Il capo delle SS,Heinrich Himmler ideologo della 'soluzione finale' passava la giornata da una telefonata alla figlia alla messa a punto dei dettagli dell'Olocausto. Tutto è riportato in Die Organisation des Terrors – Der Dienstkalender Heinrich Himmlers 1943 – 1945, così s’intitola il saggio edito da PIPER scritto da cinque storici che con un lavoro di ricostruzione capillare hanno approfondito e commentato con competenza i dati grezzi dell’agenda di Himmler, del suo calendario talvolta scritto a mano e delle note della sua rubrica telefonica..
di Salvatore Trapani
"L’eliminazione di donne e bambini è di certo un crimine” – e proseguendo -
“in ogni caso, la mia coscienza resta pulita, perché anche laddove devo odiare, considero l’elemento umano." (Ergo: chi ammazziamo non sono esseri umani).
Scriveva così il capo delle SS Heinrich Himmler sulla sua agenda personale, data smarrita per sempre fino a qualche anno fa.
Agenda saltata invece allo scoperto e dunque agli onori della cronaca da quando è riapparsa da qualche giorno in Germania, riordinata in un saggio dai cinque storici, che hanno realizzato un lavoro certosino di ricostruzione: Matthias Uhl, Jean-Luc Leleu, Dieter Pohl, Thomas Pruschwitz e Martin Holler.
I fogli che ricoprono il periodo 1 gennaio 1943 - 14 marzo 1945 (in tutto 804 giorni) furono sequestrati dai militari dell'Armata Rossa negli ultimi giorni della Seconda guerra mondiale ed erano rimasti sepolti negli archivi del ministero della Difesa russo a Podolsk, vicino Mosca.
Die Organisation des Terrors – Der Dienstkalender Heinrich Himmlers 1943 – 1945, così s’intitola il saggio edito da PIPER (non c’è ancora la traduzione in italiano), che con l’analisi di ogni pagina dell’agenda ci mostra il quotidiano del manager dell’Olocausto.
“Ore 10:00 – Colazione; ore 13:00 SS-Gruppenführer Globeknik; ore 13.30 SS-Hauptstrumrführer Grauel.” e così via...
Giornate cadenzate da appuntamenti e incontri. Ma anche visite e attività che lui stesso, classificava come “speciali” quali sopralluoghi, colloqui o – tagliando la testa al toro come gli piaceva – impartire ordini di una certa responsabilità, in quell’orizzonte del terrore di cui era il capo supremo.
Pagine peggiori che se fossero di un diario, che come tale fa pur sempre emergere l’intimo di chi lo scrive, riproducendosi in riflessioni che mettono anche in questione l’universo dell’autore.
Un’agenda non serve a tutto ciò, ma a sciorinare eventi prestabiliti, nel decalogo del quotidiano; è il verificarsi, l’esito ben oltre la riflessione. In una parola, il divenire. Trapela così dall’inesorabile evolversi in segmenti temporali, la massa dei giorni dell’Olocausto, quale brutale visione politica della quinta essenza di un assassino di Stato.
Un lavoro di ricostruzione capillare quello svolto dai cinque storici redattori, perché è attraverso quegli appuntamenti, appunti veloci, orari, che si è dovuta ricostruire la storia documentale.
In collaborazione con archivisti e bibliotecari, hanno aggiunto e commentato con competenza i dati grezzi dell’agenda di Himmler, del suo calendario talvolta scritto a mano e delle note della sua rubrica telefonica con una precisione ammirevole. Qual è il risvolto per la Storia nella serie di incontri del 16 settembre 1943, per esempio?
Ciò che Himmler ha discusso, suggerito o proibito, commentato o nascosto, è parte integrante della Storia di un evento che non ci dà pace e non trova pace, perché la freddezza di quel calendario è il rilievo bidimensionale di destini, nel brutale sterminio di sei milioni di innocenti, di miglia di schiavi nei campi di concentramento, di esecuzioni di massa ineluttabili nell’agenda del burocrate dei burocrati di un genocidio.
Da questa documentazione e classificazione meticolosa delle pagine dell’agenda i cinque storici ci danno l’orizzonte su un quadro sfaccettato, nella rappresentazione sfumata della divisione del lavoro e della criminalità organizzata in un modo burocratico.
Laddove c’è burocrazia non può esserci pazzia e nel caso di Himmler – semmai – gli effetti del risentimento di una generazione dalle macerie della Grande Guerra, trovatasi a galleggiare su un mare di umiliazioni causate dalla “pace” di Versailles.
Tra virgolette, perché in ogni paragrafo di quel trattato c’è lo svilimento stesso dell’Europa, non può essere altrimenti, perché mai si era vista nazione europea - che avesse perso - venir trattata come fu la Germania crocifissa alle sue responsabilità (l’Europa si è fatta con le guerre).
Ecco perché i nazisti non videro di là del drammatico dualismo, che fu cifra della loro politica: “amici-nemici”. In ciò trova dunque posto la questione razziale, da Himmler stesso rappresentata, essendo proprio a capo, per volontà di Adolf Hitler, della protezione della “razza ariana”.
In questo clima politico,
Heinrich Himmler, figlio di un insegnante di liceo cattolico della classe media antisemita di Monaco negli anni Venti vide la folle idea di annientamento degli ebrei come l'argomento centrale della vita: "
La cosa più importante per me è che ora gli ebrei siano portati a Est". (9.4.1943).
A Est c’erano le fabbriche di morte, ecco perché gli ebrei ci dovevano andare.
La sua agenda ci rivela ancora che l'8 febbraio 1943, Himmler suggerì al suo capo dello staff di far tracciare viottoli tra i grovigli di filo spinato attorno ai campi di concentramento, per i cani, che avrebbero dovuto correre, se necessario, "a sbranare chiunque tranne il loro custode".
Quattro giorni dopo, il 12 febbraio, nella sua agenda elenca brevemente: "Ispezione del Sonderkommando".
Gli storici sono risaliti all’ordine degli eventi: Himmler andò al campo di sterminio di Sobibor e si fece mostrare gli effetti del monossido di carbonio su vittime umane in una camera a gas.
Per quella dimostrazione non ci furono deportazioni a posta, l’SS Odilo Globocnik e il suo collega Friedrich Wilhelm Krüger hanno improvvisato e procurato 200 ragazze e donne ebree, per dar senso a quel sopralluogo.
Nell'autunno del 1943, diede ancora ordine al capo dell'Ufficio economico e amministrativo delle SS di sottoporre a test le scarpe della Wehrmacht dai prigionieri nel campo di concentramento di Sachsenhausen a Oranineburg, poco fuori Berlino.
Chi visita il Memoriale oggi su quella fascia di terreno ci può anche camminare. Ma allora 170 prigionieri mal nutriti hanno dovuto percorrere fino a 48 chilometri su una pista di prova lunga solo 700 metri. Ogni giorno da 15 a 20 persone morivano di stanchezza o venivano fucilate.
Nella stessa agenda è cruciale la seconda questione di rilievo per Himmler: sterminare per garantire lo sviluppo etnico del Terzo Reich.
Quindi si dipana una serie di incontri e annotazioni, perché la macchina della riproduzione della “razza” non si fermasse, ma soprattutto restasse sotto diretto controllo, per evitare che gli inutili sentimenti distogliessero dal buon esito.
Il 26 novembre 1944, Himmler chiede agli scapoli tra le guardie di Hitler: "che cosa avete fatto di male per essere ancora soli?".
Così si congratula con un SS per l'ottavo bambino, due mesi prima della fine della guerra mondiale, chiedendo di poter fare da padrino alla neonata.
E ancora l'ordine di insistere con le indagini sulla "lotta contro la sterilità attraverso i bagni di fango" o di educare gli uomini delle SS perché le loro donne abbiano più figli.
Bizzarra priorità penseremmo, proprio quando la Germania capitolava. Non follia, burocrazia s’è detto e Himmler stava al reparto “razza” non a quello della “guerra”.
Salvatore Trapani vive a Berlino dal 1998. Ha corrisposto per le pagine di cinema e cultura del periodico romano Shalom-Mensile e del quotidiano nazionale Il Giornale. Si occupa di memoria storica e arti visive cooperando come referente alla formazione per il Memoriale agli Ebrei uccisi d’Europa a Berlino, per il Memoriale dell’ex campo di concentramento femminile di Ravensbrück per l’Isituto Storico di Reggio Emilia, ISTORECO, dove ha fondato il progetto A.R.S. – Art Resistance Shoah. È anche autore di novelle (Edizioni Croce) e per saggistica (Editrice Viella). Si chiama Denoument il suo sito tutto dedicato al Cinema.(https://www.denouement.it/).