E poi il Muro cadde. Danke, Gorbi!

Il nove novembre 1989 la sala del centro stampa Ddr nella Mohrenstraße è piena di giornalisti venuti da tutto il mondo. La Germania rossa è in fermento e la stampa internazionale è presente in forze a Berlino.

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    L'agenda prevede che oggi Günter Schabowski, portavoce dell'ufficio politico della Sed (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands) riferirà sull'andamento dei lavori al comitato centrale. Gli portano un biglietto che si mette in tasca ignorandolo. Ma quando un giornalista, il corrispondente dell'Ansa Riccardo Ehrmann, gli chiede se ci siano novità sul tema della libertà di movimento, scorre quelle poche righe e pronuncia alcune parole destinate ai libri di storia: “... è stato deciso che i viaggi privati verso l'estero sono permessi senza condizioni. I permessi saranno rilasciati immediatamente. Sono aperti tutti i transiti dalla Repubblica democratica alla Repubblica federale e Berlino Ovest”. Gli chiedono quando la nuova norma entrerà in vigore. “Subito”, risponde.

    Nel pronunciare la condanna a morte del Muro, ventotto anni e tre mesi dopo la sua costruzione, Schabowski è stato un po' precipitoso. Nelle intenzioni governative la decisione doveva essere resa pubblica con prudente gradualità. Ma ormai è fatta, la notizia rilanciata dai media raggiunge il mondo intero. L'effetto su Berlino è insieme liberatorio e sconvolgente: quelle parole scarne ma potenti garantiscono finalmente alla città lacerata l'accesso al divenire, che come dicevano i filosofi antichi non è altro che il passaggio dalla potenza all'atto. Nei quartieri orientali si forma uno tsunami di folla che si precipita verso il Muro. La gente vuole passare dall'altra parte, anche senza le autorizzazioni di cui pure Schabowski ha parlato. Le guardie di frontiera non possono certo resistere a quella pressione e aprono i valichi. I berlinesi dell'Ovest accolgono entusiasti i concittadini dell'Est. É il tempo degli abbracci, degli applausi, dei brindisi, delle prime picconate al Muro ormai consegnato agli archivi. Le televisioni portano in tutto il pianeta le immagini della folla in delirio.

     E pensare che appena trentadue giorni prima tutt'altro spettacolo ha offerto Berlino Est. É il quarantesimo anniversario della Repubblica democratica e lungo la Karl-Marx-Allee si celebra l'evento con l'impeccabile venturi88sfilata dei reparti della Volksarmee, dei gruppi di combattimento dei lavoratori, dei pionieri, degli sportivi che da anni dominano le competizioni internazionali proponendo al mondo la bandiera e l'inno dell'”altra” Germania. Ecco i capi dei paesi fratelli impettiti sul palco attorno a Erich Honecker che saluta agitando il cappello le milizie in marcia, felice del rito che sembra allontanare i preoccupanti scenari di cui tutti parlano. Di fronte alle convulsioni che scuotono la Ddr lui tiene duro, ha accolto con un'alzata di spalle l'avvertimento di Mikhail Gorbachev, che gli aveva consigliato di non contrastare gli eventi: chi arriva troppo tardi, la vita lo punisce... L'uomo della perestrojka citava indirettamente Seneca: ducunt fata volentem, nolentem trahunt... Il destino accompagna chi lo asseconda, trascina chi vi si oppone.

     Niente da fare, il vecchio leader non ci pensa proprio ad assecondare un destino che implichi la rinuncia ai cari vecchi principi dello stato degli operai e dei contadini. Ancora il 13 agosto, ventottesimo anniversario del Muro, ha ripetuto che la barriera resterà fino a quando non saranno cambiate le condizioni che l'hanno vista nascere. Ecco, Honecker ha proprio centrato il punto, perché quelle condizioni sono davvero mutate, e radicalmente. Si metta il cuore in pace: la barriera era stata eretta per impedire le fughe ma da qualche mese, in un rinnovato contesto internazionale, in un mondo improvvisamente divenuto incomprensibile alla sua mentalità lineare, le fughe sono riprese e sono diventate un esodo. Il Muro non serve più al suo scopo, dunque deve cadere. E presto cadrà la stessa Ddr. Intanto cade lui: undici giorni dopo l'ultima parata tramonta la tenace illusione dell'uomo che fino alla fine ha sperato nel soccorso del Patto di Varsavia in nome dell'internazionalismo proletario, soppesando la fatale opzione militare. É il 18 ottobre quando Honecker si dimette dalla doppia carica di capo del partito e dello stato, cedendola a Egon Krenz.

     Le prime avvisaglie che la storia si è messa in movimento risalgono al 1985, quando Gorbachev s'installa alla guida del partito comunista sovietico.

Le sue aperture inquietano non poco il vertice della Ddr, per non venturi39parlare della Polonia in fibrillazione, degli scricchiolii che sembrano far vacillare l'edificio del socialismo reale. Nel giugno 1987 Ronald Reagan parla davanti alla Porta di Brandeburgo e pronuncia anche lui, come Kennedy tanti anni prima, qualche parola in tedesco: Es gibt nur ein Berlin! Ma per avere una sola Berlino bisogna che scompaia il Muro, di qui l'appello al capo dell'altra superpotenza: Mr Gorbachev, tear down this wall! Poco meno di due anni più tardi il successore di Reagan alla Casa Bianca, George Bush, invita nuovamente il segretario sovietico a togliere di mezzo la barriera. É difficile immaginare qualcosa di più fastidioso, per Honecker e la sua cerchia, di questi appelli all'uomo di Mosca. In fondo il Muro lo hanno costruito loro, perché mai dovrebbe abbatterlo qualcun altro?

     Fatto sta che Gorbachev, il popolarissimo Gorbi, è diventato un'icona per la gente della Ddr che sogna la libertà. Nell'autunno del 1987 migliaia di ragazzi dell'Est si avvicinano al Muro per ascoltare un concerto rock in programma dall'altra parte, entrano in contatto con la Volkspolizei che vigila in forze, e allora gridano in coro Gorbachev, Gorbachev! A quel punto parte la carica: presi a manganellate per avere inneggiato al capo del grande paese guida! Davvero la storia sta facendo le capriole. Per evitare che si ripetano episodi così imbarazzanti, s'invitano alcune celebrità della musica occidentale, come Bob Dylan e Bruce Springsteen, a oltrepassare il Muro ed esibirsi nel Treptower Park, nei pressi del monumento dedicato ai liberatori dell'Armata rossa. Ma ormai il malessere dilaga, mentre gli sviluppi internazionali alimentano le speranze di cambiamento e le trasformano in certezze. A Berlino Est e nel resto della Ddr si formano gruppi organizzati del dissenso, che discutono animatamente sulle prospettive e preparano manifestazioni di piazza.

     E così cominciano a cedere i meccanismi di auto-isolamento della Germania orientale. I primi a prendere il largo si rifugiano nella sede della rappresentanza permanente della Repubblica federale a Berlino Est, poi venturi3 58nelle ambasciate tedesche occidentali nei paesi del Patto, i soli che i cittadini della Ddr possono raggiungere. Quindi una crescente marea di fuggiaschi stipati nelle loro Trabant, le piccole auto con lo scoppiettante motore a due tempi, preme sul confine proibito, quello che ancora li separa dal sospirato Occidente. Proprio qui, sulla frontiera fra l'Ungheria e l'Austria, parte integrante di quella cortina di ferro di cui il Muro di Berlino è la sintesi perfetta, avviene il miracolo. Nella visione di Honecker è il tradimento ungherese. Il governo di Budapest apre la frontiera, la fiumana delle Trabant entra in Austria e punta verso la Baviera. Subito dopo il confine austro-tedesco alcuni scendono dall'auto e si chinano a baciare il suolo. Molti procedono verso Berlino, racconteranno che avranno fatto duemila chilometri per andare da Mitte a Kreuzberg!

     Tutto questo appartiene ormai al passato, nella notte di festa che segue l'apertura del Muro. E nei giorni successivi, quando i passaggi si moltiplicheranno, e quelli dell'Est si aggireranno estatici fra i templi occidentali dei consumi, o andranno a visitare i parenti sparsi nei Länder federali, a sondare le possibilità di lavoro nel caso che non intendano tornare oltre quella cava di policromi souvenir che è ormai diventato il Muro. Attorno alla monumentale barriera che ormai cade anche fisicamente a pezzi si prepara, con un intenso lavorio diplomatico che coinvolge in primo luogo le quattro potenze occupanti, la fine concordata della Repubblica democratica tedesca. Un raggiante Helmut Kohl lavora per l'unità nazionale, assicura che le desolate province orientali diventeranno presto un blühendes Land. Non sarà proprio così, il paese in fiore promesso dal cancelliere resterà per lo più una chimera, ma ora è il tempo dell'ottimismo e della speranza.

     Intanto il Muro è diventato una sorta di ara celebrativa. Due giorni dopo la caduta ecco il maestro Mstislav Rostropovich, seduto col suo violoncello accanto alla barriera vicino al Checkpoint Charlie, che suona Vivaldi e Mozart. Lo circonda una folla di berlinesi dell'Est e dall'Ovest accomunati dalla passione per la grande musica.Venturini Honneker E come dimenticare quella notte d'estate del 1990, quel Muro di polistirolo eretto dagli scenografi dei Pink Floyd nei pressi della Potsdamer Platz, il suo crollo in un tripudio di luci e suoni davanti a una platea sterminata, al culmine dello spettacolo The Wall? Proprio in quei giorni si fa un passo decisivo verso l'unità: la solida moneta della Repubblica federale viene introdotta nell'altra Germania. Cambio alla pari con il marco orientale che in realtà valeva dieci volte meno: un'operazione assai onerosa, ma si voleva dare un senso più ideale che finanziario all'imminente fusione delle due Germanie.

     Ormai la storia galoppa: quando scocca l'ora zero del 3 ottobre 1990, meno di undici mesi dopo quel magico nove novembre, nella gremitissima Platz der Republik una grande bandiera illuminata dai multicolori lampi pirotecnici sale gonfiata dal vento su un pennone davanti al Reichstag. A due passi dal Muro che non divide più, quella bandiera segnala al mondo che è nata una nuova Germania.

 3. fine- "Storie conosciute e poco conosciute del Muro", di Alfredo Venturi (sopra nella foto con Erich Honecker).

 

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Alfredo Venturi
É nato a Bologna, vive in Toscana. Laurea in Scienze politiche. Giornalista (il Resto del Carlino, La Stampa, Corriere della Sera) attivo in Italia e all'estero. Ha trascorso in Germania il decennio che comprende la riunificazione. Editorialista del settimanale Azione di Lugano. É autore di numerosi saggi di ricerca e divulgazione storica.
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