Viaggio nel partito politico più potente del mondo
Per meglio capire la potenzialità cinese nel conflitto ucraino e nei rapporti Cina-Russia, volentieri riproponiamo la lettura di questo articolo.
Giovedì 1° luglio 2021 il Partito comunista cinese (PCC) ha celebrato i 100 anni dalla sua fondazione, con una serie di eventi pubblici. Come unica forza politica che governa in maniera autoritaria sulla seconda potenza mondiale, il PCC è senza dubbio il partito politico più potente del mondo, e la sua permanenza al potere dal 1949 a oggi ha smentito e sorpreso i tanti esperti occidentali che nel corso dei decenni ne avevano previsto il crollo.
Il 1917 segnò la storia mondiale così come, ovviamente, la storia dei comunisti. Il movimento comunista internazionale si legherà all'esperienza sovietica facendo della difesa di quell'esperienza un imprescindibile fronte della sua battaglia. Guardando al resto del mondo Lenin e tutto il gruppo dirigente bolscevico sapevano che per rafforzare l'esperienza sovietica era necessaria la vittoria della Rivoluzione in Germania, paese che era individuato come il tassello fondamentale dello scontro. La rivoluzione tedesca fu però sconfitta e con essa la possibilità di far dilagare la rivoluzione nel resto d'Europa.
A questo punto a Mosca il confronto fra i bolscevichi si articola su due piani fra loro intrecciati, che ancora oggi attraversano il dibattito fra i comunisti.
Innanzitutto si crea una contrapposizione che potrebbe essere riassunta da due termini: cosmopolitismo e patriottismo. Dopo la morte di Lenin il dibattito si incarnerà nelle due figure di Stalin e di Trockij, quest'ultimo si fa portavoce della necessità di esportare la rivoluzione incarnando la prima posizione, quella cosmopolita. I comunisti non devono limitarsi a governare il loro paese ma devono esportare la rivoluzione nel mondo. Stalin incarna la seconda posizione. Trovo illuminante l'opinione di Luciano Canfora il quale scrisse che dopo la presa del potere i bolscevichi si trovarono “dinanzi ad un bivio: o compenetrarsi con il Paese e fare i conti con l'enorme peso della sua tradizione e della sua storia, ovvero continuare a mantenersi 'straniero in patria' in attesa della 'rivoluzione mondiale'. Un dilemma che si incarna […] in due persone concrete: Trockij, ebreo, cosmopolita e fortemente internazionalista; Stalin, georgiano e convinto assertore della necessità dell'innesto nel concreto terreno di 'un Paese solo' del credo comunistico”[1].
Ben lungi dal volere trovare in questa affermazione di Canfora una parvenza di antisemitismo io ci vedo il dilemma che già dal '17 dilaniava i bolscevichi: quale deve essere il ruolo dello Stato, che non deve quindi estinguersi dopo la rivoluzione ma rafforzarsi. Stalin lo scriverà in modo esplicito intervenendo su 'Rinascita' affermando che a fronte dell'accerchiamento capitalistico e i pericoli che ne derivano per il paese del socialismo lo Stato non doveva tendere all'estensione ma rafforzarsi[2]. Per raggiungere questo scopo i bolscevichi devono essere parte della storia del loro paese, ma ne devono essere la parte più avanzata senza dimenticare la propria cultura. Queste non sono posizioni anti-illuministe alla Dugin: al contrario in esse emerge la consapevolezza che la classe operaia deve sviluppare una solidarietà internazionale seguendo un percorso nazionale. L'apertura alla Chiesa ortodossa di Stalin va letta in questo contesto, oltre che ovviamente alla luce della minaccia nazista. Il quadro presentato chiarisce come la difesa dell'Unione Sovietica era essa stessa difesa e rafforzamento del movimento comunista internazionale.
C'è però un altro fronte della discussione su cui Lenin era già intervenuto nel 1913 con uno scritto intitolato 'l’Europa arretrata e l’Asia avanzata', nel quale scriveva: 'in Asia si sviluppa, si estende e si rafforza ovunque un potente movimento democratico. Là la borghesia marcia ancora col popolo contro la reazione. Centinaia di milioni di uomini si svegliano alla vita, alla luce, alla libertà. Quale entusiasmo suscita questo movimento universale nel cuore di tutti gli operai coscienti, i quali sanno che il cammino verso il collettivismo passa per la democrazia! Quale simpatia sentono tutti i democratici onesti verso la giovane Asia!'
La sconfitta tedesca rafforza questa posizione, nell'idea leninista di lotta all'imperialismo anche la borghesia nazionale può avere un ruolo positivo. Dall'altra parte le 'simpatie' sovietiche verso l'Asia e in particolare la Cina sono ricambiate e possiamo tranquillamente affermare che senza il '17 non ci sarebbe neanche la RPC nata grazie all'esempio e al sostegno sovietico.
La lotta di classe non è combattuta solo dentro gli Stati ma anche fra gli Stati che Lenin divide fra coloniali e colonizzati. Il diritto all'autodeterminazione in Lenin va letto così. È sbagliato, come fece una certa sinistra, usare le sue parole per giustificare la secessione del Kosovo rispetto alla quale non può sfuggire il disegno imperialistico, così come a suo tempo non sfuggì l'impianto che aveva portato alla nascita dello Stato di Panama.
La Cina dalla Rivoluzione alle Riforme
Per capire la Cina contemporanea è fondamentale partire da questi due punti in grado di chiarire qual è il ruolo dello Stato socialista. Esso rompe i precedenti rapporti di classe ma non disconosce la tradizione cinese (emblematico è il caso del confucianesimo), inoltre lo Stato cinese non è uno stato debole che si pone come obiettivo la dissoluzione, è esattamente il contrario. Le riforme avviate nel 1978 si spiegano solo grazie al ruolo forte dello Stato e del Partito. Questo rende possibile per la Cina rappresentare l'avanguardia della lotta dei popoli asiatici e dei paesi poveri contro l'imperialismo. La RPC si forgia non solo nella lotta contro l'imperialismo giapponese ma anche nella lotta contro i nazionalisti di Chiang Kai-shek, sostenuti dagli Stati Uniti, e nella successiva guerra di Corea laddove il ruolo cinese fu essenziale per fermare l'avanzata statunitense.
Mao Zedong e tutto il gruppo dirigente comunista hanno avuto un ruolo fondamentale in questo passaggio storico. Non voglio soffermarmi sulla figura storica del Grande Timoniere ma limitarmi a sottolineare il suo operato nel costruire e preservare lo Stato socialista. La debolezza delle istituzioni statali ha sempre accompagnato la Cina nei suoi peggiori momenti, quando è mancato un potere forte e strutturato il paese è caduto preda di scontri interni (come durante il periodo del Regno combattenti) o vittima di appetiti internazionali (pensiamo al secolo delle umiliazioni). Come scrive John Roberts in riferimento all'instaurazione della dinastia Song (907) 'da quel periodo in poi l'idea che la Cina dovesse essere uno stato unitario venne accettata come normale, e i periodi di divisione furono considerati aberrazioni rispetto a quella norma’[3].
Non si può capire la storia della Cina contemporanea senza conoscere l'umiliazione e la sottomissione subita da parte dell'Occidente, il cui ultimo atto è la durissima e drammatica occupazione giapponese. Quando Mao Zedong individuò nel Giappone il nemico principale, nella migliore tradizione leninista bloccò la guerra contro i nazionalisti perché la lotta nazionale contro i colonialisti era prioritaria e andava combattuta anche alleandosi a quella borghesia nazionale i cui interessi erano oggettivamente in contrasto con quelli degli aggressori. Successivamente lo sviluppo cinese, avviato con le riforme, è stato possibile solo grazie all'opera che dopo il '49 è stata realizzata per rafforzare il ruolo dello Stato.
Il 1978 è una data storica per la Cina, essa segna simbolicamente l'inizio delle riforme. L'apertura non rappresenta una rottura totale con il passato, la formula scelta per giudicare l'operato di Mao Zedong (il 70% di quello che ha fatto è stato giusto ed il 30% sbagliato) chiarisce che, rispetto a quello che era accaduto a Mosca nel 1956, non si condanna un'epoca storica nella sua totalità ma si dà un giudizio politico condannando (e correggendo) gli errori ma valorizzando e rafforzando le scelte giuste. Le riforme che Deng Xiaoping avvia non sono una rottura con il socialismo ma il tentativo di salvare quell'esperienza.
Il gruppo dirigente cinese, non solo Deng Xiaoping o i dirigenti a lui vicini, avevano capito la crisi che l'esperienza socialista stava vivendo, parafrasando Roosevelt potremmo dire che il PCC tentò di salvare il marxismo da se stesso. Paradossalmente è l'Unione Sovietica a tradire, con Gorbačëv e El'cin, la Rivoluzione del '17 mentre la Cina ne prende in mano la fiaccola. In URSS la condanna totale di Stalin, a cui non fu riconosciuto neanche il merito di avere guidato il paese nella Grande Guerra Patriottica, non consentì allo Stato sovietico di riformarsi lasciandolo nel limbo.
Il comunismo deve redistribuire la ricchezza ma se non riesce a crearla può solamente redistribuire la miseria. Creare ricchezza e benessere era il problema da risolvere è le riforme avviate dal 1978 vogliono rispondere a questo obiettivo. Deng Xiaoping avviò le riforme con grande prudenza dovuta a due motivi. Innanzitutto la RPC si avviava a percorrere una strada nuova e, come insegna Lenin, l'importante non è non sbagliare ma commettere errori a cui si possa rimediare, come scrive Marie-Claire Bergère 'spetta all'esperienza dimostrare fino a dove si possa o non si possa arrivare[4]'. Inoltre non bisogna scordare che la presa di Deng sul partito non era ancora salda, era quindi necessaria un'attenta opera di mediazione per evitare ulteriori lacerazioni interne. La riforma partì dall'agricoltura per poi arrivare all'industria, in questa fase furono importanti gli investimenti esteri che vennero accompagnati dall'obbligo per le imprese straniere di condividere le tecnologie. Si creano qui le premesse dello sviluppo cinese, la Cina non si limita a costruire o ad assemblare ma acquisisce le informazioni per farlo. Già Hua Guofeng nel dopo-Mao aveva aperto agli investimenti stranieri e proprio grazie a queste scelte oggi la Cina è il primo paese per brevetti depositati.
Questo è il metodo cinese, avviare riforme limitate, verificare i risultati e successivamente implementarle o correggerle. Mentre si apre l'economia occorre però mantenere ferma la barra politica, se sulla tattica si può essere flessibili sull'obiettivo del socialismo non si transige. In quest'ottica il riferimento alla NEP è obbligato. Come scrive Vladimiro Giacché siamo di fronte al passaggio 'da un'economia di fatto integralmente statalizzata e pianificata a un'economia in cui coesistono da un lato un ampio e crescente settore privato dell'economia, dall'altro il mantenimento nelle mani dello Stato di un potere di indirizzo strategico – anche grazie a un settore pubblico dell'economia che conta numerosi colossi nell'industria e nei servizi. Questa inedita combinazione di economia pianificata ed economia di mercato non è meno sconcertante di quanto lo fosse la transizione alla Nep da parte di Lenin[5]'.
Anche con la NEP, ricorda Molotov, molti militanti ebbero momenti di sconforto e si vissero momenti di grande difficoltà all'interno del Partito. Nel PCC ci sono stati passaggi difficili ma la barra politica è sempre rimasta ferma, non c'è stata una Bad Godesberg del Partito. Al contrario il ruolo del Partito è stato rafforzato, si può affermare che 'il Comitato centrale del PCC ha fatto sforzi a tutto campo per rafforzare il Partito dal punto di vista teorico e organizzativo, migliorare la sua condotta, lottare più vigorosamente contro la corruzione e migliorare le norme e i regolamenti del Partito[6]'.
Tienanmen e il viaggio al sud di Deng
Alla fine degli anni'80 prende avvio la seconda fase dello sviluppo delle riforme cinese che partirà formalmente nel '92 con la visita di Deng Xiaoping nel sud del Paese.
I risultati delle riforme erano stati positivi ma permaneva una carenza infrastrutturale ed inoltre era aumentato 'lo squilibrio tra le importazioni e le esportazioni, con un passivo che nel 1987 aveva raggiunto i 30 miliardi di dollari americani', l'aumento dell'inflazione, arrivata al 18,5% nel 1988, creò un forte malessere sociale[7]'. Le cause delle proteste di Piazza Tienanmen, sicuramente condizionate e dirette dall'estero, sono in questa crisi.
Quando nel 1992 Deng Xiaoping visitò nel sud del paese le zone economiche speciali autorizzate nel 1979 affermò 'che lo sviluppo era la sola «verità forte», e che non importava se le politiche venivano definite socialiste o capitaliste, se esse erano in grado di stimolare lo sviluppo[8]'. La necessità di produrre ricchezza e combattere la povertà era alla base dell'accelerazione che venne impressa alle riforme. Le conseguenze non furono solo positive, nel breve periodo il 40% degli occupati delle imprese di Stato, 30 milioni, venne licenziata ma il successivo sviluppo è stato in grado di recuperare questi posti di lavoro e crearne molti altri. A tal proposito scrive Loretta Napoleoni 'guardando la decisione di reprimere i moti di Tienanmen […] è soltanto onesto fare un'ammissione dolorosissima: forse quel sacrificio ci ha salvato tutti dalla catastrofe e chi ha preso quella terribile decisione l'ha fatto nell'interesse della nazione[9]'.
Mentre la sinistra occidentale in larga parte condannò questa esperienza, un attento lettore degli equilibri mondiali, Zbigniew Brzezinski, ne 'La grande scacchiera' individuò la Cina come il principale nemico e la principale minaccia strategica degli Stati Uniti d'America.
Il 2001 e l'ingresso nel WTO
L'ultima data per capire le riforme cinesi è quella del 2001, anno in cui la Cina entrò nel WTO. Anche questo risultato fu salutato da una certa sinistra come una resa degli ideali socialisti al grande capitale. Erano gli anni in cui Rifondazione Comunista delirava di fine degli Stati, Impero mondiale (Toni Negri docet) e governo mondiale che aveva nel WTO uno degli strumenti chiave. La realtà era diversa, l'ingresso della Cina nel WTO tolse agli Usa la pistola nucleare puntata sulle tempie di Pechino. Quella data non è stata la fine del socialismo cinese ma ha aperto un'altra stagione di grande crescita, se oggi la Cina ha tolto oltre 700 milioni di persone dalla povertà contribuendo (cifra che rappresenta oltre 70% della popolazione mondiale stabilmente sollevata dalla povertà)[10], lo deve anche a questa scelta che l'ha portata a divenire una società moderatamente prospera.
Certamente, come in tutto il mondo, anche in Cina negli ultimi decenni è cresciuta la diseguaglianza ma rispetto all'Occidente c'è una differenza. L'Occidente si impoverisce, da noi cresce la povertà e crescono le diseguaglianze. Ciò vuole dire che abbiamo da una parte sempre più poveri, frutto di un ceto medio che si proletarizza, e dall'altra parte meno persone ricche ma sempre più ricche. In Cina viceversa cresce la ricchezza complessiva, ci sono sempre più miliardari ma calano i poveri, con il raggiungimento dell'eliminazione della povertà assoluta (ottenuta senza festeggiamenti sui balconi).
La Cina oggi: sfide e prospettive
Lo scenario che si apre porta l'Impero di Mezzo a confrontarsi non solo con la gestione della crescita economica ma anche con il binomio valori e democrazia.
Il primo tema riguarda le fondamenta di una società socialista. Aumentare la ricchezza e aumentare i consumi potrebbe portare alla costruzione di una società consumistica preda di valori edonistici che mal potrebbero sopportare la guida del PCC. Lo studio degli errori compiuti in Unione Sovietica è per questo molto importante. L'apertura alle riforme non ha voluto dire abbandonare la strada del socialismo disconoscendo il ruolo del Partito, anzi il gruppo dirigente cinese a partire dal Segretario Xi Jinping è conscio, memore del già citato esempio leninista della NEP, che più si spinge il pedale delle riforme più occorre compattare il Partito, preservandolo dagli elementi opportunistici che potrebbero offuscarne il ruolo. Ecco ben presente l'esempio sovietico: 'Perché l'Unione Sovietica si è disintegrata? Perché il partito comunista sovietico è crollato? Una ragione importante era che i loro ideali e le loro convinzioni erano stati scossi[11]'.
Valorizzare e rafforzare il ruolo del Partito che sta costruendo il socialismo con caratteristiche cinesi è importante come guardare con attenzione al patrimonio culturale e teorico cinese, a partire dal confucianesimo. Riscoprire Confucio, anche se va detto che queste idee non erano mai state abbandonate del tutto neanche nei momenti di massimo ostracismo, è importante per ritrovare nella storia e nella tradizione cinese un'alternativa valoriale al modello consumistico occidentale. Un paese socialista non può limitarsi a creare ricchezza ma deve costruire un modello differente anche guardando alla propria storia.
Il secondo elemento da analizzare è il tema per il quale l'Occidente vorrebbe trascinare la Cina sul banco degli imputati: la democrazia. La Cina di oggi non solo non è più quella della rivoluzione culturale ma nemmeno quella degli anni '90, vi sono stati cambiamenti economici ma anche politici. Lo sviluppo ha contribuito ad una articolazione maggiormente complessa della società civile, la quale ha un ruolo sempre più importante anche nella vita politica. Per fare un esempio internet ha portato molto cinesi a rapportarsi alle questioni ambientali in modo proattivo, dando vita a movimenti di opinioni che hanno spesso ottenuto i risultati sperati. Secondo un rapporto dell'Accademia delle Scienze sociali 'la rete ha acquistato un ruolo sempre più importante nell'opinione pubblica[12]'.
In un interessante libro del 2009 'Democracy is good thing' l'autorevole professore Yu Keping, uno dei riferimenti teorici del PCC, sostiene che la strada verso la democrazia sia obbligata nonostante le difficoltà e gli ostacoli che su questa strada si possono incontrare. L'idea di democrazia con caratteristiche cinesi non corrisponde a quella occidentale (su cui tanto ci sarebbe da dire ma non è il tema di questo saggio), la Cina non pensa ad un'alternanza fra due partiti guidati dai poteri economici. La strada cinese può essere riassunta in una formula di partecipazione dal basso per raggiungere decisioni legittimate.
La genesi degli importanti piani quinquennali cinesi poggia su un’importante partecipazione popolare, che serve a comprendere le domande che arrivano dal basso e gli errori che sono stati compiuti, il tutto per formulare linee guida condivise e quindi più forti perché legittimate dal consenso popolare. Come disse Deng Xiaoping 'mentre noi propagandiamo la democrazia, noi dobbiamo rigorosamente distinguere la differenza tra la democrazia socialista da una parte e i caratteri di una democrazia individualista dall'altra[13]'.
Se guardiamo alla Cina contemporanea vediamo un paese in cui, a differenza di quello che succede da noi, crescono salari e diritti e le due cose sono collegate. È interessante concentrarsi sui salari e sulle protezioni sociali, che sono temi che riguardano i diritti sociali e quindi i diritti umani.
I salari aumentano non solo perché continua a diminuire il numero di coloro che cercano lavoro ma anche perché la Cina sta sviluppando un'economia ad alto valore aggiunto, per questo è necessario avere un mondo del lavoro qualificato e quindi meglio pagato. L'aumento dei salari consente alla Cina di sviluppare il mercato interno e questa è la sfida che Pechino ha davanti a sé nel XXI secolo. Per sviluppare il mercato interno assieme a salari più alti servono anche maggiori garanzie sociali. Il popolo cinese ha un tasso di risparmio più alto della media[14], questo perché la mancanza di sicurezza sociale porta le famiglie a risparmiare, un aumento delle garanzie sociali porterà ad un aumento dei consumi interni.
La Cina continuerà ad aumentare i salari (che già stanno raggiungendo quelli occidentali) e le garanzie sociali, inoltre, come ho affermato, anche la il tema della democrazia 'con caratteristiche cinesi' sarà sviluppato.
Un aiuto al resto del mondo: tra via della seta e 5G
La politica del doppio standard affida lo sviluppo cinese al mercato interno pur riconoscendo l'importanza del commercio internazionale. Entrambe le sfide però non possono prescindere da un ambiente internazionale pacifico e questo è un tema che ricorre in tutti i documenti ufficiali cinesi. Oggi all'orizzonte non si vede il pericolo di una guerra diretta contro la Cina (anche se è un'eventualità che non può essere esclusa a priori) ma una serie di misure muscolari (fra il soft e l'hard power) per bloccarne o rallentarne l'ascesa. È quindi lecito parlare di guerra intendendola come il tentativo di boicottarne la pacifica ascesa cinese.
Lo scontro fra Usa e Cina è uno scontro asimmetrico e mentre Washington persegue una strategia militare che consiste nell'armare i propri alleati, la Cina risponde con un approccio prima economico e poi militare. Questo vuole dire che Pechino pur non rifiutandosi di rafforzare la propria difesa è diventata per il resto del mondo un partner economico imprescindibile, sostenendo economicamente la stabilità di molti paesi. Un esempio è quello giapponese, con i governi Abe Shinzō e Suga Yoshihide dove il paese ha virato verso una politica estera più assertiva ed anticinese. Ma come reagirebbe l'economia giapponese ad una crisi economica della Cina provocata da un attacco militare statunitense? È pronta Tokyo ha pagare il prezzo di uno scontro con la Cina?
L'obiettivo della RPC è la creazione di un mondo multipolare e i primi 20 anni del XXI secolo hanno mostrato la crisi del modello unipolare, dove gli Stati Uniti si sono dimostrati incapaci di esercitare il ruolo che si erano autoassegnati di leader mondiali. Nonostante questa loro incapacità non è ancora nato un mondo multipolare alle cui fondamenta dovrebbe stare il diritto internazionale. Basta osservare le innumerevoli sanzioni che gli USA e l'UE decidono senza alcun supporto da parte dell'ONU, scandalizzandosi quando altri paesi, come la Cina, attuano contro di loro le stesse misure. In questo quadro di scontro e cooperazione la RPC ha due armi da giocare.
La prima è la Via della seta, un'opera che non ha precedenti nella storia dell'umanità. Essa rappresenta una grande opportunità per il mondo e allo stesso tempo rappresenta un atto di destabilizzazione verso il quadro unipolare esistente. È difficile cogliere oggi la portata storica di questo evento dal quale gli Stati Uniti sono esclusi. La Via della seta contrappone all'economia occidentale sempre più finanziarizzata che crea forti disuguaglianza e povertà, lo sviluppo infrastrutturale ed industriale, gli argomenti contrari a questo progetto sono molto deboli e spesso imbarazzanti. Davvero qualcuno è convinto, ad esempio, che l'acquisizione della Pirelli da parte di un'azienda (pubblica) cinese minacci i nostri valori (quali?) e le nostre istituzioni?
La Via della seta è la spina dorsale del continente Euroasiatico, integrarla con l’Unione Economica Euroasiatica promossa da Mosca vuole dire rafforzare il rapporto fra Cina e Russia, se a questo si accompagnasse un rapporto più stretto fra la Russia e l'Europa il ruolo degli USA sarebbe oggettivamente sminuito.
La seconda arma cinese davanti alla quale l'ostracismo statunitense è ancora maggiore è il 5G. Questa è una tecnologia verso le quale gli USA scontano un fortissimo ritardo (Unione europea non pervenuta) e che porterà grandi cambiamenti. Le possibilità aperte dal 5G sono immense e la Cina ne rappresenta l'avanguardia. Questo è un tassello che si aggiunge alla sfida sulle nuove tecnologie, come ad esempio lo sviluppo dei computer quantistici, che toccano il campo militare e non solo. La tecnologia informatica, a partire dal 5G, tocca quella che Francesco Galofaro ha definito 'la sovranità algoritmica[15]'. L'atteggiamento italiano ed europeo non dovrebbe essere di rifiuto e di chiusura, basterebbe sviluppare una capacità difensiva in grado di garantire la sicurezza e l'inaccessibilità ai dati sensibili (dei governi e dei cittadini) per poter usufruire di una tecnologia rivoluzionaria. Fino ad ora questo non è stato fatto e a spiarci, come rivelato da Snowden, non sono state Russia o Cina ma gli Stati Uniti d'America.
Conclusioni
Questi sono i due punti di forza cinesi, ma la sfida non si gioca solo qui infatti essa è anche tecnologia, militare ed anche economica e finanziaria. Sul piano militare gli USA rimangono la prima potenza nonostante Russia e Cina abbiano rafforzato la cooperazione anche in campo militare. Ma non c'è solo la forza militare, si può colpire un paese non solo con le bombe ma anche innescando crisi finanziarie in grado di precipitare nel caos un intero popolo. Il pensiero va alla crisi della Grecia, quando prima del referendum anti-austerity la BCE bloccò l'acquisto dei titoli di Stato greci, non è semplice governare un paese in cui i bancomat smettono di erogare denaro.
Nel quadro di questo scontro finanziario un capitolo a parte lo merita il tema del dollaro come moneta di riserva mondiale, un tema che portò l'ex Presidente cinese Hu Jintao ad affermare che 'l'attuale sistema valutario è un prodotto del passato[16]'. La Cina sostiene la necessità di sostituire il dollaro con un paniere di monete, da questo punto di vista l'ingresso dello Yuan nei Diritti Speciali di Prelievo (lo strumento usato dal FMI per regolare i conti fra gli Stati) è un primo passo in questa direzione. È una battaglia questa in cui la Cina non è isolata, se l'appoggio russo parrebbe scontato anche paesi allineati a Washington potrebbero sentirsi maggiormente a proprio agio in un mondo de-dollarizzato.
La sfida che la RPC ha di fronte sono sia interne che estere, in quest'ultimo campo il tema è quello della pace che può essere garantita solo in un mondo multipolare. In passato in Occidente in molti sostenevano che la Cina si fosse convertita definitivamente al capitalismo, oggi gli stessi hanno repentinamente cambiato idea e la Cina è diventata un nemico perché non è capitalista e liberale. L'unico punto in contatto fra le due posizione è l'ignoranza, non aver capito nulla della Cina né prima né dopo. La realtà è un'altra per la Cina e per la costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi il ruolo del Partito è fondamentale, il 1917 ha aperto la strada alla Rivoluzione cinese ma, a differenza di quello che accadde in URSS nel 1991, di fronte all'apertura economica il PCC è in grado di tenere dritta la barra politica. Non è un caso se nei 'quattro comprensivi', le innovazioni che la generazione di Xi Jinping lascerà in eredità alla Cina, è ricompresa una rigida disciplina di Partito.
Note
[1]Canfora, Luciano; Pensare la Rivoluzione Russa, Stilo Editrice, Modugno (Ba), 2017, pag. 102-103
[2]Stalin I., Lo Stato socialista secondo il marxismo, Rinascita, ottobre 1947
[3]Roberts John A.G., Storia della Cina, il Mulino, Bologna, 2007, pag. 109.
[4]Bergère Marie-Claire, La Cina dal 1949 ai giorni nostri, il Mulino, Bologna, 2010, pag. 234
[5]Giacché Vladimiro (a cura di), Economia della rivoluzione, il Saggiatore, Milano 2017, pag. 90-91
[6]Liu Qibao, Liu Qibao's speech at the Symposium on the October Revolution and Socialism with Chinese Characteristics, http://www.scio.gov.cn/32618/Document/1565639/1565639.htm.
[7]Mario Sabattini, Paolo Santangelo, Storia della Cina, Editori Laterza, Bari, 2010, pag. 641.
[8]Musu Ignazio, La Cina contemporanea, il Mulino, Bologna, 2011, pag. 50.
[9]Napoleoni Loretta, Monomics. L'amara medicina cinese contro gli scandali della nostra economia, Rizzoli, Milano, 2021, pag. 104.
[10]Zhang Yonghe, La Cina e la protezione dei diritti umani. Sforzo e impegno sinergico per un XXI secolo dei diritti, Anteo Edizioni, Cavriago (Re), 2021, pag. 13.
[11]Official Warns Party Against Copying Soviet CP Practices, CHINA DIGITAL TIMES, 9 giugno 2014
[12]Cavalieri Renzo, Franceschini Ivan, Germogli di società civile in Cina, Francesco Brioschi Editore, Milano, 2010, pag. 87.
[13]Bronzo Aldo, Le ombre del drago. Storia critica del comunismo in Cina, dalle origini ai giorni nostri, Red Star Press, Roma, pag. 805
[14]Selden, Mark, Wu Jieh-min; The Chinese State, Incomplete Proletarianization and Structures of Inequality in Two Epochs; The Asia Pacific Journal; February 2011.
[15]Galofaro Francesco, La multa della UE a Google e la guerra per la supremazia digitale. Considerazioni sulla sovranità algoritmica, http://www.marx21.it/index.php/internazionale/europa/29176-la-multa-della-ue-a-google-e-la-guerra-per-la-supremazia-digitale-considerazioni-sulla-sovranita-algoritmica
[16]Platero, Mario; Hu: il dollaro al tramonto; il sole 24 ore, 18 gennaio 2011
Marco Pondrelli, scrittore, e autore di Continente eurasiatico. Tra nuova guerra fredda e prospettive di integrazione da poco uscito, è presente con l' articolo che qui pubblichiamo nel libro collettivo “La Cina e il leninismo del Ventunesimo secolo” con contributi di F. Giannini, A. Pascale, M. Pondrelli, D. Burgio, M. Leoni e R. Sidoli, e si può trovare per intero su Mondorosso .