensate i novergesi con un aspetto tormentato, come appaiono nei quadri di Munch, immersi in paesaggi di una malinconia siderale, come li ha dipinti il loro maggior artista. Oslo in questi giorni di fine estate è una città tirata a lustro, come usa con i parchi reali. Il Governo spende, il cittadino applaude e rispetta quella spesa migliorandola con la propria attenzione.
Oslo non ha gli scenari architettonici di Stoccolma o di Copenaghen, né vi si respira la frenesia del porto come quello di Amburgo, che inquietava Bjornstjerne Bjornson il poeta, amico del drammaturgo Henrik Ibsen con il quale condivideva il vezzo delle basette lunghe e scapigliate. Bjornson vedeva riflessa in Oslo, l'immagine violenta agressiva della città portuale e la contrapponeva ai silenzi nella serenità della campagna. Questo prurito di sensazioni gli ispirò dei versi che poi divennero le parole dell'inno norvegese, e il poeta, il drammaturgo Bjornson - premio Nobel nel 1903 - si conquistò il suo posto nella storia della Nazione.
Secondo il World Happiness Report delle Nazioni Unite la Norvegia è dopo Finlandia e Danimarca, il Paese più felice al mondo. La disoccupazione è al 3,7 per cento, il Pil pro capite supera i 67mila euro. Il salario medio mensile, tra i più alti d’Europa ma proporzionato a un elevato costo della vita, è di circa 29mila corone, l’equivalente di 3 mila euro. C'è un welfare leggendario che si sostiene alla grande con le risorse del petrolio, capace di tutelare la serenità di chi vi risiede.
Beninteso, non è che voglia indicare questa nazione di soli cinque milioni di abitanti, questa capitale con i suoi settecento mila cittadini, e chi la governa, come un esempio esaltante che andrebbe imitato, o almeno studiato. Dopotutto dalle nostre parti ne mancano i presupposti, e con essi la voglia di mettersi in sintonia.
E' comprensibile che con gli ululati populisti e sovranisti nelle orecchie è arduo - per chi abita nel sud Europa - soffermarsi a meditare sul perché un artista contemporaneo come Bjarne Melgaard (nella foto), norvegese ma di base a New York, considerato un bad boy per le sue opere controverse alcune delle quali esposte accanto ai quadri di Edvard Munch, ” sono apparse come una sorte di provocazione che ci ha consentito” spiega il direttore del Munchmuseet Henrichsen, “di affrontare questioni importanti come possono essere, la sessualità, l'omosessualità, la pedofilia, la difesa del principio della libertà. Le opere di Melgaard si ispirano a queste tematiche e pertanto su quest'onda abbiamo organizzato una serie di dibattiti, nelle sale del museo, una sede insolita per affrontare questi argomenti che toccano da vicino la società civile. Nelle nostre stanze la gente si è sentita a suo agio, libera di poter esprimere le proprie idee senza la paura di essere sommersa di sermoni. Il tema è coinvolgente , sono arrivati in tanti”. Il dati lo confermano, i 256 mila visitatori all'anno (2016) al tempo delle passeggiate di Sofia Hultin, oggi sono 500 mila e passa.
Si può o non si può essere d'accordo con la tesi di Henrichsen, certamente è uno dei tanti segnali importanti di un Paese secondo il quale la difesa della democrazia non si fonda sull'esclusione. Come diceva Robespierre : “Non c'è libertà per i nemici della libertà”. La Novergia lo dimostra con i fatti, in controtendenza con la gran parte d'Europa - l'Italia vi spicca - dove l’unica ideologia capace di mobilitare fino alla paranoia le folle, è la difesa contro gli immigrati, contro i diversi, contro la depravazione sessuale dei senza dio . Gli episodi di omofobia che si sono verificati nei paesi ex comunisti dell’Europa dell’est dovrebbero fare riflettere. Senza dimenticare che dietro ai movimenti antigay di Polonia e di Croazia c'è - da sempre - la chiesa cattolica, nonostante i tanti scandali sui preti pedofili. Una “benedizione” sodalizio non poco irritante.
I novergesi si sono mossi con i fatti. Hanno rettificato il paragrafo 135a del Codice Penale, per mettere fuori della legge i discorsi che incitano all'odio basato anche sull'orientamento sessuale.
Hanno legalizzato le unioni civili con una legge che consente il matrimonio anche alle coppie omosessuali e le autorizza ad adottare bambini. Infine, gli omosessuali possono servire apertamente nelle forze armate, dove sono protetti da diverse leggi contro la loro discriminazione fin dal 1979. Questo lungo elenco di attese esaudite aiuta meglio a capire la metodologia dei norvegesi, che fa storia a sé nello scenario europeo.
Con gli stessi criteri essi hanno affrontato il problema degli emigranti. Naturalmente, la Norvegia di oggi è distante da quella che nel 1921 ha visto l’esploratore Fridtjof Nansen diventare il primo Alto Commissario per i rifugiati nella Lega delle Nazioni. Ora è il parlamento che ogni anno stabilisce il numero massimo di rifugiati che possono essere accolti nel paese, sulla base delle proprie esigenze, e della disponibilità di posti di lavoro, scolastica e abitativa. Le regole sono ferree. Tanto per capire, una persona che aiuta uno straniero a entrare illegalmente in Norvegia rischia fino a tre anni di prigione, mentre chi sfrutta l’immigrazione per profitto rischia fino a sei anni.
Accade perché la politica migratoria norvegese è dettata da due fattori: da una parte la consapevolezza che il welfare ha risorse limitate, dall'altra parte la determinazione di poter garantire agli immigrati gli stessi diritti dei cittadini norvegesi. «Questo è il punto che ci distanzia da altri paesi dell’Europa», amano ripetere, supportandosi con le parole di Ibsen secondo il quale, «La vita di famiglia perde ogni libertà e bellezza quando si fonda sul principio dell’io ti do e tu mi dai».
L'Ibsen-pensiero, per le genti del Sud Europa è pura bizzarria, poiché il «principio dell’io ti do e tu mi dai» da noi prevale, radicato com'è nell'intreccio tra cultura e civiltà. Non c'è più voglia di stare lì a pensare se l'Ibsen-pensiero sia quello giusto, da quando esiste lo smartphone che spiana i dubbi. Anche sui quesiti più semplici come lo può essere la la tigre rampante che dal Duemila ruggisce fuori dalla stazione ferroviaria centrale di Oslo. L'intenzione di Elena Engelsen che l'ha realizzata - in bronzo - era di rappresentare la vivacità e lo sviluppo della Tigerstaden, la città della tigre, il soprannome di Oslo. Manca però la targa che spieghi questo iter di buona volontà.
Non sono riuscito a sapere se sono gli Osloenser (così si chiamano gli abitanti della capitale) o i turisti i primi a fregarsene.