Dal “diritto alla salute” all’obbligo della salute
Dove non era arrivata la minaccia globale del terrorismo islamico ci ha pensato un piccolo virus a creare quella grande paura che ci ha reso disposti, e disponibili, ad accettare tutto. La nuova tecnologia digitale, ha aspetti decisamente diversi da precedenti eventi storici passati: è arrivata velocemente imponendo un ritmo di accettazione e adeguamento estremamente accelerato.
Dopo ormai più di un anno dalla dichiarazione dello stato di emergenza pandemico che ha interessato gran parte del pianeta, seppur in modo decisamente diverso, soprattutto nel “Sud del mondo”, si fa più chiaro il nuovo corso che il sistema vuol dare agli eventi e alla nuova società che si appresta a predisporre.
È infatti giunto il momento di considerare gli eventi di cui siamo stati testimoni, nostro malgrado, in una prospettiva storica più ampia. Se i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia, a questo punto non importa quanto vera oppure simulata possa essere, per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro occhi in progressivo, inesorabile declino e non erano ormai più adeguati alle nuove esigenze.
Uno dei tratti distintivi del fascismo in Italia e in Germania era la sua insofferenza per gli scomodi vincoli imposti alla classe dirigente dalla democrazia e dal liberalismo politico. Tutto questo doveva essere spazzato via per consentire una guerra lampo di “modernizzazione” accelerata.
Vediamo lo stesso spirito rinascere negli appelli di Schwab per un “governo agile” in cui afferma che “il ritmo dello sviluppo tecnologico e una serie di caratteristiche delle tecnologie rendono inadeguati i precedenti cicli e processi decisionali”. Scrive: “L’idea di riformare i modelli di governance per far fronte alle nuove tecnologie non è nuova, ma l’urgenza di farlo è molto maggiore alla luce del potere delle tecnologie emergenti di oggi… il concetto di governance agile cerca di abbinare l’agilità, la fluidità , flessibilità e adattabilità delle tecnologie stesse e degli attori del settore privato che le adottano”.
Le strutture sociali quindi devono essere rimodellate o reinventate su precisi parametri tecnici in modo da adattarsi alle esigenze del sistema tecno-scientifico e soprattutto dei nuovi sviluppi delle tecnologie. Questo va oltre il mero aspetto economico potremmo dire della gestione perpetua del flusso economico creando praticamente un cartello globale sulle maggiori fonti di approvvigionamento, che possono essere terre rare, industria alimentare o Big data. L’aspetto più particolare di questa fase è la preparazione alla crisi ambientale, di cui quella climatica è solo un aspetto.
Così in pochissimo tempo, stiamo assistendo alla dissoluzione dei paradigmi delle democrazie, con il loro corollario di diritti, parlamenti e costituzioni. I diritti vengono demoliti non per scomparire per sempre, ma per far si che diventino altro e tanti nuovi diritti inediti si aggiungono a quelli che vanno persi, creando prima quel costrutto giuridico ed etico e poi mentale nel singolo individuo, per cui basta volere e desiderare per “essere” con tutta una scelta già tracciata altrove sul suo cammino, ma che sembra la cosa più libera che ci possa essere: scegliere tra le loro scelte. Tutto questo va verso la realizzazione di un nuovo assetto di cui appena se ne intravede il disegno, probabilmente non del tutto chiaro neanche a coloro che ne stanno tracciando le linee.
La particolarità del momento che andiamo ad affrontare non ha l’aspetto di una nuova tornata autoritaria legislativa, questa grande trasformazione come piace definirla agli incontri di Davos si basa su uno stato di eccezione, quindi su una sospensione delle garanzie costituzionali.
In questo senso ci viene in aiuto anche il paragone storico con la Germania nazista del 1933, dove senza abolire la costituzione di Weimar venne dichiarato uno stato di eccezione che durò per ben dodici anni che di fatto vanificò il dettato costituzionale apparentemente mantenuto in vigore. Se durante il nazismo, ma si potrebbero richiamare anche altre dittature, fu necessario il dispiegamento di un apparato ideologico che si richiamasse al nuovo totalitarismo, nel nostro presente siamo di fronte ad un terrore o terrorismo sanitario con al centro la salute e una nuova idea di responsabilità collettiva che fa gran presa sulla sinistra anche radicale. Il tutto come nuovo riferimento centrale dove sacrificare libertà se necessario o se richiesto e dove rinunciare al potere sul proprio corpo ridotto a simulacro in balia della manipolazione genetica di massa attraverso i nuovi “vaccini” che diventano un vero e proprio gesto altruistico, per i militanti di sinistra il pensiero reso azione.
In poco tempo si è passati dal “diritto alla salute” all’obbligo della salute su base globale, dove le persone sono stare spossessate delle libertà, quelle poche che restavano, di decidere su se stesse. Dove non era arrivata la minaccia globale del terrorismo islamico ci ha pensato un piccolo virus a creare quella grande paura che ci ha reso disposti, e disponibili, ad accettare tutto, anche l’inaccettabile, quello che in qualsiasi altro contesto avrebbe fatto rabbrividire e gridare alla dittatura e al peggior totalitarismo. La falsa logica è sempre la stessa: come di fronte al terrorismo si affermava che dovevamo sopprimere la libertà per difenderla, così ora si dice che dobbiamo sospendere la vita per proteggerla.
I tempi di adesso non sono quelli del nazismo ne tantomeno dell’11 Settembre, sono però sicuramente tempi in cui è stato possibile pianificare o approfittare di un virus raramente mortale, ma mediaticamente terrificante, per poter instaurare di fatto le basi per quel cambiamento. Ma questa grande trasformazione non è un qualcosa che ha trovato impreparati i suoi maggiori sviluppatori e interpreti, la ragione è molto semplice, sono anni che vi è un preciso lavoro in questa direzione, un lavoro su ogni aspetto della nostra esistenza.
Quello che vediamo dispiegarsi adesso, spesso in modo anche impreciso e confuso, è tutto ciò che era stipato dentro Università, centri di ricerca civili o militari, accademie, fondazioni, associazioni ambientaliste, ONG, Stati… Sono anni che alla richiesta di società immancabilmente venivano date risposte come incubatori di imprese e startup tecnologiche, che verso la povertà e la crescente disoccupazione venivano date soluzioni come la gentrificazione, che alla distruzione della natura se ne inaugurava una sintetica. Sono ormai qualche decennio che l’elemento bios (vita) non rientra nelle attenzioni di nessuna politica statale. La mera sopravvivenza è stato l’unico aspetto considerato, come per un animale in un contesto artificiale e di segregazione vengono considerati solo quei minimi parametri per cui questo possa vivere adattandosi ad un presente di follia. All’essere umano è chiesto anche di perpetuare questa follia, di generazione in generazione, mutando la realtà e adattandosi a condizioni sempre peggiori.
Milioni di persone, soprattutto nel “Nord” del mondo sono diventate ostaggio della propria salute, del mantenimento della propria salute. A ben vedere nessuna istituzione si sta occupando della salute, sia per curare il coronavirus o per altra malattia ben più grave. Quello a cui si assiste è la realizzazione senza sosta di un’infrastruttura digitale e sanitaria che vuole vedersi pronta prima che sfumi del tutto il motivo emergenziale per cui era stata pensata.
La nuova forma della relazione sociale è la continua connessione attraverso dispositivi sempre più pervasivi, che si avvicinano sempre di più al nostro corpo con l’obiettivo poi con il tempo di entrarci dentro, tutte le ricerche sui microchip e delle neuroscienze vanno in questa direzione. Sarebbe un gravissimo errore considerare in modo separato l’infrastruttura che stanno predisponendo intorno e dentro di noi. Già ci eravamo abituati con le relazioni a distanza con le comunicazioni virtuali. La distanza, l’aspetto sanitario e il digitale vanno insieme e si completano a vicenda, legandosi poi a tanti altri aspetti, ancora tutti non ben definiti. L’essere sconnessi non è semplicemente contemplato e condanna inesorabilmente all’esclusione sociale e alla marginalità, quello che già sta avvenendo ampiamente con le persone anziane, quando non vengono fatte morire direttamente di solitudine dentro le Rsa.
Siamo entrati ormai a pieno ritmo nel flusso dell’innovazione tecnologica digitale, ormai i concetti di presente e futuro si sposano in un’unica prospettiva di accelerazione globale. Il futuro è già qui scrivevamo in un articolo sul nostro giornale Terra Selvaggia svariati anni fa trattando le terapie geniche e la riproduzione artificiale, oggi siamo più che mai in questo futuro, ci viviamo nel pieno del suo sviluppo e della sua trasformazione: il domani è sempre più un oggi con cui doversi confrontare e fare i conti.
Prendiamo la protesi mobile dello smartphon diventata ormai un orpello inseparabile in ogni circostanza, di cui è impensabile separarsi, ci si addormenta con un tocco sullo schermo e ci si risveglia allo stesso modo. Il gioco ormai è fatto, il contesto è pronto per il nuovo salto. Tra non molto c’è da aspettarsi che questo orpello scompaia o meglio si dissolva e si integri nell’Internet delle cose: nel nuovo ambiente interattivo e comunicante. Realtà aumentata a portata di sguardo senza più quella separazione tra soggetto e strumento, ma per arrivare dove? In una nuova realtà dove, come ipotizza il fisico Michio Kaku, tra poco non utilizzeremo più il termine “computer”, perché non esisterà più niente intorno a noi che non sia un computer, ovvero che non disponga di quelle funzioni di comunicazione e interazione che ora cerchiamo in una macchina isolata dal resto, composta da un hardware e da vari software.
La miglioria nei confronti dello strumento-protesi non è più un mezzo per arrivare a sostenere l’umano con app e intelligenza artificiale, ma si è diretta verso il soggetto umano, per arrivare ad un unico organismo cibernetico in tutto e per tutto. La Grande trasformazione sarà allora l’interiorizzazione delle distanze e l’annientamento del corpo fisico dello strumento. Il mezzo digitale non avrà più bisogno di esistere perché avremo un mondo digitale in cui i corpi sono l’ambiente e l’ambiente sono i corpi in una sinergia che integra la nuova tecno-architettura smart. L’intelligenza artificiale con i suoi strumenti algoritmici va ad insediarsi in un nuovo ambiente da essa stessa realizzato in un interstizio che sta tra il percepibile e il non percepibile, tra il percepito e il non percepito, rendendo di fatto sempre più difficile accorgersi, sempre se ci sarà ancora qualcosa da cercare, dove e quanti strumenti sono connessi e stanno interagendo, in che modo con altri apparecchi o apparati disseminati ovunque nello spazio fisico.
L’Internet dei corpi comunicanti che già vuole essere definito dai fisici del “tutto” non si accontenterà infatti del singolo individuo e oggetto: la voracità dell’Intelligenza artificiale è senza limiti, niente dovrà sfuggire al suo controllo che poi non sarà altro che un controllo su base volontaria messo in atto dagli stessi individui, dando via ad un contesto tale che sconnettersi sarà considerato irresponsabile quando non decisamente folle. Siamo sempre più circondati e immersi in questo ambiente misto, che si confonde fino anche a sfumare tra il fisico e il virtuale, in cui tutto sconfina, si interseca, dialoga, apprende e si modifica, attraverso la connessione e lo scambio dei dati. L’ambiente si trasforma e anche noi ci trasformiamo alla ricerca di una nuova identità che sfuma e muta continuamente. Diventa sempre più difficile per noi esseri umani ritrovarci, arrivando a cercarci dove non ci troveremo mai se non al prezzo della perdita della nostra natura umana: nel mondo degli automi e delle macchine.
La nuova trasformazione tecnologica, in particolare quella digitale, ha aspetti decisamente diversi da precedenti eventi storici passati: è arrivata velocemente imponendo un ritmo di accettazione e adeguamento estremamente accelerato. Le innovazioni ma soprattutto le nuove disposizioni che si vanno dispiegando richiedono altrettanta velocità di apprendimento e addestramento. L’infrastruttura fatta di algoritmi e tecniche computazionali era già presente da decenni, ma era inservibile nei contesti passati se paragonati all’attuale situazione di emergenza che ha dato possibilità ineguagliabili al suo sviluppo nutrendo senza sosta in modo quasi illimitato l’enorme appetito di dati dell’Intelligenza artificiale. L’attuale situazione di emergenza l’ha così resa finalmente grande e potente per diventare l’elemento costituente del nuovo tecnomondo, tanto da indirizzarsi sempre più verso funzioni di percezione e predizione, aspetti che prima erano esclusivamente alla portata della natura umana.
Le cosiddette DAP, data management platform, le piattaforme di gestione dei dati, sono ormai l’equivalente contemporaneo dei pozzi di petrolio e delle raffinerie. Estraggono il materiale “grezzo”, lo elaborano secondo scopi precisi, secondo strategie progettuali ed economiche e lo trasformano abilmente nel carburante di questo millennio. Nella gestione dei dati raccolti a fini commerciali vengono associate informazioni da un unico identificativo ID, corrispondente ad un’unica persona, arrivando quindi a raggiungere ogni singolo individuo senza margine di errore. In mezzo alla dissoluzione dell’individuo libero mai come adesso macchina propagandistica urla a favore del singolo con la sua cura personalizzata e il suo preciso spazio tracciato. Tu conti scrivono rivolgendosi in modo accattivante al singolo, che gli sembra di essere parte di un qualcosa, ma la traduzione è: tu non puoi sfuggire ai nostri imperativi, a quello che è stato scelto come la cosa giusta e responsabile. All’interno di questo ambito, determinato da parametri analizzabili e sintetizzabili in virtù della loro essenza digitale, si muoverà la nuova trasformazione del mondo che andrà a toccare e stravolgere praticamente ogni aspetto che da ora in poi sarà misurabile restituendoci un piatto orizzonte programmabile.
La Task Force IA dell’Agenzia per l’Italia digitale ha rilasciato recentemente un “libro bianco sull’Intelligenza artificiale al servizio del cittadino”, un rapporto ufficiale stilato durante un confronto tra soggetti pubblici e privati, con il fine di “analizzare l’impatto dell’Intelligenza artificiale nella nostra società. Nella voce “La sfida tecnologica” si esprimono in questo modo: “si tratta di umanizzare ancora di più le macchine e renderle ancora più simili all’uomo. Questo perché le IA non devono comportarsi come “alieni” all’interno del nostro mondo, ma devono imparare (machine learning) a farne parte, ad essere degli strumenti d’ausilio che si inseriscano con naturalezza nel campo dell’attività umana”. Chissà quanto sinceri sono stati gli estensori di questo rapporto, considerato che sta avvenendo completamente l’opposto, è infatti l’essere umano che deve continuamente adattarsi o addestrarsi ai nuovi cambiamenti e ultimamente ai salti tecnologici.
Senza connessione ultraveloce non sarà più possibile studiare, ricercare, brevettare, progettare e realizzare ci dicono, senza citare mai altre esigenze o qualità umane destinate alla prossima dissoluzione. In questo, come in altri rapporti simili, si analizza l’impatto del cambiamento, che l’Elitè ha deciso come non più rimandabile e irreversibile. Non “tecnologie dolci” obbligatorie a controllo statale come piacerebbero alla Zuboff, ma un adattamento su base volontaria al mondo macchina con senso di responsabilità collettiva.
Ma non tutto è sempre e così fluido come auspicano i nuovi padroni universali e allora ecco in campo il continuo studio predittivo su cosa potrebbe succedere durante la demolizione che operano su tante idee che ci hanno accompagnato fino adesso: ecco allora il lavoro certosino volto a far cambiare punto di vista, abitudini, linea di pensiero, stile di vita, orientandoci di volta in volta secondo nuove conoscenze che le rilevazioni digitali disporranno come fondamentali alla nostra esistenza, sia questo un problema di sicurezza, di salute o altro. Come ha scritto uno dei padri della telefonia mobile italiana “Al punto in cui ci troviamo adesso, con questo incessante ribollire di tecnologie che ci brucia tra le mani, il balzo in avanti da compiere (il passaggio più importante, che sarà fondativo per i prossimi decenni, e forse anche per gli anni che li seguiranno) è quello della ‘costruzione del senso attorno all’intelligenza artificiale’”. Cosa potrebbe intendere questo pioniere del digitale con “senso”? Sicuramente che le nuove tecnologie se si vuole che non vengano rigettate o accese come quasi gli sembra di sentire tra le mani, necessitano di un nuovo mondo. Per questo La grande trasformazione è arrivata al momento giusto, dando il via alla nuova agenda mondiale.
Questa enorme sperimentazione globale è ancora in corso e vede l’Italia come sempre un riferimento fondamentale, potremmo definirla il laboratorio di punta della sperimentazione. Al tempo del Covid il mercato non si è minimamente fermato, soprattutto quello che è fatto per durare e per essere parte nella trasformazione. A essere intercettate e reificate adesso sono anche le emozioni del consumatore digitale, che nella nuova era che si apre coincidono sempre di più con paura e angoscia, tanto da far aumentare a dismisura l’uso di psicofarmaci per lenire ansia e depressione. E se gli ospedali sono restati quello che erano prima dell’”emergenza Covid”, a parte la segnaletica emergenzialistica, non si può dire la stessa cosa per i reparti psichiatrici che sono stati invece potenziati praticamente ovunque, si aspettano TSO di massa?
Con forza, ma senza esagerare, i consumatori di prima sono stati spinti sul WEB dove non solo acquistano, ma anche trasferiscono gran parte di sé stessi nella rete: per lavoro, riunioni, sport, telemedicina, politica, protestare, informarsi o semplicemente come nuovo strumento di rete sociale. Anche prima con i Social avevamo fenomeni di questo tipo, con un numero impressionante di connessi in grado di non fare niente senza l’uso della protesi mobile dello smartphon, ma adesso, oltre all’aumento vertiginoso dei connessi, è come se il digitale diffuso abbia sdoganato un nuovo modo di essere, tanto che, come del resto era prevedibile, dopo il distanziamento imposto non pochi continueranno a mantenerlo, in una parola facendolo proprio. In questa nuova dimensione digitale prevale un disagio emotivo, contrassegnato da una forte paura per la propria salute e per quella dei propri cari e per il proprio futuro sempre più precario almeno che non si lavori in qualche Sturt Toup innovativa. In questa apparente diversità di emozioni, sentimenti e comportamenti che in qualche misura poi convergono uniformandosi, si va a plasmare un individuo nuovo, perennemente connesso e sotto pressione da una minaccia globale pandemica, a cui col tempo crederà sempre meno, ma a cui non resterà altro in cui credere, considerato che tutta l’infrastruttura provvisoria emergenziale è fatta per restare in modo permanente.
Esistono già frotte di ricercatori e app spione che raccolgono un numero impressionante di dati praticamente su tutto per capire come reagisce l’elemento umano alla trasformazione. Tutte queste informazioni possono andare a fini commerciali, ma soprattutto protendono verso l’adeguamento dell’infrastruttura cibernetica, in cui i protagonisti possono essere una multinazionale o uno Stato o addirittura entrambi. In una regione come la Lombardia dove i dati sanitari di tutte le persone sono stati dati all’IBM chi è che ha più voce in capitolo sull’organizzazione del sistema sanitario?
L’analisi di questi aspetti sarà utile a capire come costoro intendono formare e gestire la prossima normalità. Tornando al settore sanitario questo si sta uniformando alla digitalizzazione, a breve si taglierà il nastro al primo ospedale interattivo che funziona solo con il 5G. La telemedicina allontana le persone dal confronto diretto sulla salute del proprio corpo, lasciandola ad una fredda voce che sarà a breve registrata o sostenuta da app di Intelligenza artificiale che serviranno a rendere veloce e pratico il servizio. Questo non ci porta a rimpiangere l’inconsistenza della medicina di base, erosa già da molto tempo, ma ci illumina sull’approccio che si appresta ad escludere moltissime persone, in primis gli anziani o chi semplicemente pensava di vivere in un modo altro.
L’ottimismo di chi lavora alla grande trasformazione non viene mai meno, perché le grandi banche d’affari, le multinazionali della tecnologia e le piattaforme digitali ormai lavorano per un bene collettivo sovranazionale, che porterà secondo e loro previsioni a nuove forme di democrazia mai sperimentate prima con nuove forme di partecipazione alla politica da parte dei cittadini.
L’ingegnere economista svizzero Klaus Schwab fondatore e presidente del WEF (World Economic forum) di Davos, forum che raggruppa le prime 1000 aziende mondiali di punta, afferma “Mentre il mondo fisico, digitale e biologico continuano a convergere, le nuove tecnologie e piattaforme consentiranno sempre più ai cittadini di interagire con i governi, esprimere le loro opinioni, coordinare i loro sforzi e persino eludere la supervisione delle autorità pubbliche. Allo stesso tempo, i governi acquisiranno nuovi poteri tecnologici per aumentare il loro controllo sulle popolazioni, sulla base di sistemi di sorveglianza pervasivi e la capacità di controllare le infrastrutture digitali”.
Chi sta cercando di attuare questo progetto di dominio e inganno sta privando gli esseri umani non solo della libertà, del buon senso, dello spirito critico, ma anche del conforto e della speranza che la vita collettiva ci fornisce. Attraverso acrobazie lessicali l’ingegnere svizzero è molto chiaro sul programma da adottare, dove avremo Stati che eserciteranno il loro potere e controllo attraverso la tecnologia, garantendo l’ordine attraverso le grandi multinazionali, veri protagonisti negli incontri di Davos, il tutto di concerto con attori sovranazionali che faranno da raccordo tra gli Stati.
Una condizione sperimentale è un campo in cui tutto può ancora succedere, sorprendendo anche gli artefici dell’esperimento stesso. Su una cosa ormai si può essere certi, è evidente il cambiamento degli stili di vita delle persone sottoposte ad ogni tipo di restrizione volta al distanziamento o meglio alla separazione, perché ci si distanzia da un altro mascherato, ma ci si separa invece da una persona priva di maschera e nel tempo non vaccinata, causando di fatto una frattura sociale dove l’arrivo della carta verde sarà solo una formalità.
In molti continuano a mantenere un’analisi errata della realtà perché utilizzano schemi interpretativi non più adatti all’odierna trasformazione. Si pensa per esempio che i prolungati lockdown saranno una specie di zappa sui piedi per l’economia e che col tempo la situazione sarà insostenibile. Questo potrebbe essere vero in caso di una allargata e radicale opposizione popolare, allora ovviamente il potere rivedrebbe i propri passaggi cercando il modo migliore per farli digerire. Nel caso italiano l’opposizione non solo è molto blanda, ma spesso è solo espressione di singole categorie economiche o viene solo criticata le trascuratezza sui pericoli per la salute, per esempio sulle terapie geniche chiamate vaccini richiamandosi ad una libertà di scelta, quest’ultima un po’ una contraddizione in termini se si accusa quell’apparato di distribuire sieri geneticamente modificati e mortiferi.
Di fatto vi è un modo di ragionare come se il tutto si muovesse soltanto nella sfera dei mercati, i “vaccini” sono nocivi perché non testati e il possesso dei brevetti non permetterebbe una diffusione capillare a basso costo per prevenire questa gravissima pandemia e vi sarebbe ovviamente la strategia delle multinazionali farmaceutiche per arricchirsi oltre ogni misura. Una verità in questo c’è ovviamente, ma continua a scappare o a saltare davanti il progetto di fondo senza mai essere inquadrato, se non completamente, almeno nella sua direzione. È evidente che non vi è una critica radicale o, usando altri termini che sembrano appartenere ad una vecchia era geologica, useremmo dire rivoluzionaria a contrastare questa Grande trasformazione.
La libertà che qualche volta si sente urlare in piazza, magari accanto ad un cartello per poter riaprire il bar è quella di poter ritornare come prima o, almeno, nel cambiamento di cui sfuma il fine si chiede di non esserne esclusi. Gran parte di queste categorie sono rappresentate da tecnici, avvocati, costituzionalisti che si aggrappano a qualcosa che sembra proprio non fare breccia da nessuna parte e i partiti politici di vecchio stampo latitano visto che le elezioni sono un po’ troppo lontane all’orizzonte per rischiare di compromettersi con settori troppo minoritari. Ci siamo talmente abituati a guardare la realtà con gli stessi occhi dei vari specialisti e tecnici di ogni risma che non riusciamo più a scorgerla perché per noi divenuta incomprensibile: tanto che siamo arrivati comunque a confermarla a scatola chiusa. Lo sgomento, la paura, l’ansia e forse anche la stanchezza la fanno da padrone ed eccoci trasformati in razionalisti inflessibili, soprattutto i militanti di sinistra. Se prima la lotta per la libertà si rifaceva a ben precisi valori che chiamavano in campo gli sfruttatori e la lotta contro ogni oppressione, adesso nel vortice pandemico quelle rivendicazioni sono ridotte al misero posto di lavoro, ad andare in vacanza, a riprendere una vita sociale fatta di distanza ed esclusione. Sembra quasi sentir dire i più “con tutto quello che abbiamo rischiato quello che arriva sarà pur tutto di guadagnato, non è tempo per la critica, non è tempo per la protesta”.
La Grande trasformazione in atto va avanti per la sua strada pronta a stravolgere senza guardarsi indietro milioni di vite di persone e tutti i precedenti modelli economici considerati obsoleti e inutili. Senza ovviamente contare le conseguenze sanitarie dalla gestione di questa pseudopandemia e da quelle ben peggiori che verranno, sempre che non vorranno utilizzare la carta dell’emergenza climatica.
Questo processo è ben descritto da un altro personaggio accolto regolarmente all’assembramento annuale di Davos: “L’ora della quarta rivoluzione industriale è scoccata e la nostra vita è destinata a cambiare velocemente, come forse mai prima nella storia dell’umanità. Più che da una singola invenzione, come invece accadde nelle precedenti svolte epocali, questa quarta rivoluzione scaturisce da una convergenza di fenomeni tecnologici diversi, dove applicazioni digitali, studi sui materiali, automazione meccanica, ricerche sulla genetica umana e animale, intelligenza artificiale e soprattutto le reti in grado di collegare persone e oggetti si intersecano in continuazione e con estrema rapidità, creando ogni giorno nuovi strumenti e aprendo nuove possibilità”. Parole di John Elkann nell’introduzione al libro di Schwab “ La quarta rivoluzione industriale”. Sa bene quello che dice, considerando che il suo gruppo Fiat Chrysler Automobiles di cui è presidente si è aggiudicato la produzione di milioni di mascherine al giorno in Italia e considerando che fa parte di quella èlite che non vuole farsi scappare una simile occasione.
Questi personaggi sono parte di un processo che non mira solo a nuovi effimeri mercati, vogliono ben di più perché adesso possono pretenderlo, sanno che la Grande trasformazione non ha confini e, come hanno sempre detto i transumanisti, i tempi della politica sono lenti, pieni di burocrazie e comitati etici, ma se vi sono nuove possibilità perché arrestare il processo innovativo?
E adesso vanno avanti spediti, senza nascondere troppo i loro progetti e le loro intenzioni, basta leggere i loro testi e ascoltare le loro conferenze. Quello che è cambiato in molti casi è il senso delle parole, usano il solito dizionario, ma il significato dei termini è mutato, basti pensare ad ecosostenibilità o senso di responsabilità. Per il primo si può essere certi che stanno intendendo le tecnologie più energivore e inquinanti al mondo, soprattutto nel campo estrattivo. Per il secondo si riferiscono ad una servitù su base volontaria, dove si chiede e si fa la fila per essere sfruttati o ingegnerizzati geneticamente con i “vaccini”.
Questo processo si fa sempre più veloce e non c’è campo o sapere che non ne venga coinvolto, dalla scuola al mondo del lavoro, i vari apparati danno il loro contributo verso la trasformazione a volte anche ignari a cosa stanno collaborando.
Coloro che sono gli ispiratori e alla guida di questi processi sanno benissimo che il momento è quello giusto, anche se procedono in modo scomposto, dove una cosa contraddice l’altra, sanno che di fronte a loro scarsamente avranno opposizione.
Il senso generale nelle comunità umane non è più rivolto verso sé stessi come unità uniche all’interno di comunità libere, la percezione che hanno ben istillato nel tempo non è più quella di trovarsi in una comunità viva, ma in una specie di impresa che niente o ben poco ha a che fare con un sentire libero da vincoli artificiali imposti. La redditività, la competizione, la costante necessità di prestazione sembrano essere diventati gli unici scopi dell’agire umano.
In questo nuovo sentire collettivo, ma che di collettivo non ha nulla visto che ci si riferisce sempre alla propria persona con prassi egoistiche inedite, le persone si convincono di agire per la giusta causa sanitaria. In questo senso lo spirito solidale è stato sostituito con un principio di responsabilità che per funzionare deve uniformare chiunque, da qui la necessità dell’esibirsi in maschera e per chi non si conforma prima ancora del camice bianco ci sarà l’odio o l’esclusione della maggior parte delle persone vicine. Esiste una leaderschip globale pronta a sostituire i precedenti sistemi democratici traballanti e non adatti alle nuove sfide, una piccola minoranza con enorme potere politico e finanziario in grado di spostare gli equilibri a livello internazionale secondo la propria agenda.
La nuova normalità consiste che gran parte della popolazione mondiale sarà considerata nient’altro che un’opportunità di investimento per l’èlite finanziaria, dove ogni speranza, paura, successo e fallimento sarà ridotto a statistica su un database centralizzato. Tutti/e noi siamo pronti per indirizzarci verso quel database e in molti, oltre che sicuro, lo troveranno anche giusto.
La domanda da porsi in conclusione è se questo cambiamento sia inarrestabile. Ogni dittatura ha fatto i suoi passi falsi e ha creato quelle incrinature per cui fosse possibile demolirla. La Grande trasformazione ha qualcosa di completamente inedito in confronto al passato: lo sviluppo tecnologico. Può sembrare che questo sia solo un mezzo, ma invece questo è anche un fine allo stesso tempo. È anche un fine perché nel mentre lo sviluppo tecnologico avanza rende quasi impossibile tornare indietro, perché l’unica società sarà quella in avanti che a sua volta porterà ad un vero e proprio cambiamento ontologico degli esseri umani, della percezione che questi hanno di sé stessi e del pianeta morente che hanno intorno.
A differenza del passato, se una società si può denazificare (ad eccezione del comparto industriale e farmaceutico del tempo) non si può ritornare indietro sugli interventi di ingegneria genetica sui corpi o sull’inserimento di microchip nanotecnologici, quello che assistiamo in questi mesi “pandemici” è solo l’inizio. La ricerca di punta, come era prevedibile, sta tirando fuori dai propri laboratori quello su cui già lavoravano da decenni, ma su cui non potevano esporsi, i tempi non erano pronti a differenza di adesso dove in modo grottesco vi sono ancora vincoli per la biodiversità in agricoltura, ma hanno iniziato a modificare geneticamente i corpi umani. È una corsa contro il tempo, ma non possiamo assolutamente esimerci dal non percorrerla.
Fonte: L’Urlo della Terra, numero 9, luglio 2021
Costantino Ragusa è un ecologista radicale di "Resistenze al nanomondo", e saggista del mensile "L'Urlo della Terra", E' impegnato da più di vent’anni in analisi critiche delle tecno-scienze e nei percorsi di opposizione all'ingegnerizzazione dell'umano. Con Silvia Guerini ha curato l'edizione italiana di Escudero Alexis, La riproduzione artificiale dell'umano, Ortica editrice, 2016.