Quei «corpi resi immondi» che nel mondo non trovano posto

di Elena Cuomo il 4 Novembre 2021

Il progressivo modificarsi del rapporto con se stessi e con gli altri, la burocratizzazione che da tempo trasforma gli uomini in intransigenti funzionari, la violenza sistematica nei confronti di milioni di esseri umani, stanno consolidando  un processo di disumanizzazione che stravolge persino la vita di coppia e le relazioni familiari. E' nata una nuova normalità fondata sulla sopraffazione.

Corpo 55 Vilem CernohorskyFoto di Vilem Cernohorsky

Inedite forme di offesa alla dignità umana e di erosione dello sviluppo della vita sfidano la politica: l’umanità è quasi al tracollo. La contemporaneità declina in diversi non-luoghi la perfetta coesistenza della società del benessere e del disfarsi della pienezza del senso dell’umano. Anche se non di rado si rinvengono diverse tracce nel dibattito contemporaneo a indicare una volontà di ripresa dalla vertigine disumanizzante, che la storia odierna sta incarnando, non è possibile porsi nella condizione dell’attesa e rifiutare la responsabilità di discutere per contribuire, sia pur in minima parte, da uomini e donne di questo tempo a una presa di coscienza collettiva1.

Il progressivo modificarsi del rapporto con se stesso e con gli altri, dalla burocratizzazione che da tempo trasforma gli uomini in funzionari2, fino alla violenza sistematica nei confronti di milioni di esseri umani, appena considerati come corpi, si va consolidando un processo di disumanizzazione che assume il volto della fabbricazione di morte.

Tutto ciò incide con forza sul vissuto quotidiano e riapre la discussione filosofica ed etica proprio sulla specificità dell’umano. Gli esiti della ricerca scientifica e tecnologica e le trasformazioni politiche ed economiche in atto suscitano forti perplessità e richiedono un ripensamento che coinvolga anche la sfera giuridica.

Proprio in ordine alle spinte di adeguamento e armonizzazione delle norme ai mutamenti in atto nei fenomeni sociali con rilievo politico, un gruppo di esperte ed esperti, filosofi della politica, sociologi e giuristi, sta di recente sollecitando in Italia la riapertura della discussione nelle sedi appropriate, circa l’intersezione dello sfruttamento e della tratta di esseri umani, coltivando la consapevolezza che la democrazia non consiste solo nelle procedure che legittimano i poteri pubblici, ma anche nella realizzazione dei valori costituzionali di dignità, libertà e uguaglianza3.

L’attuazione di politiche efficaci per l’emersione di diverse forme di assoggettamento anche sessuale e depotenziamento della dignità umana viene considerata anche in connessione con uno sviluppo umano ed economico sostenibile.

Infatti, in linea con tale fermento intellettuale e insieme politico, inteso quale interesse a partecipare al connettivo della società civile e a rianimarne la consapevolezza critica, si può sostenere che non ci può essere autentica democrazia se in intere aree del globo o del mercato persiste una sorta di zona franca nella quale i diritti fondamentali sono apertamente violati, quasi inaugurando una nuova normalità fondata sulla sopraffazione4.

Ciò sottolinea, a mio modo di vedere, ancor di più l’importanza di una riflessione a più voci, che metta insieme diverse ottiche disciplinari, al fine di promuovere una crescita etica, politica e antropologica dentro la crisi delle democrazie. In tale ordine di idee, gli autori di questo testo collettaneo e io, ognuno in piena autonomia prospettica, pensiamo di proporre al dibattito attuale tematiche riconducibili alla potente disumanizzazione in atto sul pianeta, al fine di suscitare una discussione che travalichi gli inevitabili limiti del lavoro comune e possa contribuire a irrobustire il dissenso democratico.

La cultura di questo ciclo dell’economia, con i suoi consumi ipertrofici e con i tratti del capitalismo parassitario, tende a omologare potentemente le coscienze e la condizione dei corpi nel mondo globale della contiguità, rischiando di modificare la fisionomia delle generazioni a venire, proprio a partire dalla capacità di relazione e dalla pensabilità di un’umanità depotenziata5. Questa tendenza si verifica a partire dalla dimensione a due, simbolo potente della socialità, ma anche e soprattutto della contezza di sé e dell’alterità, delle capacità politiche di convivenza democratica6. Tuttavia, ad essa strettamente collegata, l’entità del fenomeno in larghe aree geografiche pone in essere inquietanti interrogativi su ciò che sembrava la grammatica semplice dell’umano7.

Con il volume (Per le strade della disumanizzazione) ci  si propone, allora, di discutere possibili ragioni di alcune piaghe di questo potente depauperamento e di farlo mettendo a confronto la prospettiva filosofico-politica con quella etica e giuridica.

Sebbene la discussione filosofica sul carattere specifico dell'umano si avvalga di una lunga tradizione, oggi è costretta a confrontarsi anche con gli esiti della ricerca scientifica e tecnologica e con le trasformazioni politiche ed economiche e chiedersi se queste profonde variazioni delle forme di vita individuale e sociale favoriscano un incremento delle potenzialità umane oppure se determinino inedite forme di disumanizzazione.

A questa prospettiva filosofico-politica il lettore è introdotto dal saggio di Carlo Altini, che a partire dalla società del benessere, riflette sull’ «ideologia dell’innovazione», in grado di riorientare e produrre stili di vita, con possibili derive disumanizzanti, in quanto configurano l’individuo come mero soggetto del consumo. Al centro dell’attenzione l’ottimizzazione della tecnica, estesa alle facoltà e alle prestazioni dell’essere umano. Sullo sfondo Foucault e le pratiche biopolitiche, il cui scopo è il governo degli uomini, considerati non come soggetti di diritto, ma come «semplici viventi» individuati nell’esercizio delle loro funzioni biologiche: la salute, il nutrimento, la riproduzione.

A sottolineare l’importanza di insistere e dipanare queste argomentazioni, la dimensione desiderante di schiere di individui narcotizzati e reificati, dominati da una spasmodica necessità di reinventare la propria identità individuale, secondo un’immagine edonistica e narcisistica della qualità della vita, corpi che lottano per il riconoscimento del sé. «Sono questi corpi, queste facce sconosciute, che entrano ed escono dallo specchio dell’età globale, sono queste vite senza nome a reclamare una nuova qualità della vita intesa come rivendicazione non di eguaglianza […] ma di differenza identitaria e di autoaffermazione narcisistica».

Le vicissitudini dei corpi nell’età contemporanea sono oggetto di ulteriore tematizzazione a partire dalla modernità nel contributo di Antonio Martone, con il duplice focus sia del pieno riconoscimento di alcuni, che abitano lo spazio iperconnesso e considerano proprio simile chi aderisce al mercato e al ritmo veloce del suo tempo presente; sia dell’esclusione di un numero crescente di individui dalla società, perché inadatti e non allineati. Il deficit di democrazia che si va prepotentemente evidenziando lascia il posto ad ambivalenti processi di assoggettamento, nei quali il tecnocapitalismo, alleatosi con il «politicamente corretto», realizza «la più efficiente fabbrica di merci della storia dell’umanità», in cui si producono individui merce, grazie a un automatismo pervasivo in grado di distruggere le «condizioni elementari della vita, sia quella biologico-familiare, sia quella dello stesso ecosistema».

La gravità dell’odierna deriva umana è solcata, dunque per il filosofo politico, da un’inquietante contrapposizione: gli abitanti della E-city, ipertecnologizzati e globalizzati, capaci di consumare e produrre, volontariamente assoggettati a un regime di pensiero che li forgia in tal guisa, i quali coesistono come separati da una cortina invisibile dagli altri, gli esclusi. Questi, non in grado di produrre e consumare, sono considerati «scarti, inutili». L’Autore si interroga su come sia potuto accadere che «per la prima volta nella storia» l’umanità abbia potuto erodere le condizioni che favoriscono lo sviluppo della vita, a partire da quelle ecologiche, fino ad arrivare agli aspetti politici e antropologici e su quali siano i meccanismi di occultamento di tali processi. Nell’ambito della «società asociale», vale la pena sottolineare la sua critica all’uso ideologico che il neoliberismo fa delle spinte di emancipazione del femminile.

Si assiste così in vario modo alla dismissione dello sviluppo della vita come baricentro della polis e nel contempo alla produzione dell’immondo, cioè quella parte di «corpi resi immondi» ed esclusi, che, appunto, nel mondo non trovano posto.

Questa tragica condizione si attaglia, purtroppo, a innumerevoli esistenze e si estende, talvolta, a intere regioni, a popoli devastati, ridotti a corporeità bellica. Con l’aggravante, a mio modesto avviso, di una recrudescenza variamente interpretata del religioso nelle pur diverse culture dominanti, in cui il simbolo o l’immagine divinizzata del potere violento ed escludente configura un Dio non-umano e talmente divino da generare dis-umanità8.

Lo dimostra l’emblematicità del caso siriano, le cui propagande di guerra indicano come questo conflitto abbia fatto perno sulla disumanizzazione dell’altro, arrivando a capovolgere la percezione di chi sia la vittima e chi il carnefice. Il contributo di Riccardo Cristiano, a lungo inviato speciale in Medio Oriente, descrive e riflette insieme sul nichilismo islamico e sull’islamofobia, che negano l’umanità dell’altro, con un trionfo del fondamentalismo, laico o religioso, che fuori della propria fede vede solo falsi credenti e quindi una falsa umanità come già insegnava Paolo Dall’Oglio.

Con la crisi finanziaria del 2008 che mise in evidenza tutti i limiti del sistema liberista e finanziario globale, si è verificato da parte di questi il tentativo di cavalcare a proprio favore «la rabbia e la reazione identitaria dei popoli», nell’incontro con «contrapposti populismi che riducono l’identità a un fatto tribale e quindi la fede a collante nazionalista». La Siria si è andata configurando, dunque, come il laboratorio sperimentale di tali spinte, «ballo in maschera» di diverse attitudini di disumanizzazione dell’Altro, che grazie al regime di Assad, con le sue soluzioni detentive e luoghi di annientamento, ha notevolmente contribuito a connotare il tempo attuale come un «tempo tanatocratico».

Nella disastrosa corrispondenza tra regime e jihadisti, le vicende del popolo siriano mostrano, allora, come la coincidenza di politico e religioso possa agire da potente detonatore e azionare meccanismi di distruzione della fisionomia dell’umano e farlo in modo trasversale alle culture. Il dialogo e la discussione responsabile si propongono di contribuire a una più diffusa consapevolezza dello stato in cui versa l’umanità oggi, attanagliata nella duplice morsa di mimetismo e nichilismo. Da segnalare che in questo contributo, il mimetismo di stampo girardiano si conferma quale significativa cifra interpretativa del conflitto.

Di umanità negata e di scarti umani si torna a parlare nel saggio di Elena Cuomo, che, nell’ottica di una filosofia politica non separata dalla vita incarnata, è alla ricerca di ragioni profonde per «corpi che(non)contano» dentro il fenomeno della prostituzione coatta9. Ingente perché intrecciato a doppio filo alla società del benessere, esso sembra rispondere a un deterioramento della contezza di sé e del rapporto con l’altro in Occidente, come se si fosse configurato alle crepe di un corpo reso sembiante e al deragliamento dell’emotività, per la prevalenza del modello efficientista, suggerito dal potere diffuso.

Donne schiave, ridotte a beni fungibili di consumo, spossessate di ogni soggettualità, destinatarie di una crudeltà spietata e sistematica, nei non-luoghi della civiltà connessa e nelle società dei diritti umani. Le loro vite come quelle di legioni di invisibili testimoniano tragicamente il deragliamento di valori e gli ideali della modernità traditi, che sostanziano le società democratiche dell’odierno capitalismo. Su di esse si addensano la condizione critica di indifferenza e la progressiva tacita diffusione di un concetto di sub-umanità. Ciò provoca a interrogarsi, non solo, sulla qualità dei rapporti di genere che sostanziano le attuali democrazie, bensì proprio sulla radicale connessione corpo-vita che le politiche del ben-essere insufflano. Si profila l’inusuale necessità di bucare la bolla dell’indifferenza e comprendere le profonde lacerazioni che questa umanità si autoinfligge, mentre si pretende democratica.

D’altronde, se è vero che con Irigaray la democrazia comincia nella capacità di risolvere e interpretare la dimensione conflittuale sottesa al numero due, è anche vero che proprio nella distanza della differenza, che nutre e germoglia la capacità relazionale, che essa ha speranza di prosperare10. Diventa allora di particolare rilevanza soffermarsi su quei procedimenti psico-sociali e culturali insieme a stereotipi di genere e atteggiamenti di violenza simbolica che stravolgono la relazione affettiva e ripropongono comportamenti disumanizzanti fin dentro la coppia e le relazioni familiari.

A questo universo etico e sociale il lettore è introdotto dal saggio di Emilia Palladino: esso si concentra su come l’amore di coppia possa ammalarsi e morire in una spirale di processi disumanizzanti che non riescono ad emergere in una narrazione consapevole. La disumanità, che da sempre serpeggia nelle relazioni personali, nel tempo del Covid19 «si è esposta vistosamente non appena si è trattato di fare i conti con la paura» e almeno con la riduzione di libertà e dello spazio fisico e relazionale di ognuno. Le persone sono state costrette a «rinegoziare continuamente ruoli e luoghi, funzioni e spazi, assetti emotivi e cognitivi» evidenziando come il distanziamento sociale, dovuto alla condizione pandemica, abbia esacerbato i caratteri già sofferenti della relazione eterosessuale, «con uno sfacciato cedimento alla disumanità».

La fissità dei ruoli di genere e la mancanza della capacità di un effettivo accordo consapevole, circa l’assetto culturale tradizionale che li sostiene, non ha retto alla contiguità forzata richiesta dalla pandemia e ha moltiplicato la violenza domestica. Il modello borghese breadwinner-housewife, della famiglia apparentemente perfetta e tuttavia perennemente scossa da attriti interni e spesso con contenuti disumani, sembra aver prevalso su discernimento e capacità relazionale. La «relazione tossica» non si fonda, infatti, soltanto sull’accordo tacito delle parti coinvolte, o per dirla con Pierre Bordieu, sulla complicità dell’agente sociale dominato, ma si avvale del sostegno culturale dell’intero contesto strutturale, che consente di parlare di violenza simbolica. Il rischio per l’Autrice è che il «disumano […] si strutturi come motore intrinseco della convivenza tra i generi».

La difficoltà a raccordare e valorizzare le diverse prospettive di genere, armonizzandone le esigenze, senza la pretesa unilaterale di schiacciare le altre sulla propria, continua a costituire una sfida irrisolta per le democrazie e ad assumere volti prima impensati. Essa si verifica anche in contesti non specificamente relazionali e contribuisce a diversi abbassamenti di umanità.

Percorrere le strade della disumanizzazione significa, talvolta, anche abitare i lunghi corridoi degli istituti penitenziari italiani, oggi con l’aggravante della crisi pandemica, in atto da più di un anno, che sovente esaspera le carenze e le difficoltà di un sistema detentivo e che sembra negare la specificità delle donne.

Infatti, per Giovanni Chiola, nella prospettiva del diritto costituzionale, il già denunciato sovraffollamento carcerario degli istituti maschili, insieme alla penuria di idee e progettazione in quelli femminili, richiede norme che siano in grado di creare valide alternative alla detenzione intramuraria e che, invece, non tiene conto della peculiarità delle detenute, con grave perdita del senso dell’umano nelle società democratiche. In contrapposizione a una visione panpenalistica del castigo, si auspica l’affermarsi di un orizzonte umanitario e rieducativo della pena, che a me pare possa essere letto nell’ordine di idee di «riattivare integralmente l’umanità immanente del condannato», secondo quanto prevede la Legge11, non considerandolo «chiuso fuori» dalla società, bensì sua parte integrante12.

Nell’ottica di una giustizia riparativa, in cui la pena, come stabilito dall’art. 27 Cost., non deve mai essere contraria al senso di umanità, non si tratta di applicare facili retoriche, bensì di riconoscere la centralità che la differenza e, più specificamente, la differenza di genere svolge nel percorso detentivo, concepito come riabilitativo a una sana inclusione e partecipazione al tessuto sociale. Occorre, infatti, individuare i diritti fondamentali come l’istruzione e il diritto alla salute, quale perno per ripensare il percorso detentivo delle donne, per troppo tempo ancillare a un modello carcerario maschile. Lo scritto auspica, dunque, un ripensamento del carcere femminile, ispirato al Care Model, ovvero all’etica della responsabilità, che attui cioè una politica volta a rendere il carcere meno disumano.

Purtroppo le condizioni di abbandono in cui versano milioni di individui e lo stato di sofferenza affrontato da larghe fasce della popolazione mondiale contemporanea, spesso in soluzioni detentive illegali, non si esauriscono in quelle prese in considerazione in questo lavoro e sulle quali si è cercato di indagare e provocare, alla ricerca di ragioni profonde e nella speranza di suscitare ulteriore dibattito.

Dalle preziose letture della disumanizzazione o derelizione del senso dell’umano, offerte dai singoli autori di questo volume, si configura il ritratto trasversale di un’umanità malata e di una società malsana, la quale, pur nelle sue differenze e identità, mostra di aver perso il rispetto dell’altro, quale fulcro antropologico di ogni convivenza e i cui rapporti si sostanziano di rapina di ciò che l’uomo da sempre ha di sostanzialmente proprio: le relazioni con l’altro, in cui entra in gioco il sé. Si impone davvero con urgenza una riflessione su ciò che consenta e abbia consentito al genere umano nel mondo connesso dell’informazione globalizzata di porre in atto un sistema di atrocità in varie guise, declinato a diversi livelli, in tutte le zone del pianeta e, soprattutto, violenza invisibile organizzata sotto gli occhi di tutti, meccanismo perfettamente funzionante che vilipende e ingoia vite umane.

Si configura il dubbio che, sotto il volto di un’impotenza passiva, di innumerevoli coscienze che abdicano alla responsabilità, si vada occultando sempre più pericoloso quel male ridotto e percepito come banale e meschino, come insegna Hannah Arendt13, e si vadano costruendo dimensioni di inerzia e acquiescenza a sostegno di potenti negazioni di umanità.

Dalla lezione di Antonio Gramsci, si sa, d’altronde, che l’indifferenza opera potentemente nella storia, lasciando che la materia bruta strozzi l’intelligenza, travolga la vita collettiva e mieta vittime tra tutti, tra chi sapeva come tra chi non sapeva14.

Più recente il lascito di Lorenzo Milani, il quale, con quell’indimenticabile I care, responsabile e appassionato motto democratico15 si impegna fino alla fine per i suoi ragazzi, nella convinzione che «in questa cultura generale il fattore determinante è […] la padronanza della lingua e del lessico»16 e insiste sul dovere di insegnare ai giovani a esercitare la sovranità di futuri cittadini, nella libertà di parola e di stampa. Milani, inoltre, quando sostiene che: «La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale»17, mi sembra preceda il dibattito sul benessere qualitativo e non solo quantitativo e individui con lucidità i primi termini circa la questione dell’integrazione degli ultimi o degli esclusi, di cui tante volte si arriva a non riconoscere la piena umanità.

A queste prospettive di debacle dell’umano, si oppone, infine, la forza del desiderio di andare oltre il tangibile, il degrado. Desiderio che, per Simone Weil si incarna in uno sguardo e può trapassare la cortina della sventura. Addirittura la filosofa sostiene che «per quanto minima sia la parte di male che ci è possibile distruggere con ogni nostro sguardo, è fuor di dubbio che se non esistesse limite di tempo […] un giorno il male sarebbe interamente distrutto»18. Quello stesso sguardo capace di attenzione, capace di posarsi sullo sventurato e di vederlo19, in grado - con una contaminazione - di riconoscere l’unicità del chi, della sua storia irripetibile20.

Con questa consapevolezza e dinanzi all’indifferenza di intere società narcotizzate, possiamo almeno sostenere con le nuove generazioni, in lotta per il riconoscimento pieno della loro dignità umana, che anche noi «non abbasseremo lo sguardo».


Note
1 Cfr.A. Appadurai, L’insofferenza verso la democrazia, in La grande Regressione, a cura di H. Geiselberger, Feltrinelli, Milano 2017; Cfr. AA. VV., Rapporto della Commissione Sarcozy sulla misura dell’economia e del progresso sociale, Il Rapporto Stiglitz, I e II parte, 15 gennaio 2011, http://www.stiglitz-sen-fitoussi.fr; Cfr. E. Cuomo, Benessere e Ben-essere. Corpi, vulnerabilità, non violenza, in corso di stampa per AIQUAV
2H. Arendt, Le polemiche sul caso Eichmann, in Id., La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, p.292
3 A partire dall’8 marzo 2021, il dibattito scientifico e politico si sta confrontando nelle sedi politiche appropriate sulla base di un testo provvisorio sullo sfruttamento e sulla tratta, messo a punto da un gruppo di magistrati esperti e intellettuali di diverse Università, che fa capo almeno al sociologo F. Carchedi. Il fatto di non poter dare un riferimento preciso sta a indicare l’intensità del lavoro specialistico che più parti si sta profondendo al fine di arginare questa grave piaga nelle sue nuove modalità di evasione della legge.
4 Cfr. F.M. Di Sciullo, Ciò che resta dell’uguaglianza, in Cura dell’altro. Interdipendenza e diseguaglianza nelle democrazie contemporanee, a cura di M.P: Paternò, Esi, Napoli 2017
5 Cfr. Z. Bauman, Capitalismo parassitario, Laterza, Bari 2009
6 Cfr. L. Irigaray, La Democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994
7 Cfr. T. Mendonça, Una grammatica semplice dell’umano, Vita e Pensiero, Milano 2021
8 Per il concetto di disumanizzazione di Dio, che qui forzo, estrapolandolo dal contesto suo proprio, cfr. J. Castillo, L’umanizzazione di Dio. Saggio di Cristologia, EDB, Bologna 2019
9 Cfr. O. Guaraldo, Corpi che (non) contano: femminismo radicale e identità, in «aut aut», La Politica senza luogo, n.298, luglio-agosto 2000, pp.81ss
10 Cfr. L. Irigaray, Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994
11 D. Ciruzzi, Introduzione, in Aa. Vv., Poeti da Secondigliano. Dal laboratorio all’antologia, Fondazione Premio Napoli, Napoli 2018, p.9
12 M. Casale, Una proficua collaborazione, Ivi, p. 10
13 Cfr. H. Arendt, La banalità del male, cit.
14 Cfr. A. Gramsci, Indifferenti, in “La Città Futura”, numero unico,11 febbraio 1917
15 L. Milani, Lettera ai Giudici 1965, in Id., Lettere, Mondadori, Milano 1970, p. 221-223
16 L. MILANI, Esperienze pastorali, LEF, Firenze 1957, p. 220.
17 Cfr. L. MILANI, Esperienze pastorali, cit., p. 209.
18S. Weil, Attesa di Dio, Adelphi, Milano 2008, p.149
19 Id., Obbedire all’amore nella giustizia, Gribaudi, Torino 1975, p.92
20 Circa l’unicità del chi arendtiano, cfr. O. Guaraldo, Corpi che (non) contano: femminismo radicale e identità, cit., p.92
 

Cuomo elenaElena Cuomo insegna Simbolica Politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Napoli Federico II, dove è Ricercatore confermato e professore aggregato SPS01. Ha lavorato presso l’Università del Saarland, Germania. È autrice di due volumi monografici (Simbolica Speculativa nella Filosofia politica di Franz Baader, 1996; Il Sovrano luminoso, 2000), una curatela sulla simbolica dello spazio e altri saggi, tra cui Il cannibalismo delle relazioni in Franz von Baader, in Disordine e ordine. Il fattore mimetico in politica e nella storia, 2012; Ridiscutere di Autorità oggi, 2014. Ha curato il volume “Per le strade della disumanizzazione” (Studium edizioni), nel quale gli autori si propongono di discutere possibili ragioni di alcune piaghe del potente depauperamento sociale a cui si assiste. Pubblichiamo l’introduzione del volume.

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