Incubi. “E’ la paura dei barbari che ci rende barbari”
di Adolfo Ceretti e Roberto Cornelli
La criminalità al giorno d’oggi viene rappresentata soprattutto mediaticamente (basta accendere la tv) vengono raccontati i fatti ed espresse opinioni, tanto che l’indignazione per l’accaduto non appartiene più solo alle vittime, ma a tutti i telespettatori. Paura, rabbia, angoscia orientano le politiche penali e criminali? Non bisogna negare il problema della sicurezza ed agire solo in caso di emergenza. Non bisogna utilizzare la paura per la criminalità per distogliere l’attenzione su altri problemi o come perno su cui poggiare e legittimare la classe politica. Acting out ricorrere a provvedimenti legislativi che diano alla gente l’illusione che si stia facendo qualcosa contro la criminalità. Uno dei metodi per dare questa impressione è aumentare le pene e le forze dell’ordine.
Capitolo I – criminalità e insicurezza
L’aumento di criminalità e violenza inquieta e spaventano i cittadini. “La criminalità, - il fatto criminale e la paura della criminalità – segna la vita di ogni cittadino”. Questa frase fu pronunciata da Lyndon B.Jhonson nel 1966 (all’epoca presidente USA). Per la prima fu utilizzato il termine fear of crime. La paura negli ultimi anni si è annidata nella politica delle decisioni e negli atti che organizzano la vita sociale e si impone nei rapporti tra le istituzioni fino a diventare.
Enrico Ferri: allievo e amico di Lombroso, ipotizza che nel corso del 900 si sarebbe verificato un passaggio epocale da “criminalità medievale contro le persone” a criminalità “borghese contro la proprietà”.Il boom economico di fine anni 50 ha di certo ampliato le opportunità criminali, inoltre si attribuisce una maggiore centralità al concetto di “proprietà”. L’aumento della criminalità nel periodo 1972-1992 trova le sue radici nell’interruzione del processo di civilizzazione, al quale si aggiunge la crisi economica.
Se omicidi, furti e rapine sono diminuiti perché sono le percentuali dei delitti denunciati? Aumento di truffe e introduzione del reato di immigrazione.
Karl R.Popper: “In nessun altra epoca, ne in alcun altro luogo, gli uomini sono stati più rispettati come tali che nella nostra società: mai furono tanto rispettati i loro diritti umani, e la loro dignità di uomini.” Le società occidentali contemporanee sono tra le più sicure mai esistite, ma resta comunque l’ossessione per la sicurezza. Alcuni studiosi evidenziano come il panico possa essere il frutto di una strategia delle élite dominanti per aumentare il consenso, la propria supremazia e fatturati.
MORAL PANIC: termine coniato da Stanley Cohen nell’opera “Folk devils and Moral Panic” nel 1972 con riferimento al clima di allarme sociale diffuso in Gran Bretagna, intorno alla presenza di bande giovanili. La reazione di panico non avviene per via di una valutazione razionale dell’incidenza di una particolare minaccia, ma è piuttosto l’esito di inquietudini non ben definite che alla fine trovano un centro di esplosione in un singolo incidente o stereotipo I suitable enemies (categorie di persone spesso incapaci di attivare difese). Cohen riprende l’opera di Morin, in cui descrive un’ondata di panico trasmessa tramite delle dicerie, alimentate da chi può trarne giovamento.
TAUTOLOGIA DELLA PAURA (Alessandro Del Lago) propagazione di sentimenti di paura e ostilità per lo straniero che ne legittimano la sua indicazione come nemico sociale.
Civiltà in declino Nesso profondo tra paura della criminalità e paure sociali. Perché abbiamo paura? Manca la fiducia nella possibilità di controllare la violenza degli uomini attraverso un ordine sociale. Hobbes: la paura spinge gli uomini ad uscire dallo stato di guerra di tutti contro tutti, homo homini lupus, a rinunciare al proprio diritto a tutto ed affidarsi ad un soggetto terzo, lo stato, in grado di contenere la violenza.
Oggi lo stato non riesce a proteggerci la paura segnala l’imminenza di una crisi di sistema .
Oggi la paura esprime l’inquietudine diffusa che si possa regredire a uno stato di in-civilità; si teme di ritornare a una condizione di homo homini lupus, di guerra tutti contro tutti, di violenza incontenibile (confronto con l’ira di Achille).
Tzvetan Todorov: “E’ la paura dei barbari che rischia di renderci barbari”. In queste parole l’autore condensa in circolo vizioso della paura, la quale legittima politiche che, aventi l’intento di rassicurare, finiscono per produrre proprio quella regressione della civiltà tanto temuta. La paura orienta e legittima comportamenti disumani: piuttosto che costruire nuove condizioni per una convivenza accettabile, si tende a scivolare verso una forma di Stato penale dell’emergenza.
In questo scenario si chiede alla politica di essere protetti, in realtà inizia a prendere forma la convinzione che l’unica strada praticabile sia il farsi giustizia da soli.
Capitolo II – Città globale una città senza confini
Nella logica comune i gesti violenti sono intesi come esito di una malattia mentale e/o una predisposizione biologica. Infatti, è molto rassicurante pensare che una persona “normale” non possa commettere certe azioni. Purtroppo le azioni violente si manifestano negli spazi urbani che viviamo, tra persone che conosciamo, producendo inquietudine e una sconcertante urgenza di prenderne le distanze. In definitiva le strutture socio culturali influenzano l’agire umano solo attraverso la riflessività interna della persona, la quale deve introdurre i dati del contesto esterno nelle sue strategie e fare i conti con esse.
Esempi di litigi banali degenerati in violenza – Roma, ottobre 2010, fermata metro Anagnina.
Roberta Senechal de la Roche: studia la violenza collettiva. Per gli studi psico-sociali tali violenze sono caratterizzate dall’inflizione di un danno fisico a persone e/o cose, dal coinvolgimento di almeno due perpetratori e dall’intesa coordinata, almeno in parte, tra questi ultimi. La violenza collettiva viene descritta come una forma di controllo sociale messa in atto da un gruppo tramite un’aggressione unilaterale. La definisce e distingue in base al grado di responsabilità per l’ingiustizia subita, al grado di organizzazione e alla combinazione dei seguenti fattori:
1. distanza razionale: corrisponde al livello al quale le persone partecipano alle vite altrui.
2. distanza culturale: è misurabile attraverso le differenze linguistiche e religiose che intercorrono tra gruppi e individui.
3. interdipendenza funzionale: è il grado di cooperazione economica e politica che intercorre tra individui e gruppi.
4. ineguaglianza di status: più vi è distanza tra le parti in conflitto più è facile che le forme di controllo possano intervenire.
In breve le violenze collettive sono spogliate delle loro matrici ideologiche e concepite come una forma estrema di risposta a un’ingiustizia. Esempio del tassista ucciso a Milano per aver investito un cane. Rinveniamo in molte violenze unilaterali commesse da un gruppo non tanto la risposta emotiva a una sofferenza improvvisa, ma un estremo e distorto tentativo di riparare un offesa che altera un fragile equilibrio sociale e di riaffermare una forma di controllo sul proprio spazio vitale violato. All’interno di una comunità turbolenta la segregazione allontana il cittadino dalle istituzioni legittime, il modello dominante porta a reagire ad un torto a prescindere dal ricorso al sistema ordinario di giustizia. Esempi:
1. Londra quartieri di Tottenham, 2011: in seguito alla morte di un ragazzo causata da un colpo di arma da fuoco esploso da un agente di polizia, scatta una furiosa rivolta.
2. Francia: la rivolta delle banlieues parigine del 27 Ottobre 2005, in seguito alla morte per fulminamento di 2 giovani ed il ferimento di un terzo, i quali si erano rifugiati all’interno di una cabina elettrica convinti di essere inseguiti dalla polizia. Il caso genera in 3 settimane di rivolta, arrivando allo stato di emergenza.
3. Milano via Padova: un cittadino egiziano viene ucciso da un cittadino domenicano. Scoppia una rivolta in tutto il quartiere a causa dell’impossibilità di avere il corpo in 24 h.
Amartya Sen: un altro tema cruciale per comprendere le violenze collettive è quello dell’identità. In molte violenze collettive accade che diventa centrale il tema dell’appartenenza ai gruppi, la necessità di salvaguardare le apparenze costitutive della propria identità e le relazioni che intercorrono fra l’ingroup e l’outgroup.
In questa prospettiva di analisi può essere collocato il fenomeno delle bande di latinos.
Violenze oppositive Ogni società democratica contiene soggettività profondamente ostili, che alimentano i conflitti arrivando a negare le basi stesse della democrazia. In gran parte del mondo queste violenze oppositive si mostrano senza significato politico, in Italia invece molti di questi atti si consumano in quell’area generica definita “tifo calcistico” il quale assume la forma di scontro politico. Sempre più spesso assistiamo a unione tra squadre storicamente ostili contro le forze di polizia, legati da un fine prettamente politico. Luigi Manconi: In Italia la politicizzazione pervade ogni sfera sociale e ogni ambito relazionale, rappresentando un incentivo alla mobilitazione perché offre ragioni al possibile slittare delle azioni collettive verso la violenza.
Sofferenze urbane La marginalità sociale, intesa come l’essere collocati al di fuori dei mercati legali del lavoro e dei meccanismi di distribuzione dei bene e dei servizi, non è più l’unico fattore di esclusione sociale. Il venire meno di centralità strutturali e la conseguente comparsa di una fase di mobilità culturale, stravolge l’ordine dei bisogni promuovendo bisogni quali l’individuazione della propria identità e di quella collettiva. La fusione di necessità materiali (economici) e non (culturali) riporta in auge il concetto di dignità della vita. In questa dimensione ampia di sofferenza metropolitana\, le violenze trovano collocazione. Nasce la percezione diffusa che ogni spazio urbano sia una zona di frontiera, in cui tutti possono diventare nemici.
Capitolo III – Odio razziale
Senso di insofferenza nei confronti di chi “abita le nostre terre” e che percepiamo come lontano, distante, diseguale. Esempio di Rosarno il caso riguarda un gruppo di persone con regolare permesso di soggiorno, libere di risiedere dove volevano, che per evitare un linciaggio sono state spostate fuori Rosarno. Linciaggio: appartiene alla sfera delle violenze collettive più spontanee e meno organizzate si manifesta come un gesto irrazionale e immorale, ma può anche essere visto come un tentativo estremo di ristabilire l’ordine morale nel punto in cui è stato violato. Nel caso di Rosarno, viene giustificato dal voler ristabilire i confini tra ingroup e outgroup. I linciaggi si manifestarono soprattutto tra il XIX e XX secolo negli Stati del Sud dell’America. Anche allora come oggi, era la percezione di una perseverante minaccia al proprio status sociale e alla propria autorità morale e politica sostenere atti di violenza. In particolare si fa riferimento alla popolazione nera che stava uscendo dalla schiavitù. Linciaggio come tortura pubblica secondo Garland era una forma di repressione razziale organizzata e alternativa alla giustizia ufficiale. Era un rituale retributivo volto a riaffermare un sistema di controllo razziale fragile ed instabile attraverso l’esecuzione pubblica. Il sistema giudiziario era percepito dalle masse come lento e inadeguato a rispondere con efficacia a crimini e criminali affidare alle autorità il controllo di tali situazioni comportava il riconoscimento di un carattere strettamente legale, spogliandoli della connotazione razziale. La vittima veniva privata della sua dignità e collocata su un piano inferiore.
Mixofobia Oggigiorno assistiamo ad un massiccio movimento di persone che desidera spostarsi da una parte del mondo all’altra individui e gruppi, molto distanti geograficamente, iniziano ad immaginare e sentire collettivamente. La proliferazione di immagini identitarie crea un sistema di differenze non omogeneizzabili all’interno dei confini dello stato nazionale questa tensione tra globale e locale si riflette nelle città in un processo di ri-definizione continua degli spazi. Multiculturalismo: è la risposta filosofico-politica nata negli anni 60 per coniugare il rispetto delle differenze culturali con l’universalismo giuridico, e per integrare il pluralismo all’interno della tradizione culturale politica liberale. Quest’auspicabile passaggio da società frammentaria a società multiculturale deve fare i conti con il sentimento di mixofobia (fobia del mescolarsi con altri) che continua ad espandersi.
L’altro diabolico In determinati contesti paura, disgusto e odio si riversano su soggetti prescelti affinché altri possano dotarsi di una legittimazione socio-politica. Si crea una condizione d’odio verso un qualcosa che non si conosce, la si stereotipa. Roberta de Monticelli legge l’odio con uno sguardo fenomenologico; nella sua prospettiva questo sentimento sociale identifica l’altro, l’odiato, con una volontà di male. L’odiante sente l’altro come essenzialmente malevolo, portatore di una volontà malefica non occasionale ma costituiva della sua modalità di relazionarsi. In relazione al fatto che l’altro sia malefico si evidenziano tre possibili reazioni:
1. Si sente un turbinoso smarrimento, tipico di quando ci si imbatte in una malvagità che appare senza senso, verso la quale ci si chiede continuamente “perché?”.
2. Si odia perché l’altro è diabolico, rappresenta il male, strutturando verso di lui profonde forme di rancore.
3. Si comincia a non credere ai propri occhi, a negare che ciò di orribile che è accusato sia effettivamente accaduto, allontanando da se gli effetti di un gesto distruttivo.
Rispetto a queste tre possibilità di reazione al male l’odio sposa le seconda.
Disgusto e contaminazione
Dentro questa incapacità di partecipare emotivamente alle vite degli altri, prima ancora di sentire odio può essere il disgusto la prima scossa interiore che conduce al rifiuto dell’umanità altrui. Martha Nussbaum L’idea centrale del disgusto è la contaminazione dell’individuo, un’emozione viscerale che comporta marcate reazioni fisiche di repulsione. La proiezione sociale del disgusto consiste nel tentativo di emarginare persone o gruppi associandoli a un’immagine corrotta dalla sporcizia del corpo, animalesca e quindi sub umana. Un esempio sono i Rom, ormai sinonimo di ogni nefandezza.
Roghi E’ inoltre opportuno riflettere su come le angosce di esser invasi e il desiderio di difendersi al contempo appaiano comprensibili: i continui allarmi di sicurezza portano inevitabilmente a sentire queste presenze come pericolose per la propria integrità. Rogo “preventivo” appiccato nel Dicembre 2006 alla tendopoli di Opera (Milano), allestita dalle istituzioni per ospitare centinaia di rom sgomberati. Rogo di immondizia nei campi rom.
Scelte di campo Per affrontare la questione è necessario avviare dei tentativi di integrazione. Un esempio è il patto di via Triboniano, uno strumento mediante il quale si garantiva alle persone di un campo abusivo l’accesso legale ad abitazioni attraverso la sottoscrizione di un insieme di regole che, nel rispetto delle differenze culturali, generano percorsi d’inclusione al fine di rendere controllabile la vita nel campo. Nonostante l’ingente finanziamento per “l’emergenza rom”, la situazione non è migliorata, infatti, continua a prevalere la logica dello sgombero.
Discriminazione “With a smile” Si può dire che l’Italia è diventata nell’ultimo ventennio del tutto assimilabile a quei pesi occidentali segnati dal razzismo anche nel secondo dopoguerra, dove sono presenti disuguaglianze che incidono concretamente sulle forme di organizzazione politica, economica e sociale. In questo contesto il razzismo opera su due livelli: il pregiudizio razziale che coinvolge i singoli individui e il razzismo come sistema di distribuzione delle ricchezze e del potere. Giunti a questo livello il razzismo entra nelle maglie di alcune amministrazioni attenuando il suo carattere aggressivo e violento; diventa però più persuasivo prendendo il nome di “discrimination with a smile” o “racism without racists” come lo definisce E.Bonilla-Silva. Può essere definito come una sorta di “razzismo light”.
Capitolo IV – Forme del controllo e spazi urbani
• Vengono visti dai residenti come spie del crollo delle norme che regolano la vita quotidiana e l’incapacità di farle rispettare.
• Le persone ritenute responsabili di queste violazioni vengono considerate una minaccia perché imprevedibili e dunque capaci di tutto.
• Le inciviltà sono, per loro natura, molto visibili, più dei reati.
Secondo Wilson e Kelling, il degrado, in assenza di tempestivi interventi riparatori, si autopropaga e diventa contagioso, così come dimostrano gli studi di Philip Zimbardo nel 1969: lo psicologo sociale di Stanford abbandonò due automobili identiche, con il cofano aperto e senza targa posteriore, nel Bronx e Palo Alto. La prima venne depredata da ogni accessioni nel giro di 24 ore, la seconda rimase intonsa per una settimana, e solo in seguito alla rottura del parabrezza da parte di Zimbardo iniziarono i furti.
Alcune ricerche empiriche successive, hanno invece tentato di dimostrare che non esiste una relazione di causa-effetto tra degrado e criminalità.
Controllo sociale: normalmente viene definito come ogni struttura, processo, relazione o atto che contribuisce a creare ordine, inteso come coesione etica e l’organizzazione di una data società che diviene, così, il presupposto e l’esito dei processi di controllo. Le inciviltà, i disordini, finiscono con il rappresentare un indicatore della crisi dei sistemi di controllo sociale lo Stato non riesce a gestire questi disordini e quindi è costretto ad utilizzare mezzi coercitivi.
Lawrence Cohen e Marcus Felson qualsiasi crimine di natura predatoria implica la presenza di un aggressore motivato, di un bersaglio appetibile e l’assenza di un guardiano efficace. La mancanza di anche uno soltanto di questi elementi è sufficiente per prevenire il compimento di questo genere di reati. Si parla quindi di prevenzione situazionale, rivolta a rinforzare la sorveglianza nei luoghi più vulnerabili e a diminuire l’appetibilità dei beni da depredare. La finalità non è tanto quella di correggere i comportamenti e le patologie individuali, quanto quella di proteggere e ridefinire le aree urbane più esposte al rischio di attacco ai beni. Si creano così “criminologie della vita quotidiana” che danno supporto e legittimazione a politiche di controllo e protezione dello spazio fisico, fruibili anche per contenere comportamenti incivili.
La pena incorpora sempre meno ambiguamente le finalità di neutralizzazione; si assiste al ritorno di un modello di giustizia fortemente retributivo -definito just desert (giusto merito)- basato sulla maggiore certezza e severità della pena. I nuovi teorici della deterrenza si differenziano in quanto considerano la severità come l’unico parametro di efficacia della pena.
Modello SARA (Spousal Assault Risk Assestment): metodo per la valutazione dei rischi di recidiva nei casi di violenza domestica. Si basa su venti fattori di rischio individuati dall’analisi della letteratura scientifica. Con questo si intende fornire una valutazione psico-sociale del caso e delle variabili riguardanti il reo e il suo ambiente di appartenenza, al fine di individuare un rischio basso, medio ed elevato di recidiva, sia nell’immediato che nel lungo termine.
Gated communities sono comunità residenziali abitate dalle classi agiate il cui accesso è regolato da guardie giurate, il perimetro da cancellate e mura. Sono luoghi nei quali si instaura una sorta di autocrazia, creandosi un sistema di regole alternativo a quello ufficiale. Civility laws: provvedimenti adottati negli USA volti ad individuare e reprimere i comportamenti poco civili. Queste misure criminalizzano comportamenti indesiderati e si pongono l’obiettivo di dislocare le categorie di persone fastidiose in aree meno visibili e periferiche. A fianco a questi provvedimenti, compaiono nuove ordinanze volte a determinate categorie di individui, i quali non possono in certi momenti del giorno circolare in alcune zone.
Condotta antisociale: indica un insieme disomogeneo di situazioni di decadenza sociale e morale, in precedenza definite con il termine inciviltà, disordine fisico o sociale. Designano maggiormente individui o gruppi da contenere e controllare da parte dei sistemi sociali e penali. ASBO Anti Social Behaviour Order: sono nuovi poteri attribuiti al governo locale britannico per combattere il degrado. L’adozione di questi strumenti appare rispondere alle richieste di sedare allarmi sociali. Anti-social behaviour: si riferisce ad una condotta che causa o è probabile che crei paura. Cambridge Study in Delinquent Development: indagine svolta su 411 maschi londinesi tra 8 e 32 anni. Al suo interno i delinquenti sono descritti come disonesti già nella scuola primaria, aggressivi e bugiardi trai 12 e 14 anni, minacciosi dopo i 14, antisociali dopo i 18. Lo studio dimostrerebbe che l’aggressività espressa trai 16 e 18 anni rappresenta il fattore di previsione più efficace per una violenza commessa a 32.
Sindaci sceriffo: il Decreto Maroni del 2008 prevede l’aggiunta dell’esercito a fianco della polizia nelle attività di pattugliamento e l’attribuzione al sindaco del potere di adottare, con atto motivato, provvedimenti volti a prevenire e a eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Questo decreto si basa su una definizione di sicurezza articolata lungo 4 assi:
• Ordine disordine; • Incolumità (personale e pubblica); • Criminalità come effetto del degrado fisico e del disagio sociale; • Difesa della proprietà connessa al concetto di disordine.
Nell’adempimento del proprio dovere, i sindaci-sceriffi hanno adottato ordinanze su svariati oggetti: divieto della prostituzione di strada, divieto di somministrazione di alcolici, divieto di accattonaggio, divieto generalizzato di attività di commercio ambulante, restrizione della vendita di determinati alimenti, protezione del decoro urbano ecc…. La principale preoccupazione di questa policy-makers è quello di evitare il contatto spontaneo e casuale con e tra gli stranieri, alimentando quella paura di vivere l’uno a fianco dell’altro. Le ordinanze sindacali sono del tutto coerenti con le tendenze di politica criminale che hanno caratterizzato molti paesi occidentali negli ultimi anni. Nel contrasto alle inciviltà e all’illegalità diffusa, Stato ed enti locali confondono le proprie competenze fino a diventare intercambiabili.
Roberto Esposito riflette sull’immunizzazione e il contagio, elaborando una teoria secondo cui fenomeni molto diversi tra loro, che occupano la scena mediatica e le preoccupazioni quotidiane, sono riconducibili a una risposta protettiva nei confronti di un rischio rottura di un precedente equilibrio e necessita di costruirne uno nuovo. La promessa di immunizzazione da ogni rischio o minaccia sociale, non potendosi più ancorare sulla fisicità dei confini di una comunità (es. delle gated communities), finisce col ricadere sull’individuo, che diventa persona da controllare o vittima da proteggere all’individuo spetta il compito di proteggersi da sé, cooperando con le istituzioni. Neighbourhood Watch Schemes: nascono negli anni 70 in America, sono gruppi organizzati dai cittadini dediti al controllo e alla prevenzione della criminalità e inciviltà nel quartiere di residenza, gradualmente assorbiti in progetti istituzionali. La polizia riconosce il bisogno di collaborare con la comunità per affrontare i problemi del quartiere. Anche in Italia ci sono associazioni simili (Guardian Angels, ronde nere).
Ronde: segnano una riconfigurazione delle forme di controllo sociale, intrinsecamente connessa ai mutamenti che stanno caratterizzando le città contemporanee. Già negli anni 80 Saskia Sassen rileva come le trasformazioni urbane vanno di pari passo con i mutamenti di fondo nell’organizzazione complessiva delle economie avanzate. Collega il declino della produzione di massa e del quadro istituzionale che regolava il rapporto di lavoro con la crisi del welfare. Con la globalizzazione delle attività economiche il luogo non ha più importanza Non si tratta della fine del ruolo della città, ci troviamo di fatto davanti ad un turnign point dell’evoluzione urbana che porta ad una nuova centralità della città. Infatti sia i mercati nazionali che quelli globali richiedono luoghi centrali dove realizzare e coordinare le loro attività. Le città postfordiste sono portate a competere tra loro per creare le condizioni più idonee per attrarre i capitali e gli ambienti più ospitali per insediare i centri di direzione e finanziari; per sviluppare politiche in grado di migliorare l’arredo e la qualità della vita, per chiamare forme di turismo differenziato capaci di espandere le economie locali. Le nuove pratiche di sicurezza non rispondono comunque solo ad un’esigenza estetica.
Dispersioni L’attualità vede nell’esercizio del controllo della criminalità una sinergia tra pubblico e privato, che rimanda ad una strategia di delega della responsabilità a soggetti che operano al di fuori della sfera penale statale. Lo stato non è più il solo collettore delle domande di sicurezza della società: cittadini e imprese si assumo direttamente l’onere e la responsabilità di richiedere e pagare per la sicurezza. Lo stato non è più nemmeno l’unico fornitore di servizi di sicurezza, sia nel pubblico che nel privato. Con uno sguardo più ampio si assiste al ritrarsi dello Stato-nazione, all’incremento dei localismi e alla frammentazione dei poteri decisionali. Questa ritrazione avviene su più livelli, e il primo riguarda iltema della sovranità lo stato sovrano, nella pienezza di questa concezione, non ammette concorrenti al suo interno, così come al suo esterno. I rivolgimenti epocali che caratterizzano il sistema economico contemporaneo, hanno conclamato la crisi della sovranità territoriale delle nazioni. A minare dall’interno l’architettura della sovranità statuale è la progressiva formazione di centri di potere portatori d’interessi, ideologie, progetti che si affiancano a quello dello Stato. Tutto questo ha posto in crisi la caratteristica principale dello Stato nazionale rappresentata dal principio di sovranità come espressione dell’esercizio della potestà punitiva incondizionata all’interno degli spazi geografici della stessa nazione. Su un altro livello assistiamo alla formazione di nuove aggregazioni identitarie individui e gruppi iniziano ad istaurare sodalizi culturali, ad agire non curanti dei confini nazionali.
Localismo: in primo luogo è una critica all’universalismo inteso come sovranità del principio di uguaglianza formale tra i cittadini, critica alla pretesa universalista dello stato nazionale unitario di produrre effetti di uguaglianza all’interno dei propri confini.
WIlliam Thomas, Florian Znaniecki: studiando i contesti nei quali le norme che regolano la vita collettiva non esercitano più nessun controllo effettivo, evidenziano come questa diminuzione “può avere innumerevoli gradi”, che vanno dall’infrazione grossolana di una regola da parte di un singolo individuo ad una decadenza generale di tutte le istituzioni di gruppo. Jean de Mailard coglie una forma di astensione dello Stato-Nazione mentre si favorisce l’estensione universale dei diritti dell’uomo intesi quale fondamento della buona politica, ci si disinteressa delle condizioni materiali e delle modalità concrete di socializzazione delle persone. La crisi avanzata del welfare accompagna quindi il ritiro delle politiche educative, sociali e culturali del disciplinamento sociale da parte dello Stato. Troviamo una delega a terzi per il controllo sociale che una volta era di competenza dello stato, il quale si limita ad intervenire solo ex-post.
Mafie glocali Il volume di affari delle mafie italiane è di circa 130 miliardi di euro nel 2008 secondo EURISPES, caratterizzato per la maggiore dall’introito derivante dai traffici di droga. Il 40-50% di questo fatturato viene reinvestito nuovamente mentre il resto si riversa gradualmente nel mercato “legale” tramite l’ausilio, anche, dei paradisi fiscali. Negli ultimi anni si sta affermando una forma di criminalità transnazionale la mafia mostra di essere una struttura di governo che mira a governare i processi economici locali: è radicata in un territorio definito che protegge e controlla, ha un rapporto continuativo con il sistema politico andando a costituire una sorta di “governo extra legale vicario”. Il loro vero punto di forza è costituito proprio dal “potere territoriale”, legato all’economia locale, che si manifesta per lo più nel controllo degli appalti e nel racket delle estorsioni. Il successo del modello mafioso dipende dalla capacità di creare a livello locale grappoli di relazioni ad alta intensità ed elevato range convergenza di interessi tra mafie e politica.
Stato, Mercato e Diritto Jurgen Habermas “ gli attori Statali non sono più i nodi che un tempo conferivano alla rete globale degli scambi la struttura di relazioni interstatali. Oggi sono gli Stati a esser inseriti nei mercati piuttosto che le economie nazionali ad essere inserite nei confini delle frontiere di uno Stato”. Lo Stato ha perso la sua capacità di regolamentazione dei processi economici. L’ideologia liberista ha promosso un’espansione naturale del mercato. Guido Rossi a seguito delle ultime crisi finanziare si continua ad assistere all’evaporazione del mito dell’autoregolazione del mercato. Di fronte a ciò le norme giuridiche sono ancora più appesantite dalla funzione di dover tutelare l’interesse generale. Il paradosso del capitalismo attuale prevede due istanze di conflitto: da una parte la richiesta di deregolamentazione, a favore dell’incremento pressoché illimitato di accordi contrattuali tra attori del mercato; dall’altra l’esigenza di norme di carattere generale capaci di tutelare l’ordine pubblico, ristabilire un equilibrio sociale e garantire l’esecuzione delle obbligazioni derivanti dai contratti. Risultato: ipertrofia della produzione normativa.
Società criminal-legali Una prima asimmetria che pervade il mercato libero riguarda la disparità di forza contrattuale tra i diversi attori economici che, in ragione della crisi dell’effettività dei sistemi di regolazione, si muovono regolando i propri rapporti commerciali via contratto, protetti unicamente dalla propria forza economica. In questi scenari emergono con prepotenza i soggetti che possono contare su capitali ingenti, la cui origine si perde spesso nei paradisi fiscali. Attraverso il riciclaggio dei proventi illeciti, le risorse finanziarie illegali sono separate dalla loro genesi criminosa e possono essere investite in attività economiche legali. Il segreto bancario e l’anonimato societario sono alcuni degli esempi di cavilli e lacune nella regolazione della trasparenza legislativa economica internazionale che permettono l’immissione di capitali sporchi nel mercato comunitario. Stato assente: paesi i cui governi servono a mantenere in vita apparati istituzionali incapaci di controllare e influenzare l’economia nazionale. In queste aree geografiche, ribattezzate “Stati Mafia”, le organizzazioni criminali assumono ruoli apicali e le loro attività commerciali sono tollerate poiché contribuiscono addirittura ad aumentare il PIL del paese. Il vero problema risiede nell’impossibilità di distinguere i due ambiti: molto spesso la società formale nell’insieme delle sue componenti politiche, economiche e sociali non si distingue più dall’economia del crimine.
Capitolo V – carcere e salute mentale
Piano carceri Nel 1944 l’allora Commissione parlamentare visitatrice e di assistenza ai detenuti, in una relazione sul problema carcerario italiano, rileva come gli stabilimenti penitenziari fossero in condizioni disastrose. Tutti gli istituti presentavano il problema del sovraffollamento e degli edifici. Ancora oggi il problema del sovraffollamento carcerario è concreto, infatti, nel 2010 è stato attivato un “piano carceri”, indirizzato all’ammodernamento e ampliamento degli istituti già presenti e nuove costruzioni. Nello stesso anno viene approvato il provvedimento “svuota-carceri”, con l’intento di sostituire la pena detentiva con pene sostitutive.
Emergenza e leggi Un dato assodato nella letteratura criminologica contemporanea è il vertiginoso aumento della popolazione carceraria, riscontrato in tutti i paesi occidentali. Contestualmente, anche l’applicazione delle misure alternative alla detenzione si dilata notevolmente. In Italia, infatti, proprio a metà degli anni 70, si istituzionalizza il modello rieducativo attraverso la riforma dell’ordinamento penitenziario e l’introduzione delle misure alternative alla detenzione. La legge n. 128 del 26 Marzo 2001, noto come “pacchetto sicurezza”, modifica la normativa secondo una “duplice ratio”: da un lato rendere più rigoroso il trattamento punitivo, dall’altro rimarcare il maggior disvalore penale insito in alcune forme di crimine.
A partire dagli anni 80 si è assistito a un recupero della realtà del crimine e dei suoi effetti sulla vittima e sulla comunità: il crimine torna a essere il problema da affrontare, il quale crea una sofferenza tangibile. Diventano oggetto d’indagine aspetti quali le ricadute sociali e individuali della devianza e le reazioni sociali che essa provoca, tra cui i sentimenti di paura attualmente l’attenzione si focalizza non tanto sulla ricerca di strumenti di prevenzione quanto sull’elaborazione di soluzioni per difendere i territori e tamponare l’allarme sociale. Con il declino del welfare state e l’affermazione dei processi di deregulation nel campo penale si riscontrano:
• L’idea che il reo, e non più la comunità e le sue istituzioni, debba assumersi per intero l’onere della sua riabilitazione e della sua reintegrazione nel mercato del lavoro;
• Una rinnovata enfasi a favore della deterrenza e della disciplina, che mina la credibilità dell’approccio solidaristico in tema di contrasto alla devianza;
• Una legislazione sempre più orientata verso politiche di law and order, che incrementa il ricorso alla sanzione penale e l’illusione che, attraversa una maggiore severità delle pene, si possa contenere l’aumento della criminalità;
• Saperi criminologi che sostengono sempre più la ricerca di soluzioni individuali per tutelare la propria incolumità e difendere il proprio spazio di vita;
• La forza deterrente della pena, quale unico strumento statale di contrasto alla delinquenza.
Date queste premesse il sistema penitenziario oggi costituisce uno dei perni attorno al quale ruota la questione dell’ordine sociale. Spogliato il carcere di ogni retorica redentrice e solidaristica, resta il suo fondamento: sorvegliare e punire, rendere innocui i delinquenti pericolosi e invisibili i problemi sociali dei soggetti più vulnerabili. Analizzando la crescita dei detenuti in Italia, ci si rende conto di quanto abbiano contributi i criminali stranieri ad aumentare questo numero. Negli USA, e a seguito anche in Europa, si è diffusa una strategia di incapacitazione selettiva, ovvero si individuano gruppi e soggetti altamente recidivi neutralizzandoli.
L’umanizzazione delle carceri italiane, inizia formalmente con la riforma del 1975. Queste iniziative sono collegate, ma non da confondere, con la de-istituzionalizzazione psichiatrica, ovvero la chiusura dei manicomi avvenuta nello stesso periodo.
Nella sfera penale il carcere continua a mantenere la sua centralità, nonostante alcuni movimenti, (in Italia coordinato da Mario Tommasini), propongano la soppressione dell’intero sistema penale moderno e la sostituzione di sanzioni penali punitive con progetti studiati a livello comunitario volti a gestire gli effetti distruttivi dei conflitti.
De-istituzionalizzazioni Negli Stati Uniti,già all’indomani della Seconda guerra mondiale, sono in molti ad auspicare un progetto di riforma del sistema psichiatrico. Con il “National Mental Health Act” del 1946 il Congresso inizia a stanziare fondi per ricerche e progetti, promuovendo un nuovo approccio alla malattia mentale. John Fitzgeral Kennedy, nel 1963 dichiara il proprio intento di de- istituzionalizzare il sistema psichiatrico viene finanziata la costruzione di centri territoriali in ciascuno Stato, sulla base di un piano che prevede l’edificazione di nuove strutture e l’articolazione dei servizi in relazione alle tipologie e alla gravità dei disturbi da curare. Queste politiche nel 1981-89 arretrano sotto la presidenza di Reagan, dove i processi di de- istituzionalizzazione delle case di cura mentali si traducono in de ospedalizzazione dei degenti. In Europa, è proprio a cavallo tra gli anni settanta e ottanta che si manifesta la tendenza a sostituire gli ospedali psichiatrici con servizi di comunità. Le riforme di de istituzionalizzazione delle strutture di cura mentale ruotano su 4 aspetti:
• Spaziale: dai manicomi ai territori, fino alla comunità; • Giuridico: dalla obbligatorietà del ricovero al consenso alle cure da parte del paziente; • Organizzativo: dall’internamento all’articolazione di servizi territoriali graduati sulle
esigenze di cura; • Culturale: dall’obiettivo dell’esclusione a quello dell’inclusione sociale del diverso, che
implica un mutamento di prospettiva della stessa comunità. Questo mutamento istituzionale, che ha condotto finalmente la psichiatria fuori dal modello manicomiale/custodialistico, ha innescato nuovi processi di controllo sociale di popolazioni problematiche.
Questa nuova conformazione istituzionale si afferma in un momento di critica alle politiche di promozione del benessere articolato intorno ai concetti di efficacia della spesa pubblica e di delega all’individuo della responsabilità per il raggiungimento di una condizione di felicità. Si assiste ad un passaggio dal welfare state al welfare mix, che si sostanzia nel superamento del monopolio statuale della prestazione dei servizi, nel coinvolgimento dei privati nella programmazione e gestione delle politiche privatizzazione della gestione dei servizi pubblici.
Revolving doors Dall’intersezione dei percorsi di riconfigurazione istituzionale con i processi di privatizzazione, è derivata una circuitazione continua dei soggetti multiproblematici tra centri di salute, reparti ospedalieri psichiatrici, sistema delle residenze protette, centri penali. In questo andirivieni incessante si generano anche forme di abbandono istituzionale porte girevoli (revoliving doors) rispondono a questa condizione di abbandono con mense caritatevoli, dormitori, servizi per chi non ha fissa dimora. I dati dimostrano che è elevato il numero di coloro i quali non sono riusciti ad accedere ad un livello qualitativo adeguato di cura nel servizio pubblico o ad affidarsi ai privati. In uno scenario dominato dal declino delle politiche di welfare, la famiglia rimane la sola a gestire il carico dell’espulsione dal mercato del lavoro, così come il peso della sofferenza mentale: in tutti gli altri casi si verifica un abbandono degli scarti da parte delle reti di cura e assistenza.
Con riferimento agli Stati Uniti, Bernard Harcourt rilegge il fenomeno della de- istituzionalizzazione psichiatrica, aggregando i dati sull’ospedalizzazione con quelli sulla carcerazione tra il 1934 e il 2000. La visualizzazione di tale andamento mostra, a partire dagli anni 60, una costante diminuzione dei livelli di istituzionalizzazione aggregata, e un’inversione di tendenza a cavallo degli anni 70 80, legata a una netta crescita dei livelli di incarcerazione.
Una vasta letteratura scientifica, ha iniziato a considerare il sistema carcerario statunitense come la principale agenzia di presa in carico della malattia mentale, che tra la popolazione detenuta ha infatti un’incidenza assai più alta rispetto alla popolazione generale. Seena Fazel e John Danesh hanno condotto uno studio in cui hanno analizzato varie indagini scientifiche effettuate dal 1966 al 2001 in 12 paesi del mondo. I risultati evidenziano che circa un detenuto su sette soffre di patologie gravi questo studio conferma che il rischio di trovare negli istituti penitenziari soggetti con patologie psichiatricamente rilevanti è più alto che nel resto della popolazione. Anche in Italia è stata svolta un’indagine del genere, e il risultato è che la percentuale dei sofferenti psichici incarcerati è superiore al 20%.
Nell’epoca moderna i sistemi di giustizia penale e salute mentale emergono come una soluzione alle minacce di disordini urbani conseguenti all’industrializzazione, all’inurbamento e ai relativi profondi mutamenti sociali. Il sistema di salute mentale tradizionalmente ha contribuito a controllare un’ampia schiera di sofferenti psichici che commettono reati bagatellari. Durante la prima metà del ventesimo secolo vi è stata una medicalizzazione dei problemi sociali: a quell’epoca, la criminalità iniziò a essere studiata come un problema che risiede nel malfunzionamento psichico, e la sua soluzione venne individuata nel trattamento dei soggetti da parte di medici specializzati. Di conseguenza vi fu un aumento significativo della popolazione degli ospedali psichiatrici in rapporto a quella carceraria; invece nel periodo di de-istituzionalizzazione questa tendenza ovviamente si è invertita, dando vita al processo di criminalizzazione della salute mentale c’è chi ha ipotizzato che alla diminuzione della capacity del sistema di salute mentale corrisponda un aumento della popolazione carceraria e viceversa (alternativa funzionale). Il sistema di giustizia penale funziona invece come conduttore per il sistema di salute mentale. Entrambi i sistemi sono influenzati da fattori esogeni, e in particolare dalla indisponibilità di risorse finanziare e dall’ampiezza della minaccia sociale percepita. Psichiatrizzazione del carcere: con questo fenomeno si intende la presa in carico del carcere della maggior parte dei sofferenti psichici rimasti ai margini di interventi specialistici, divenendo quindi la moderna espressione dell’istituzione asilare. Le mura penitenziarie creano un contesto tra i meno idonei a curare queste patologie, favorendo anzi comportamenti antisociali. Il riconoscimento del rapporto tra carcere e cura è costitutivo della stessa istituzione manicomiale giudiziaria, sorta con funzioni connesse al trattamento di soggetti riconosciuti incapaci di intendere e di volere, socialmente pericolosi o con infermità mentali. Da alcuni sopralluoghi è emerso che in tali istituti non vi sono le condizioni adatte per curare gli internati. L’obiettivo che ci si è posti è quello di tutelare in primis il diritto inviolabile della salute. Tentativi di conciliare trattamento, cura e rieducazione all’interno dei carceri. Capitolo VI – conclusione – per una politica di sicurezza democratica
Il mito fondativo della criminologia contiene al suo interno la promessa di una società priva di violenza. La pericolosità sociale diviene il dispositivo per emarginare chi minaccia la pace collettiva. È un mito che incrocia la fiducia moderna nella capacità di contenere la violenza attraverso le istituzioni penali con la fiducia positivista nella capacità della scienza e delle tecniche di controllare la forza della natura e dell’uomo. Cosa resta di quella promessa iniziale? L’idea che una società sicura si costruisce sull’incapacitazione dei soggetti pericolosi e sull’individuazione di tecniche sempre più accurate per anticipare le diagnosi di pericolosità. Eric Sadin afferma che sono proprio l’ansia per la sicurezza e il marketing a imporre la necessità di predire eventi e comportamenti, individuali e collettivi. Sadin conia l’espressione capitalismo precognitivo: uno schema economico fondato sulla raccolta e l’analisi ininterrotta di dati gestiti per assistere di continuo le persone e orientarle rispetto al doppio registro della sicurizzazione e dell’incentivo.
Francia, 2005 INSERM pubblica un rapporto che sostiene come le condotte violente e delinquenziali si possono prevenire identificando precocemente i soggetti a rischio, individuati anche in base alla caratterizzazione del loro patrimonio biologico e genetico. Fin dalle scuole materne i bimbi dovrebbero essere sottoposti a test per rilevare eventuali problemi. Percorrendo questa logica ne fa la spesa il concetto di responsabilità quale categoria che definisce certe competenze soggettive dal punto di vista morale, sociale e giuridico.
Anche in ambito del diritto penale si sta imponendo un’esigenza di risposta anticipata alle condotte indesiderate, volta a controllare alla radice le fonti del rischio. Il governo di queste ultime impone forme di regolazione basate sull’incertezza derivante dall’impossibilità di prevedere le ricadute delle applicazioni scientifiche e tecnologiche; sono norme che adottano il principio di precauzione quale punto di appoggio per una tutela anticipata. In tal senso, si fa ricorso al diritto penale per tutelare i rischi per la sicurezza e la salute nei settori in cui si richiede una cautela o addirittura un’astensione da un agire che sfrutta senza riserve le potenzialità offerte dall’evoluzione tecnologica. Alla logica della prevenzione, orientata alla riduzione dei rischi noti, si sovrappone quella della precauzione, rivolta a evitare i rischi che allo stato delle conoscenze scientifiche non si possono ragionevolmente escludere.
Gunther Jacobs lo strumento penale deve essere utilizzato per reprimere gli atti preparatori di un possibile reato, per la previsione di pene assai elevate al fine di neutralizzare la pericolosità di coloro che li pongono in essere e per una parziale rinuncia alle regole processuali ordinarie nasce una concezione binaria dove i soggetti punibili sono differenziati in forza dell’azione o del mero rischio di consumarla.
Se non si vuole vivere in una società insicura allora occorre proteggersi fino in fondo da ogni rischio, e chiedere alle istituzioni di fare altrettanto. Hans Jonas una paura non deve essere statica, ma deve muovere a riflettere, ad abbandonare percorsi già tracciati e a cercare nuove consapevolezze. Nella quotidianità invece capita spesso che le paure perdano il loro riferimento alla concretezza e alla singolarità dei vissuti individuali per diventare patterns emotivi che indicano quali atteggiamenti standardizzati assumere in situazioni perturbanti.
In età moderna il valore della fraternità è stato proclamato sul piano politico a partire dalla Rivoluzione Francese mentre libertà e uguaglianza sono state riconosciute da molte costituzioni moderne, la fraternità è stata collocata più che altro su un piano morale e sociale. Max Weber affronta l’argomento confrontando l’estraneità del mercato alla fratellanza, rispetto ad altre comunità basate su fratellanza personale. La società che si è modellata a partire dall’economia politica moderna è lontana dalle relazioni di fratellanza, ma è anzi aderente ad una fredda ragione utilitaristica. Viene evidenziato un carattere ambiguo della fraternità: se impregnata della paura dell’altro può divenire ancora una volta il presupposto di egoismi collettivi che si traducono, nel campo politico, in istanze regressive dello spirito democratico. Se invece viene agganciata ad un progetto politico più ampio, può costituirne il principio di orientamento.
L’alternativa a cui costringe il carattere ambiguo della fraternità è quello di fondare legami micro comunitari sulla paura di perdere le proprie tradizioni, il proprio benessere, la propria casa. Elena Pulcini parla di “funzione emancipativa della paura”: questo stato d’animo può generare una rinnovata presa di coscienza che tutti gli uomini sono accomunati dalla condivisione della propria vulnerabilità e debolezza di fronte alle minacce da essi stesse prodotte e dal rischio supremo dell’autodistruzione dalla paura può scaturire un altro modello di reciprocità (il dono), che riconosce come solo la salvezza dell’altro può garantire anche la mia. Marcel Mauss intende il dono come la forma originaria dello scambio che sfugge alla logica mercantile, ed è indicato come un nuovo paradigma teorico per orientare le relazioni tra persone. Il dono è un atto di fiducia nella possibilità di costruire forme di legame e fraternità.
Il dispositivo del dono definisce una trama di rapporti di fiducia reciproca che apre alla possibilità di interrompere quel circolo vizioso che incatena alla paura dell’altro. Servirebbe una torsione politica che consenta di iscrivere il dispositivo del dono e la reciprocità all’interno di un orizzonte pienamente democratico. Occorre che gli appartenenti ad una comunità politica siano considerati e trattati da pari, perché condividono la condizione di essere persone, degni in quanto tali di essere rispettate. L’uguaglianza è centrale per dare un’incurvatura politica al rispetto. L’eguale rispetto va inteso come riconoscimento reciproco multiculturalismo. La lotta per il rispetto-riconoscimento di sé come persona è qualcosa che precede ed eccede la lotta per l’affermazione dei propri diritti. I diritti corrispondo quasi sempre al rispetto. Perché possano affermarsi società decenti e civili occorre promuovere la nascita di una nuova età dei diritti e le condizioni necessarie affinché la vita di ognuno sia all’altezza della dignità umana. La politica è chiamata non solo a riconoscere diritti e libertà, ma a sviluppare le capacità necessarie, in ogni individuo, perché quei diritti e quelle libertà siano davvero occasioni per costruire vite dignitose. Le ricerche dell’economista Amartya Sen e della filosofa Martha Nussbaum convergono nel mettere in relazione reciproca il concetto di dignità con quello di capacità il rispetto della dignità umana richiede che in una società decente e civile tutti raggiungano un adeguato livello di capacità.
Necessità di una riforma del diritto penale orientata in senso laico e costituzionale che: • Intervenga sulla riduzione dell’area del penalmente rilevante a vantaggio di forme
alternative di regolazione della convivenza; • Consideri la detenzione in carcere come misura estrema da applicarsi solo per i casi più
gravi; • Contrasti le disuguaglianze e le discriminazioni che si verificano all’interno del sistema
penale; • Rinunci a usare lo strumento penale solo come affermazione astratta del disvalore di una
condotta, al di là di ogni considerazione circa la sua concreta effettività; • Ridimensioni il ruolo del diritto penale nella gestione del problema criminale, e riconosca
centralità a vantaggio delle politiche sociali, sull’immigrazione e in tema di sostanze stupefacenti;
ElSistema di Abreu Progetto organizzato in Venezuela dal Maestro Josè Antonio Abreu, consistente nell’organizzare delle Orchestre nelle zone più degradate del paese per cercare di dare dignità, futuro e speranza ai giovani altrimenti destinati ad una carriera criminale e ad uno stato di marginalità. In questo modo si fa prevenzione dando opportunità di sviluppo delle capacità individuali, trasformando le relazioni e i contesti urbani. Si offre in questo modo un’alternativa concreta alle forme di controllo repressivo, processi di etichettamento, ecc…. Per ciò che riguarda le esecuzioni penali, occorrerebbe comprendere il significato che c’è dietro ogni storia, per trovare un punto di partenza per un autoriflessione e un cambiamento. Giustizia riparativa: paradigma che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la conciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo.
Basta non avere paura di immaginare e sperimentare politiche capaci di trasformare gli effetti discorsivi e distruttivi delle esperienze di conflitto, violenza, prevaricazione e discriminazione in percorsi che risaldino il senso di communitas, di fiducia e di responsabilità. Percorsi capaci di rigenerare quella passione per l’apertura che fornisce un terreno di coltura ottimale per la sperimentazione e l’innovazione democratica.