L'Italia con le sue meraviglie ma senza «la rettitudine tedesca»
Così sentenziò Goethe a conclusione (1790) della sua seconda visita a Venezia. E' sconsolato e disilluso da quando ha scoperto che nella Terra della bellezza che tanto ama i viaggiatori rischiano di essere derubati e anche assassinati come toccò a Johann Joachim Winckelmann storico dell'arte e archeologo che il papa nominò sovrintendente alle antichità di Roma, e che morì a Trieste accoltellato.
Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn? Il celeberrimo verso di Goethe esprime l'intensa passione del grande intellettuale tedesco per l'Italia, il paese, appunto, dove fioriscono i limoni. E dove, prosegue il poeta, “le arance d'oro brillano nel fogliame scuro e un vento lieve spira dal cielo azzurro”. Ovviamente non è tutto, l'infatuazione di Goethe non riguarda soltanto la natura ma si estende alla cultura, anzi i due elementi s'intrecciano nel suo giudizio: materia e pensiero, corpo e spirito. Lo stesso paese che offre giardini d'incanto ai piaceri della vista è il depositario di una straordinaria tradizione culturale, non soltanto i limoni vi fioriscono ma anche i lasciti di una storia affascinante: le meravigliose testimonianze artistiche, l'ineguagliabile patrimonio monumentale, le eloquenti rovine.
Imbevuto di studi classici, ansioso di verificarli sul campo, eccolo finalmente superare le Alpi. É l'inizio di settembre del 1786, ha trentasette anni e viaggia in incognito: nel passaporto che esibisce ai passaggi di frontiera non c'è scritto Johann Wolfgang von Goethe ma Philipp Möller.
In una lettera al duca Carl August di Sassonia-Weimar-Eisenach spiega che varie circostanze lo inducono a non farsi conoscere e riconoscere, e confida nell'utilità di un viaggio “in apparenza stravagante”.
A Verona prova la prima grande emozione di fronte allo spettacolo dell'arena romana, poi vaga rapito fra le ville palladiane, ammira gli affreschi del Tiepolo, e finalmente arriva a Venezia in gondola lungo il Brenta.
Proprio qui vede per la prima volta il mare, nella città lagunare si trattiene quasi un mese assaporando le collezioni d'arte e il teatro goldoniano.
“A Napoli mi sembra di essere un altro... o ero pazzo prima di arrivarci o lo sono ora!”
Da Napoli va in Sicilia, dove si trattiene un mese affrontando i rischi e le scomodità di una terra non ancora attrezzata per ospitare viaggiatori. Ma ammira cose fantastiche, come il tempio dorico di Segesta e la valle dei templi ad Agrigento. Vede "la splendida" Palermo invasa dalla sporcizia e nota la differenza con Napoli, che invece ha trovato ben pulita. Descrive Taormina come il “massimo capolavoro dell'arte e della natura”. Vede Messina devastata dal terremoto di pochi anni prima. Poi s'imbarca per tornare a Napoli e rischia il naufragio a Capri a causa di una bonaccia che ha spinto la nave alla deriva verso gli scogli.
Goethe osserva attentamente i costumi degli italiani del sud, trova che “non lavorano per vivere ma per godere” e “anche quando lavorano vogliono essere in allegria”. Scrive che gli aristocratici e perfino gli ecclesiastici amano dissipare le loro risorse nello sfarzo. In qualche modo confermando il luogo comune, sostiene che il giudizio della gente del nord a proposito dei meridionali indolenti e fannulloni dovrebbe tener conto di un clima che assicura molto tempo da dedicare al riposo e ai piaceri.
Infine, dopo un nuovo lungo soggiorno a Roma, Goethe riprende la via di casa.
Si scoprirà presto quanto questa esperienza lo abbia cambiato. Basta considerare la sua evoluzione letteraria: lo scrittore prenderà le distanze dal pre-romantico Werther, il protagonista dei “Dolori” e nel grande romanzo della maturità, “Le affinità elettive”, sarà visibile l'impronta serena della tradizione classica che ha assimilato fra i templi della Magna Grecia e l'arte di Roma antica.
Il viaggio di Goethe s'inserisce in una consuetudine ormai radicata. Già da tempo la terra della bellezza, la sua storia e la sua cultura, esercitano sul mondo intellettuale tedesco un'attrazione magnetica. Basti pensare ad artisti come Anton Raphael Mengs, attivo a Roma fin dagli anni Quaranta del Settecento, che Johann Joachim Winckelmann riteneva il più grande pittore del tempo, e che s'ispirava ai maestri dell'arte italiana.
O lo stesso Winckelmann, storico dell'arte e archeologo che il papa nominò sovrintendente alle antichità, scientificamente ma anche emotivamente interessato alle maestose rovine di Roma, agli scavi di Ercolano e soprattutto ai templi di Paestum.
Durante il soggiorno a Roma Winckelmann è la guida di numerosi aristocratici tedeschi impegnati in quello che già si chiama Grand Tour, il viaggio di formazione e di iniziazione nei luoghi sacri alla storia del pensiero e dell'arte: ormai un obbligo per un giovane gentiluomo e soprattutto per un artista. L'assidua frequentazione delle antichità greche e italiane dà impulso al neoclassicismo, che supera le involute forme barocche riproponendo la pacata semplicità dell'arte antica.