Ciao Berlin, Ciao Italia. I tedeschi hanno adottato il ciao

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«Die ganze Welt sagt Ciao» (Suddeutsche), «Il mondo intero dice ciao», e così i tedeschi hanno abbandonato "Hello", che sopravvive solo quando si risponde al telefono, se si vuole evitare di annunciarsi con il proprio nome, e hanno soppiantato anche il loro complicato "auf Wiedersehen". Pertanto non è un caso che Ciao Berlin e Ciao Italia sono nella nostra testata.

ciao 

È estate anche in Germania (fin troppo) e giornali e riviste si adeguano. Meglio essere leggeri anche nei titoli. In prima pagina sulla Süddeutsche Zeitung ecco in italiano un «Ciao a tuuuutti!», così, con tante allegre «u». Ma il quotidiano di Monaco è pur sempre tedesco e scova una seria giustificazione storica: la parola che tanto piace dal Baltico alle Alpi avrebbe appena compiuto 200 anni, un anniversario da ricordare. «Die ganze Welt sagt “Ciao”», aggiunge la Süddeutsche, il mondo intero dice ciao, un saluto che ha ormai soppiantato l'Hallo, che sopravvive solo quando si risponde al telefono, se si vuole evitare di annunciarsi con il proprio nome.

 

I tedeschi preferiscono «ciao», quando si incontrano e quando prendono congedo, molto più semplice del loro «auf Wiedersehen», letteralmente arrivederci. Però se ci congediamo al telefono bisognerebbe dire «auf Wiederhören», a risentirci. La lingua di Frau Angela è molto precisa, e insidiosa per chi non la conosce. Qualche turista nei parcheggi si è trovato con l'auto sulle scale, quando ha confuso «ausfahrt», uscita per gli automobilisti, con «ausgang», uscita per i pedoni. E non è una battuta.

 

Da quando sono arrivato in Germania, decenni fa, a oggi, ho seguito l'inarrestabile successo di «ciao», che segna anche l'italianizzazione della società. I tedeschi mangiano italiano, hanno imparato a preferire gli spaghetti al dente, sanno prepararsi un cappuccino inappuntabile, e si vestono all'italiana (almeno ci tentano).

 

 

Etimologicamente si avvicina a «ciao» (schiavo) il meridionale «servus», usato anche dai più anziani in Baviera e dintorni. Ma se cercate sul vocabolario, ve lo traducono con «ciao». Si usa, sempre meno, Grüss Gott, letteralmente che Dio ti saluti, o ti protegga, sempre tradotto in «ciao», o in «buongiorno». Giusto e anche sbagliato, come direbbe Veltroni. Nella mia Amburgo, dove ho vissuto per cinque anni, si dice «tchuus», con diverse u, come vi garba, rapido come «ciao», ma troppo confidenziale. Dunque, meglio copiare dagli italiani, e la Süddeutsche tenta anche di consigliare la giusta pronuncia. Per loro non è facile la «c» seguita da una i o da una e. Tendono a essere sempre troppo duri. Come è ostico il mio cognome, per la g seguita da i.

 

Il quotidiano ricorda che «ciao» si trova per la prima volta, due secoli fa, in una lettera del drammaturgo toscano Francesco Benedetti, che all'epoca lavorava alla Scala, inviata a un amico. Però lui scriveva «ciau», come ancora dicono a Torino.

 

La Süddeutsche nella sua rievocazione non dimentica «Ciao, ciao bambina» di Domenico Modugno, che fu un successo anche in Germania. E, naturalmente, «Bella ciao», canzone partigiana (anche se è un falso storico, composta dopo il 1945). E «Ciao» si chiamava la mascotte dei campionati del mondo di calcio disputati in Italia nel 1990. Vinti, inutile ricordarlo, dai tedeschi guidati da Beckenbauer. Che era un «libero», altra parola italiana adottata, insieme con «catenaccio».

 

 

Quante parole tedesche usiamo noi? Mi vengono in mente solo «panzer» e «kaputt». E «liebe», naturalmente, grazie ai «pappagalli» adriatici, altra parola integrata nel tedesco, al posto di anmacher, corteggiatore o adescatore, termine poco romantico, e quasi estinto come i latin lover che oggi avrebbero vita difficile, nell'epoca del politically correct e del me too.

 

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Roberto Giardina

Roberto Giardina, dal 1986 in Germania, è corrispondente per il QN (Giorno-Resto del Carlino- La Nazione) e Italia Oggi. È presente su Berlin89 con la rubrica Pizza con crauti.  
Autore di diversi romanzi e saggi, tradotti in francese, spagnolo, tedesco. 

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