La Laguna è considerata una infrastruttura, esattamente come il Mose la considera una vasca da bagno da riempire o svuotare a piacimento. Sono state scavate e ampliate oltre ogni misura le bocche di porto che mettono in comunicazione mare e Laguna: alla fine dell’Ottocento la Bocca di Malamocco era profonda 10 metri, oggi contiene buche che raggiungono quota meno 57, il punto più profondo dell’Adriatico!
Venezia è stata colpita da una strategia di sfruttamento e abbandono gravemente colposa, a tratti flagrantemente dolosa. I nemici di Venezia, i suoi aguzzini, non sono i venti, le nubi, e l’acqua piovana: sono una classe politica e una classe dirigente marcia fin nel midollo, in Laguna e a Roma. Il ‘maltempo’ di cui parliamo è un tempo cattivo che dura da decenni: cattivo per la corruzione e la rapacità, cattivo per l’ignoranza, cattivo per la miopia e la pochezza di chi avrebbe dovuto decidere nell’interesse del bene comune, e invece ha pensato solo al ritorno immediato di pochi.
Con la fine della Repubblica di Venezia (1797) entrò in crisi il raffinatissimo meccanismo che per un millennio aveva conservato qualcosa che in natura ha vita limitata: una laguna lasciata a se stessa o diventa mare o si interra.
Si può ben dire che la sopravvivenza della Laguna è “la storia di un successo nel governo dell’ambiente, che ha le sue fondamenta in un agire statale severo e lungimirante, nello sforzo severo e secolare di assoggettamento degli interessi privati e individuali al bene pubblico delle acque e della città” (Piero Bevilacqua).
Finita questa storia, l’estesa privatizzazione di parti della Laguna, la creazione di valli da pesca chiuse, la bonifica per ottenere terre asciutte per l’industria ha ridotto in notevole misura lo spazio in cui le alte maree potevano disperdersi. Contemporaneamente, sono state scavate e ampliate oltre ogni misura le bocche di porto che mettono in comunicazione mare e Laguna: alla fine dell’Ottocento la Bocca di Malamocco era profonda 10 metri, oggi contiene buche che raggiungono quota meno 57, il punto più profondo dell’Adriatico! Non è dunque difficile immaginare da dove entri l’acqua.
La ragione: rendere la Laguna accessibile alle navi industriali e alle Grandi Navi da crociera.
Le Grandi Navi a Venezia sono come la povera nonna degli studenti somari, condannata a morire più volte, e nello stesso anno scolastico, per offrire al nipote negligente una via di fuga da interrogazioni e compiti in classe. Nel caso dei colossi da crociera, inquinantissimi e devastanti per l’ambiente, col decreto di luglio di quest'anno le navi che superano una serie di parametri (tra i quali però non c’è l’emissione di particolato che uccide i marmi, e i polmoni dei veneziani) non potranno più passare da Bacino e Canale di San Marco e dal Canale della Giudecca.
Cioè verranno escluse dalle zone del turismo internazionale: evitando così che possano essere scattate fotografie come quelle che hanno indignato il mondo. Un passo avanti: ma, si dice già a Venezia, in realtà è come mettere le Grandi Navi sotto il tappeto.
Perché, se quel che la cosmesi del governo Draghi nasconde è chiaro, non lo è di meno quel che invece rivela: la mancanza della consapevolezza dell’unità ambientale della Laguna.
Non per caso nel decreto manca il concerto del (già) Ministero dell’ambiente: la Laguna è considerata una infrastruttura, esattamente come il Mose la considera una vasca da bagno da riempire o svuotare a piacimento.
Che il governo la pensi così, lo dimostra la scelta aberrante, contenuta nello stesso decreto, di nominare Commissario Straordinario per l’approdo di Marghera e per la manutenzione dei canali (ah, la passione del governo dei Migliori per le procedure eccezionali!) l’attuale presidente dell’autorità del sistema portuale: la Laguna come un grande porto!
Ma non è così: la Laguna è una cosa viva, ed è una cosa unica.
Le Grandi Navi, quelle enormi, continueranno impunemente a violentarla, passando dal Canale dei Petroli e arrivando all’approdo di Marghera: provocando moto ondoso, inquinamento dell’aria e dell’acqua. E perpetuando per Venezia un modello di turismo insostenibile (quello che l’ha uccisa) e per Marghera un modello industriale non meno insostenibile: di riconversione ecologica per la Laguna nemmeno l’ombra!
E infine, quel che tutti noi dovremmo capire è che Venezia è un terribile acceleratore.
Ci mostra cosa succede a una città d’arte che viva soltanto di un turismo predatorio che cresce fino a espellere i residenti, a cancellare un’identità civile.
Ci mostra cosa succede a un patrimonio culturale tutto orientato alla follia delle grandi mostre invece che alla cura del tessuto urbano, in un tripudio di tagli di nastri e inaugurazioni che tolgono soldi e consenso all’umile necessità quotidiana della manutenzione.
Ci mostra con anni di anticipo quel che succederà in mezzo mondo se non fermiamo l’innalzamento delle acque provocato dal cambiamento climatico dovuto al dogma della crescita infinita.
Venezia che muore annegata è uno schiaffo in faccia a noi tutti, è un modo terribile di ricordarci che si può, si deve, smettere di sfruttare e consumare il suo fragilissimo ecosistema: “Moltissime specie hanno trovato il modo di vivere in armonia con la natura, senza che per farlo abbiano bisogno di suicidarsi. Lo fanno prendendo meno di quanto il pianeta è in grado di produrre e salvaguardando gli ecosistemi. Lo fanno vivendo come se avessimo solo una Terra, e non quattro”.
Se, in questa frase dello scrittore Jonathan Safran Foer, sostituiamo alla parola ‘pianeta’ o ‘Terra’ la parola ‘Venezia’, riusciremo a capire perché non è colpa del maltempo: e come possiamo ancora, nonostante tutto, salvare Venezia.
Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva).
Collabora con numerosi quotidiani, riviste ed è il coordinatore redazionale di "
Emergenza cultura" . Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)