69°Berlinale. The Operative, il Mossad al femminile
Un film israeliano ambientato sullo sfondo dell’annosa guerra tra Israele e l’Iran qui trattato con benevolenza e riguardo culturale, dal regista Yuval Adle tanto da farne il vero protagonista del film.
Cinema dedicato a spionaggio e giornalismo investigativo con due opere una fuori concorso, dell’israeliano Yuval Adler, The Operative e l’altra, in competizione, della polacca Agnieszka Holland, Mr.Jones.
L’israeliano ambientato sullo sfondo dell’annosa guerra tra Israele e Iran sui presunti armamenti nucleari di quest’ultimo, stupisce più che altro per un dato: quelli che – per il punto di vista - ci aspetteremmo essere i cattivi della storia (gli iraniani) sono invece i più simpatici. Trattati con benevolenza e riguardo culturale, dal regista Yuval Adler, finiscono tra usanze ammalianti e predisposizione al buon umore per innamorare il pubblico.
Anche il presunto cattivo e cospiratore è interpretato da un sex Symbol mezzo canadese e mezzo iraniano, Cas Anvar. Se fossimo a un festival del cinema in Israele potremmo definirlo tentativo di dialogo; ma poiché siamo al Festival tedesco, non è altro che un chiaro messaggio. Il direttore Dieter Kosslick, giunto alla sua ultima Berlinale, non avendo proprio nulla da perdere, può certamente togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
In una Germania nel migliore dei casi muta in questioni legate alla politica israeliana e ai suoi grattacapi internazionali, critiche comprese, perché patria dei pronipoti di coloro che qui furono perseguitati dal nazismo, un film troppo carezzevole nei confronti di un nemico giurato della terra di David, può significare una sola cosa: se si era tutti cattivi per forza è possibile che ci fosse anche qualcuno buono.
Tra l’altro la Germania del film non è solo trampolino, ma è anche produttore e fornitore dell’attrice protagonista Diane Kruger, nel ruolo di una spia al servizio del Mossad mandata sotto copertura a indagare a Teheran sul presunto nucleare. Sullo sfondo di ammazzatine e inseguimenti, bugie e colpi di scena, il vero protagonista è l’Iran con le sue contraddizioni ma anche ben narrate – da sceneggiatura – virtù, apprezzate dalla stessa spiona a quanto pare, che innamoratasi finisce pure per cambiare casacca. Se le guerre fossero tutte combattute al cinema…
Di altra tempra è stato Mr. Jones, dedicato al freelance corrispondente da Mosca Gareth Jones (James Norton) che nel 1933 non autorizzato si recò in Ucraina a Charkow per indagare sulle carestie forzate di Stalin, smascherando e narrando al mondo quanto vide. La storia è narrata seguendo pari passo la cronaca biografica di Jones, ma per i disillusi del comunismo seguendo anche il racconto – così inizia il film – di George Orwell (Joseph Mawle) La fattoria degli animali (1945).
Quale metafora che riflette sugli eventi che portarono alla Rivoluzione di Ottobre e successivamente all’era staliniana nell’Unione Sovietica. Visto con gli occhi di una polacca, la regista appunto, non c’è d’aspettarsi alcuna benevolenza: Mosca è narrata come un porcile in balie di puttanieri e asserviti, ii sovietici sono descritti come bestie mostruose, tanto quanto i solo più l’eleganti britannici, che non agirono ai reportage di Gareth Jones, e gli statunitensi, che finirono non solo col riconoscere l’Unione Sovietica, ma anche con l’allearcisi in funzione antinazista. Anche se a questo punto un dubbio ci assale. Non scrisse proprio Orwell nella sua fattoria, che non tutti gli animali sono uguali gli uni agli altri?