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In "Semina il vento" di Danilo Caputo, Nica (Yile Yara Vianello), l’agronoma ventunenne torna nel paesino d’origine, vicino Taranto, per scoprire il dramma di una terra inquinata, degli ulivi minati da un potente parassita. Non poteva mancare il film su Greta. Ecco i titoli dei film che al festival di Berlino parlano di ambiente
Una scena del western ecologico First Cow
Il respiro della terra, intenso, continuo e affaticato, accompagna le gesta di Nica (Yile Yara Vianello), l’agronoma ventunenne che, in Semina il vento di Danilo Caputo, torna nel paesino d’origine, vicino Taranto, per scoprire il dramma di una terra inquinata, degli ulivi minati da un potente parassita, degli uomini che, come suo padre, hanno preferito il potere dei soldi all’equilibrio della natura. Quello stesso battito che, nel film (ieri in cartellone nella sezione Panorama), sottolinea la presenza umanizzata di alberi e piante, è presente, in forme diverse, in tanti dei titoli invitati alla Berlinale.
L’ambiente trascurato, violentato, ma anche rigoglioso e accogliente, come nell’Oregon selvaggio del 1820, descritto da Kelly Reichard nel film (in gara) First cow, è tra i grandi protagonisti della settantesima Berlinale. Una superstar che continua a ispirare il lavoro dei registi, fornendo spunti e sviluppi per storie inventate e storie vere.
Da Minamata di Andrew Levitas con Johnny Depp nei panni del fotografo di Life che, con i suoi reportage, alla fine del ‘71 portò sotto gli occhi del mondo la tragedia del paesino giapponese avvelenato dagli scarti di mercurio prodotti dal vicino complesso industriale, a Irradies, il documentario in cui il regista cambogiano Rithy Panh filma i sopravvissuti alle radiazioni nucleari, in un mosaico di immagini scioccanti.
Non poteva mancare l’annuncio del film dedicato a Greta Thunberg, diretto da Nathan Grossman e frutto di una coproduzione europea, di cui, proprio allo «European Film Market» della Berlinale, sono stati mostrati, in un promo, i primi assaggi.
Usando il titolo provvisorio «Greta», la casa di distribuzione inglese Dogwoof sta già vendendo i dritti nel mondo: «Il film - annuncia il Ceo Anna Godas - non parlerà solo di cambiamento climatico. La storia riguarderà i giovani così come sono, diversi da quelli che li hanno preceduti, convinti di poter davvero cambiare le cose.
Come madre di due figlie non posso immaginare per loro una fonte d’ispirazione migliore di questa».
La squadra che sta curando il progetto ha seguito le mosse di Greta Thunberg dal primo sciopero scolastico, età 15 anni, a quando Time Magazine l’ha eletta «Persona dell’anno» per il 2019, senza trascurare la fase in cui la ragazza era stata presa in considerazione tra i candidati al Nobel per la Pace.
Oltre che sulla parabola di Thunberg, ormai simbolo mondiale di una battaglia generazionale, il cinema accende i riflettori su tanti altri conflitti sparsi nel mondo, sui paesaggi stravolti dell’Amazzonia, come racconta O reflexo do lago di Fernando Segtowick, cronaca degli effetti disastrosi dell’insediamento, nell’80, di un’enorme centrale idroelettrica in Amazzonia, e su quelli pugliesi, descritti in Semina il vento: «A dieci chilometri da casa mia - spiega il regista Caputo - c’è il più grande polo siderurgico d’Europa. Nelle prime scene la protagonista Nica dice “la gente preferisce morire di tumore piuttosto che di fame”, e, in effetti, la situazione è drammatica perché la fabbrica, dopo aver inquinato per 60 anni, adesso rischia di chiudere lasciando senza lavoro migliaia di famiglie».
A tutto questo si aggiungono l’epidemia di xylella che continua a espandersi tra gli ulivi e gli affari sporchi delle mafie che versano rifiuti tossici nelle terre dei contadini, ricompensati con pochi soldi: «Semina il vento è nato dalla voglia di riflettere su questi problemi, sulle nostre responsabilità nell’aver rinnegato la cultura contadina, per poi ritrovarci come siamo ora. Nica vuole riscoprire il valore di un mondo antico con i nuovi strumenti della scienza».
Qualcuno parlerebbe di utopia, eppure sono queste le convinzioni che guidano i movimenti ambientalisti nel mondo, da «Extinction Rebellion» a «Fridays for Future»: «Le nuove leve sono cresciute constatando le conseguenze nefaste di un certo uso della natura». Per questo non credono più alle promesse che hanno ingannato i loro genitori:
«Sono d’accordo - prosegue il regista - con i movimenti che puntano a obbligare i politici a compiere azioni necessarie, senza continuare a rinviarle. La ribellione serve ad aprire nuove porte sul futuro».
Dall’ascolto della natura e dalla convivenza stretta con i suoi frutti c’è solo da imparare. Lo dimostra il western ecologico First Cow, dove due amici, l’americano Cookie Figowitz (John Magaro) e il cinese King Lu (Orion Lee), solidali fino alla morte, trovano tra i fiumi e i boschi del «Pacific Northwest» americano la chiave per capirsi e sopravvivere.
Vincenzo Maddaloni ha fondato e presiede il Centro Studi Berlin89, l'associazione nata nel 2018, che si propone di ripercorrere analizzandoli i grandi fatti del mondo prima e dopo la caduta del Muro di Berlino. Professionista dal 1961 (per un decennio e passa il più giovane giornalista italiano), come inviato speciale è stato testimone in molti luoghi che hanno fatto la storia del XX secolo. E’ stato corrispondente a Varsavia negli anni di Lech Wałęsa (leader di Solidarność) ed a Mosca durante l'èra di Michail Gorbačëv. Ha diretto il settimanale Il Borghese allontanandolo radicalmente dalle storiche posizioni di destra. Infatti, poco dopo è stato rimosso dalla direzione dello storico settimanale fondato da Leo Longanesi. È stato con Giulietto Chiesa tra i membri fondatori del World Political Forum presieduto da Michail Gorbačëv. È il direttore responsabile di Berlin89, rivista del Centro Studi Berlin89.