La parabola dell'asino che vola

Le tesi mainstream sulla COVID fanno acqua da tutte le parti, ma le modalità così opprimenti della comunicazione pubblica tendono a ottundere ogni capacità di critica autonoma. Il potere  illimitato di chi detiene il controllo dei media di imporre la propria versione della realtà anche contro ogni logica.

asino2La data del 2 giugno, festa della Repubblica, segna anche simbolicamente una discontinuità.

Quel giorno, a Bologna, un gran numero di ragazzi 18-30enni si sono presentati al cosiddetto “Open day”, cioè a un centro di vaccinazione nel quale non è richiesta prenotazione, dando luogo addirittura a tafferugli, apparentemente per ottenere prima degli altri ciò che evidentemente considerano un privilegio, l’essere vaccinati.

Eppure, obiettivamente un diciottenne vaccinandosi, si espone solo a rischi non trascurabili, che comunemente vengono quantificati in 36 casi letali o gravi dovuti al vaccino su centomila vaccinati, un numero che sarebbe un errore considerare trascurabile, soprattutto se rapportato al rischio di danni diretti da COVID, visto che per quella fascia d’età a meno di soffrire di patologie pregresse, esso è praticamente nullo.

Come è ovvio, quei giovani andavano a vaccinarsi non perché pensassero di ottenerne vantaggi sul piano strettamente sanitario, ma perché accettando la somministrazione, conquistavano la via maestra per ottenere il cosiddetto “green pass”, la cui funzione ed utilità è ben lungi dall’essere stata chiarita adeguatamente.

In sostanza, nelle loro menti, la realtà si era ridotta a due sole alternative, o ottenere il green pass tanto pubblicizzato come mezzo per non incorrere in divieti collegati alla COVID-19, o dovervi rinunciare.

Questa incapacità di usare un approccio appena più complesso che facesse i conti con i potenziali vantaggi e svantaggi tra le due alternative, o addirittura fosse in grado di formulare altre possibili alternative costituisce senza dubbio un segno caratteristico di questi tempi che viviamo, ed è frutto di un martellamento mediatico nell’intero occidente senza precedenti, con la conseguenza di paralizzare così ogni possibile dibattito pubblico secondo quelle normali regole di minima coerenza logica che ci imponiamo quando interloquiamo con chi ci sta attorno. Tutto ciò è avvenuto in un tempo straordinariamente breve, sottolineando quanto lo sviluppo tecnologico influenzi le nostre vite e segnatamente le modalità di comunicazione fino al punto di un potere che riesce a monopolizzarla.

Sono convinto che oggi il martellamento mediatico, unito a vari stratagemmi abilmente messi a punto, sia in grado di imporre a livello del grande pubblico verità preconfezionate, indipendentemente da quanto inverosimili esse possano apparire.

Proprio dal 2 giugno 2021, faccio partire questa fase storica di una comunicazione monopolizzata che per imporsi, non bada per niente agli aspetti di coerenza logica, ormai certa che il martellamento, la ripetizione continua unita a stratagemmi vari garantiscano da soli il condizionamento totale della vasta maggioranza della popolazione.

Ho definito questa fase storica quella dell’asino che vola, riferendomi così a un gioco per bambini in età prescolare, in cui l’adulto chiede al bambino se un dato animale vola o non vola, inducendolo prima o poi in errore, soprattutto velocizzando il gioco tanto da mettere in crisi la sua prontezza di riflessi. Un bambino sa bene che l’asino non vola, ma finisce col confondersi se non ha un minimo tempo per rifletterci su.

Analogamente, la gente saprebbe bene che le tesi mainstream sulla COVID fanno acqua da tutte le parti, ma le modalità così opprimenti della comunicazione pubblica tendono a ottundere ogni capacità di critica autonoma.

Siamo quindi dal 2 giugno 2021 nella fase dell’asino che vola, cioè del potere praticamente illimitato di chi detiene il controllo dei media di imporre la propria versione della realtà anche contro ogni logica, il che comporta la tragica conseguenza che la logica scompare dal dibattito pubblico, domina l’unico criterio della potenza, di chi ha il privilegio di potere ripetutamente ogni giorno diffondere la propria tesi.

Basti per tutti, citare i giudizi sulla campagna di vaccinazione a tappeto. Ci hanno ripetutamente detto che le esperienze dell’UK e di Israele, paesi che hanno messo un particolare impegno nel velocizzare la vaccinazione, avrebbero portato l’evidenza del ruolo decisivo che tale somministrazione avrà sul superamento della COVID.

Ebbene, oggi si dimostra come quei paesi hanno fatto un clamoroso flop, ma ciò non induce alcuna riflessione o ripensamento sulla strategia intrapresa, finendo addirittura col giustificare tutto sulla sfortunata comparsa della variante delta, quando già da un anno era chiaro a tanti, me compreso, come documentabile dal mio E-book, che essendo molto alta la mutabilità dei coronavirus, era ovvio considerare la vaccinazione a tappeto come una strategia non solo errata, ma addirittura assurda.

In generale, la scelta dell’OMS di puntare sulla strategia contagio-centrica piuttosto che su una strategia cura-centrica, dopo un anno e mezzo risulta inequivocabilmente tragicamente errata, ma costoro seguitano a bacchettare a destra e manca come se invece di essere sul banco degli imputati come oggettivamente è, sedessero sullo scranno dei giudici, cioè pretendendo di non potere essere giudicati, quando invece, anche se si trattasse solo d’un tragico errore, il crimine sarebbe comunque immenso per le sue conseguenze tragiche, protrattesi perversamente per un lasso di tempo così lungo.

Siamo quindi ormai in pieno totalitarismo, la Costituzione così tanto osannata in occasione del referendum del 2016, è divenuta carta straccia, sospesa e violata nei modi più diversi di fronte all’indifferenza generale, fin da parte di colui che come compito istituzionale avrebbe proprio la sua difesa. Si tratta di una forma inedita di totalitarismo che in virtù dei progressi tecnologici, consente una pressione sul settore dell’informazione così forte da scacciare via ogni capacità di riflessione critica.

Sottolineo che sto usando il presente, non dico che rischiamo di finire in un regime totalitario, ma dico che ci siamo già dentro, che insomma siamo già oltre il day-after. La metaforica valanga che in tanti post ho riproposto per spiegare il meccanismo che ha permesso a un programma autoritario lanciato da persone molto potenti di essere attuto con pieno successo continua ad essere alimentata dando via al processo di una sua puntuale definizione. Seppure sarebbe da dementi pensare di fermare la valanga offrendo eroicamente il proprio petto alla causa, ciò non implica, come alcuni dicono in questa fase, prendere atto della sconfitta e smettere quindi di partecipare attivamente alla lotta politica, per il semplice fatto che la valanga non smetterà di tentare di travolgere alcuno sol perché ha alzato le mani come forse si fa nei videogiochi: nella realtà chi lancia un piano totalitario come questo vuole anche te e non accetta certo tregue. Restando quindi in questa metafora, capire come sfuggire lateralmente alla valanga salvandosi dai suoi effetti disastrosi costituisce in tutto e per tutto un impegno politico. Si apre insomma una fase di resistenza, le cui modalità sono tutte ancora da definire, e verosimilmente ben diverse da quelle tramandateci dai casi a noi storicamente più prossimi, come l’occupazione nazista durante la seconda guerra mondiale, visto come la tecnologia ha cambiato profondamente le modalità di funzionamento della società.

Leggendo tra le pagine dei miei amici fb, ho notato qua e là come una forma di scoramento nel dovere prendere atto della impossibilità di affidare ai social qualsiasi funzione nella politica praticata. Come ho già detto in altri post, c’è un problema proprio del mezzo, appositamente finalizzato per renderlo “a scadenza”, tanto che anche il giorno dopo averlo pubblicato, un post può apparire del tutto obsoleto. D’altra parte, questa stessa labilità del mezzo, finisce col determinare o col contribuire a determinarne un altro aspetto negativo del mezzo, cioè la sua totale dipendenza dai media tradizionali nel fissare l’agenda. Ho ripetutamente osservato che è sufficiente che in un giorno si verifichi una novità di media importanza perché tutto ciò che si discuteva il giorno precedente non raccogliesse più alcun interesse nei miei lettori. Se la TV lancia una notizia in grado di generare qualche forma di attrazione sulla gente, gli utenti fb pretendono di parlare di questo dimenticando quanto pure sembrava tanto interessarli il giorno precedente.

Il risultato è che sui social non resta traccia alcuna di eventi anche relativamente prossimi nel tempo, cosa che tra l’altro mi ha incoraggiato a scrivere l’E-book per tamponare questa amnesia di massa, e contemporaneamente l’agenda degli argomenti la fissano i media, e stabilire di cosa si parla è ben più importante del modo in cui se ne parla. Insomma, senza media, i social collasserebbero rapidamente. I media in effetti trainano la discussione sui social, la alimentano perché nella quasi totalità dei casi, non v’è nulla di realmente incisivo in ciò che qui scriviamo, anche la politica può assumere la forma del ”io esisto” in maniera analoga a coloro che mandano ogni mattina un saluto agli amici, accompagnato dalla foto di un gattino.

Ribadite le considerazioni che dovrebbero convincere tutti di quanto sia vano fare affidamento anche in misura parziale su fb, visto che le censure poi ormai fioccano come neve e non sappiamo che forma di escalation i potenti abbiano intenzione di portare avanti, dobbiamo oggi prendere atto di altri fattori non specifici di fb e che solo oggi appaiono evidenti.

Un primo fattore è costituito dalla pretesa di molti di coloro che scrivono su fb che il non bersi la versione ufficiale sulla COVID-19 costituisca un elemento di aggregazione. Secondo costoro, il dissenso verso le tesi ufficiali prefigurerebbe l’esistenza di un fronte di opposizione.

So che non mi attirerà simpatie in chi mi legge, ma vi confesso che per costruire una entità politica collettiva ci vuole ben più dello scambiarsi dei “like”, dell’apprezzare l’abilità dell’amico nell’esprimersi, del riscontrare l’un l’altro numerosi punti di consenso. Una forza politica si costruisce attorno a una precisa strategia condivisa e quindi alla presenza di una direzione strategica. Vi confesso che trovo questo variegatissimo fronte del dissenso in cui tutti noi ci troviamo anarchico e apparentemente non disciplinabile, visto che se siamo sinceri con noi stessi si scrive su fb per motivi ludici, ognuno con una propria nicchia.

Chi ha competenze mediche, si occupa delle questioni più specificatamente sanitarie, c’è poi chi usa le proprie competenze in economia per approfondire questo aspetto, chi si specializza in filmati e chi in vignette umoristiche, Tutto ciò andrebbe benissimo se poi questi contributi così variegati convergessero verso una strategia, ma a me sembra che ogni post sia una storia a sé stante, ricominciando col post successivo in pieno stile fb. C’è chi sforna tabelle e grafici a tempesta, e questa proliferazione di dati finisce per apparire come una forma di insicurezza. Noi non dobbiamo credere alla versione ufficiale accumulando un enorme numero di evidenze opposte, dobbiamo farlo una volta per tutte perché non potremmo stare bene con noi stessi se accettassimo la palese violazione di quelle regole di coerenza logica che abbiamo scelto nella nostra vita. Sfornare dati a getto continuo può invece servire per il proselitismo, ma senza che ci sia una direzione strategica occuparsi del proselitismo sarebbe come il classico mettere il carro davanti ai buoi.

Da quando circa dieci anni fa, ho tentato di riprendere una vera e propria attività politica, ho dovuto mio malgrado constatare come il mio tentativo di suscitare un dibattito politico anche aspro, perché la politica non può che essere aspra e, senza scontrarsi, non si può neanche mettersi d’accordo, è chiaramente fallito. Sembrano ovvietà, ma nella realtà per chi gode dell’appoggio di anche soltanto tre seguaci, la preoccupazione principale sta nel non perderne nessuno e anzi conquistarne qualcuno a colui che pure si presenta come un interlocutore e non certo come avversario. I personalismi dominano la scena e io li condanno non tanto sul piano strettamente etico, quanto per la loro inefficacia. Ci tieni tanto a essere tu il leader? Il tuo primo dovere è riuscirci in un lasso di tempo ragionevole, e sennò l’esserti costruito una tua nicchia per quanto microscopica, si traduce nei fatti nello stabilizzare la politica corrente, non certo nel combatterla. In verità, i tentativi di questi gruppuscoli del dissenso sono tragicamente ridicoli, visto che nessuno di costoro capisce che anche gli altri nutrono ambizioni analoghe alle sue, ma se guardiamo le cose dal punto di vista dell’occupare fermamente una nicchia politica, allora tutto sommato gli altri capetti sono alleati, tutti concordi nello scaricare continuamente macerie sull’unica strada disponibile, così da non potere essere privati dei loro meschini interessi da chi volesse utilizzare la strada per intraprendere nuovi percorsi politici.

Insomma, ovunque ho rivolto i miei tentativi sono stato giudicato un rompiscatole, contro il quale magari non si riesce ad argomentare adeguatamente, ma che alla fine si zittisce con la pura e semplice censura.

In queste condizioni, ipotizzare che sia possibile costruire un’impresa collettiva tale da poter fronteggiare i padroni del mondo, più che una forma di illusione, appare come una forma di demenza. Al momento, direi che su fb ho stabilito dei contatti con persone intellettualmente stimolanti, ma quasi del tutto prive di quella determinazione necessaria a costruire prima di tutto quel nucleo di ferro in cui la lealtà tra i partecipanti occupi il primo posto.

Per evitare equivoci, io apprezzo a volte davvero tanto i singoli contributi, ciò che qui criticavo sta nello scambiare queste abilità che pure ci confortano in tempi così bui, per contributi a un’aggregazione che deve cominciare dalla testa, cioè dalla strategia che magari ritraendosi nella tattica, consenta la crescita della forza politica. La strategia può non apparire, ma pensare di potersene privare è assurdo.

Riprendo qui la questione da dove nella prima parte ero partito, i media hanno subito un tale miglioramento tecnologico da indurre rapide trasformazioni in ciò che chiamerò “gestione del linguaggio”. Non mi posso addentrare in un argomento che coinvolge aspetti filosofici molto interessanti ma anche molto complessi. Citerò solo Gadamer, il filosofo dell’ermeneutica, che ci ricorda come il linguaggio si apprenda dalla madre e quindi dalla società e con il linguaggio apprendiamo anche i pregiudizi, termine comunemente usato in senso dispregiativo, ma non da Gadamer che anzi sottolinea l’impossibilità di non averne. I pregiudizi funzionano come una forma di tradizione che non ingabbia il linguaggio a un suo certo stadio di sviluppo storico, permettendone una sua evoluzione, visto che il linguaggio è una cosa viva, ma nello stesso tempo ci assicura di potere comunicare tra di noi, cosa impossibile se ogni parlante decidesse di testa sua di modificarlo secondo i suoi personali convincimenti.

Ebbene, di tutti gli uomini, ce ne sono alcuni potenti che, con mezzi finanziari praticamente illimitati, questo arbitrio di forzare il linguaggio secondo i loro interessi l’hanno acquisito attraverso l’uso della potenza, cioè il dispiegarsi della pervasività dei loro messaggi che colpiscono il pubblico similmente a come una scarica di frecce colpiva in battaglia i nemici quando le armi da fuoco non erano ancora disponibili.

Ho fatto questa lunga premessa per chiarire che la coerenza logica non è qualcosa che possa essere definita in assoluto, i criteri di coerenza logica si evolvono assieme all’evoluzione dell’intero linguaggio. Ciò che sta avvenendo non è l’istupidirsi della gente, ma il perdere ogni forma di memoria, pronti a considerare sbagliato ciò che essi solo il giorno prima consideravano giusto. Ciò che mi colpisce è quanto velocemente possa avvenire questa riconversione quando ci sia una volontà e una potenza adeguata al compito.

Il punto è che questo processo così rapido mette fuori gioco la pretesa illuministica che la ragione e la verità infine trionferanno, la fiducia nel dialogo che ovviamente ha bisogno della condivisione di un linguaggio minimamente sedimentatosi, mentre così i potenti possono facilmente alterare il significato di ciò che sostengo addirittura da un giorno all’altro.

Potremmo usare la metafora di un luogo in cui una macchina nel suo funzionamento crei un rumore assordante: avrebbe senso rivolgere la parola a un tuo vicino quando sei certo che egli non potrà in nessun caso udirti?

Questo è appunto quel secondo fattore che citavo prima: non solo abbiamo un potere che pretende di dettarci minute istruzioni su qualsiasi atto della nostra vita, ma che, al fine di rimuovere ogni forma di opposizione, cambia perfino mezzo e modalità di comunicazione, un tapis roulant su cui anche un semplice salto finisce per costituire un’acrobazia.

Vi deluderò, ma infine ho esaurito la fiducia nel confronto razionale in cui sono vissuto sin dai tempi del liceo, questi tempi dell’asino che vola mi danno evidenza che alla potenza non serve tentare di opporre la logica, e su questi criteri riorienterò il mio ruolo su fb, prima di tutto rimuovendo commenti che contraddicono in modo generico la mia tesi, riproponendo sempre le stesse obiezioni, e ridurrò l’impegno nel sottolineare questi passaggi linguistici e logici.

Concentriamoci sul fare, a partire dalla difesa delle nostre stesse persone, non sprechiamo risorse in uno sforzo immane, la politica non si ferma certo quando qualcuno decide di scendere dalla giostra, quando i nazisti andavano a prendere gli ebrei, non c’era bandiera bianca che tenesse, se tu pensi di allontanarti dalla politica stai certo che essa ti stanerà ovunque senza riguardo al fatto che tu sia sfiduciato o stanco. In fondo è la legge fondamentale che guida gli esseri viventi, la vita come una continua battaglia.

 

vincenzo cucinottaVincenzo Cucinotta, professore emerito di Chimica Analitica dell’Università degli Studi di Catania è autore di decine di articoli scientifici pubblicati su riviste internazionali, e coautore di testi di didattica chimica. Molto apprezzato nel mondo della scienza per la sua opera di ricercatore, è stato riconosciuto con le sue conferenze plenarie, come protagonista di spicco in diversi congressi scientifici internazionali. Il suo impegno politico lo rivela nel suo libro dal titolo significativo - “L’ideologia verde. La rivoluzione necessaria” - nel quale l'autore chiarisce come il suo “pensiero si iscrive nel pensiero ambientalista”. Recentemente, ha pubblicato, “Anno primo dell’era COVID. Uno sguardo implacabile dai social”, in formato Kindle.

 

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