La guerra cominciò alle quattro e quarantacinque del mattino del 1˚ settembre, di ottantanni fa con le bordate di una nave di battaglia, la Schleswig Hollstein, contro la guarnigione polacca di Westerplatte Danzica.
I polacchi reagirono, si difesero e tentarono un contrattacco, tennero in scacco i tedeschi per cinque giorni. Tutto fu inutile Wehrmacht e Luftwaffe «avevano una schiacciante superiorità numerica in tutti gli elementi decisivi: negli uomini, negli armamenti, nell’addestramento e nella tattica; di fatto in tutto tranne che nel coraggio ».
La strategia difensiva di Varsavia fu figlia di considerazioni economiche ed errori politici. I polacchi tenevano a conservare il controllo delle miniere di carbone della Slesia, vicino alla frontiera tedesca e credevano di poter contare un'immediata assistenza militare della Francia e della Gran Bretagna. Ma Londra e Parigi non potevano o volevano sguarnire il fronte occidentale.
Soprattutto non sapevano che la loro sorte era già decisa da quando a Mosca il 23 agosto Ribbentrop e Molotov, avevano firmato il patto di non aggressione tedesco-sovietico.
I polacchi ignoravano in quel momento che un protocollo segreto, firmato nelle stesse ore, prevedeva la spartizione del loro Paese.
Ma non potevano ignorare che l’Urss aveva dato alla Germania, con il patto di non aggressione, una formale «licenza di uccidere».
L'inutile ruolo della dilomazia
Fino alle ultime ore prima dell’inizio del conflitto, governi e diplomazie continuarono a comportarsi come se la pace fosse ancora possibile.
I consigli dei ministri delle maggiori potenze europee tennero frenetiche riunioni straordinarie.
Gli ambasciatori ricevettero concitati dispacci, chiesero udienza ai governi presso i quali erano accreditati, avanzarono proposte, suggerirono conferenze quadripartite come quella che un anno prima, a Monaco, aveva regalato all’Europa una pace breve e illusoria. A Londra, a Parigi, a Roma esistevano ancora persone che tentavano disperatamente di riannodare il filo spezzato dei rapporti tedesco-polacchi.
Del tutto inutile.
Il primo a comprendere che i giochi erano fatti e che non c'era più spazio per la diplomazia europea,fu l’ambasciatore d’Italia a Berlino Bernardo Attolico. Vani i suoi tentativi di convincere Ribbentrop a ricevere l’ambasciatore polacco, ebbe anche la possibilità di una udienza con il Führer e ricevette il testo delle inaccettabili e umilianti proposte che la Germania aveva inviato alla Polonia. Propose la mediazione dell’Italia. Hitler rispose che non voleva mettere il Duce in una situazione imbarazzante. Tombale alla domanda di Attolico, «è tutto finito?» la risposta fu un glaciale «sì».
Avvisaglie
Il 31 agosto a Gleiwitz e a Hohlinden, a breve distanza dalla frontiera polacca.
A Gleiwitz un drappello di SS in uniforme polacca entrò negli uffici della radio locale alle otto della sera del 31 agosto, rinchiuse gli addetti tedeschi nelle cantine e annunciò trionfalmente agli ascoltatori della piccola emittente, in polacco, che la stazione era stata «conquistata ». Per dare un tocco di verità alla menzogna un altro drappello di SS portò sul luogo un cittadino polacco, da tempo prigioniero della Gestapo, e lo uccise.
La polizia, più tardi, trovò altri due cadaveri che non furono mai identificati.
Nella sede della dogana di Hohlinden, più o meno alla stessa ora, andò in scena un copione ancora più sanguinoso.
Quando la vicenda venne alla luce, durante i processi di Norimberga, i giudici appresero che l’edificio della dogana era stato «espugnato» da un altro drappello di SS in uniforme polacca. Distrussero l’edificio, spararono parecchie salve di proiettili e si lasciarono docilmente arrestare dalla polizia del Reich.
Ma sul posto, dopo la farsa, cominciò la mattanza. Trasportati da un campo di concentramento, sei prigionieri dovettero recitare la parte delle vittime. Furono uccisi, gettati sul luogo del delitto, esposti ai flash dei fotografi e, perché nessuno potesse riconoscerli, sfigurati. Sembra, a onore del vero, che la Wehrmacht, pronta ad eseguire gli ordini del comando supremo e a entrare in territorio polacco, ignorasse di questi spudorati pretesti.
Il duce e il governo italiano
A Roma il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano trascorse l’intera giornata del 31 agosto nel tentativo di organizzare una nuova conferenza quadripartita. Parlò al telefono con Attolico e ricevette gli ambasciatori di Francia e di Gran Bretagna.
Quando informò Mussolini, verso le nove della sera, che ogni tentativo era stato inutile, questi ne rimase «impressionato» e disse: «È la guerra. Però domani faremo una dichiarazione in Gran Consiglio che noi non marciamo».
Il giorno dopo, mentre in Polonia si combatteva, Ciano annotò nel suo diario: «Il Duce è calmo. Ormai ha preso la decisione del non intervento e la lotta che ha agitato il suo spirito durante queste ultime settimane è cessata».
Vi fu un Consiglio dei ministri alle tre del pomeriggio durante il quale venne approvato l’ordine del giorno con cui l’Italia annunciava al mondo la sua «non belligeranza ». Tutti i ministri, sembra, approvarono con un sospiro di sollievo e qualcuno disse a Ciano, abbracciandolo, che aveva «reso un gran servigio al Paese».
Ancora più profondo fu il sospiro di sollievo degli italiani. Cominciò così un felice interludio durante il quale potemmo sperare che l’Italia non avrebbe commesso l’errore di gettarsi in una guerra che il suo popolo non desiderava e a cui le sue forze armate erano del tutto impreparate. L’interludio finì il 10 giugno 1940.
La seconda guerra mondiale era iniziata.
Mai riuscito a rispondere compiutamente alle uniche importanti domande della vita: “quanto costa?”, “quanto ci guadagno?”. Quindi “so e non so perché lo faccio …” ma lo devo fare perché sono curioso. Assecondami.