Da Samarcanda una sfida dell' "altro mondo"
Le crisi internazionali, l’impasse del sistema economico occidentale, l’acutizzarsi dei problemi di riassetto internazionale dell’economia a seguito della pandemia e in conseguenza dei diversi conflitti che minacciano la pace nel mondo, sono stati i temi sui quali si è sviluppata la discussione ed il confronto tra i paesi aderenti alla SCO .(Shanghai Cooperation Organization).
La SCO è la più grande organizzazione regionale del mondo: 40% della popolazione mondiale e oltre il 30% del PIL mondiale.
Nata ufficialmente nel Giugno del 2001, la SCO è l'alleanza regionale guidata da Cina e Russia, di cui fanno parte Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, India e Pakistan, ai quali si aggiunge ora l’Iran. Gli stati osservatori sono Afghanistan, Bielorussia e Mongolia, mentre i partner del dialogo sono Azerbaigian, Armenia, Cambogia, Nepal, Turchia e Sri Lanka. E’ un meccanismo di cooperazione attivo da dieci anni in Asia centrale e la cui rilevanza, specie dal punto di vista geopolitico, è in continua crescita.
Sorta per favorire la risoluzione di dispute territoriali tra i sei paesi aderenti - Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan - l’organizzazione è andata progressivamente istituzionalizzandosi, intensificando la cooperazione tra i suoi membri tanto su questioni di sicurezza quanto in ambiti come quello economico, energetico e culturale.
Il piano militare e di sicurezza dell’organizzazione è senz’altro quello più rilevante, all’insegna della comune volontà degli aderenti di contrastare tre fenomeni che sono identificati come le principali minacce alla sicurezza regionale: il terrorismo, l’estremismo e il separatismo, così come recitò il primo documento ufficiale dell’organizzazione, la “Shanghai Convention on Combating Terrorism, Separatism and Extremism”.
Secondo alcuni osservatori la SCO sarebbe nata con l’intento di contenere e bilanciare la presenza statunitense nell’area centroasiatica: un’interpretazione rafforzatasi nel 2005, quando proprio da un summit della SCO giunse la richiesta a Washington di calendarizzare il ritiro delle proprie installazioni e dei propri soldati presenti in Asia centrale.
A Samarcanda sono andati in scena due giorni di incontri bilaterali e collettivi, molti di questi dedicati proprio al confronto sui temi legati alla sicurezza internazionale messa a dura prova dalle politiche di destabilizzazione planetaria dirette verso i governi non sudditi degli Stati Uniti e della UE. L’attenzione si è concentrata sui necessari correttivi nella filiera del commercio internazionale, a maggior ragione prendendo atto della diffusione ad ogni comparto di un sistema sanzionatorio unilaterale, illegittimo ed illegale messo in campo dall’Occidente per correggere a proprio favore la competizione con l’Oriente.
L’impressione che se ne ricava, è quella di un blocco che rappresenta la maggioranza della popolazione mondiale e che segna un ulteriore passo verso la ricerca di una identità comune del blocco orientale. Un approccio che superi persino antiche contrapposizioni come quelle tra India e Pakistan in ragione di un disegno dell’ordine planetario più equilibrato e conveniente per lo sviluppo di tutto l’Oriente che deve pensare alla sua cooperazione come alla sua crescente influenza sull’intera economia mondiale.
Il nuovo che avanza sui resti del vecchio
Il Vertice di Samarcanda ha segnato una nuova linea di frontiera tra Oriente ed Occidente, approfondendo ulteriormente il solco non tanto tra due sistemi economici quanto piuttosto tra due modelli di governance. Modelli che rispecchiano un diverso approccio al Diritto Internazionale, una diversa centralità sia nella lettura dei fenomeni sociopolitici all’interno di ogni singolo paese, sia nel complesso delle relazioni internazionali.
Proprio alla politica delle sanzioni statunitensi, paradigma di una concezione violatoria del Diritto Internazionale, che procura danni gravi alle popolazioni ed all’idea stessa di equilibrio e ragionevolezza nell’esame dei contrasti internazionali, sono state indirizzate le critiche più aspre. "Tutte le sanzioni economiche, eccetto quelle adottate dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, sono "incompatibili con la legge internazionale". Un messaggio chiaro a Usa e Ue per le sanzioni decise contro Mosca per la guerra in Ucraina che smentisce le previsioni degli analisti atlantisti che immaginavano una Russia isolata, schiacciata tra le esigenze di pace di Cina e India da un lato e la fine delle relazioni con l’Occidente dall’altro.
Una caratteristica curiosa della SCO, è che sia tra i suoi membri che tra gli osservatori riunisce diversi paesi colpiti dalle furbe sanzioni americane ed europee. La Russia ha superato il precedente primato, che apparteneva all’Iran. Del resto, fin dal 2014, la politica statunitense ed europea verso la Russia si è poggiata su due gambe: da un lato la penetrazione della NATO in Ucraina e l’abdicazione al ruolo di garanti europei degli accordi di Minsk, violati costantemente da Kiev; dall’altro le sanzioni alla Russia per colpirne l’import/export agricolo con l’Europa. Sullo sfondo si sono stagliate le altre due direttrici: quella che ha visto l’intensificarsi della destabilizzazione ai confini della Russia, compresi i tentativi di colpo di stato in Bielorussia e Kazakistan e le pressioni e le sanzioni verso la Germania per impedire l’attivazione del North Stream 2 che avrebbe rafforzato la partnership commerciale russa con la UE e reso inutile sui mercati lo shale gas statunitense.
Sono elementi decisivi nella valutazione dei possibili ambiti di scontro con un Occidente in grado di produrre solo strumenti finanziari virtuali ma quasi nulla delle materie prime e dei prodotti industriali finiti necessari a miliardi di persone; un Occidente che economicamente non cresce più e ha come unica politica quella di colpire chi cresce al posto suo.
Una idea opposta di governo del pianeta
La questione fondamentale, che vola sopra tutte le altre, ha a che vedere con la democratizzazione dell’economia mondiale e il coerente equilibrio militare che devono sostenere la gestione multipolare della governance planetaria. Secondo il leader russo - che ha sottolineato come “la guerra-lampo economica contro la Russia è fallita -“trasformazioni fondamentali stanno avvenendo nella politica ed economia mondali, e si tratta di cambiamenti irreversibili” che vedono “la crescita di nuovi centri di potere che cooperano tra loro", ha affermato.
Tesi condivisa, com’è noto, anche dal presidente cinese Xi Jinping, che ha chiesto "di rimodellare l'ordine internazionale", come ultima dichiarata sfida all'influenza globale dell'Occidente. I leader, ha detto Xi, dovrebbero lavorare insieme per promuovere lo sviluppo dell'ordine internazionale “in una direzione più giusta e razionale”, tenersi alla larga dalle "rivoluzioni colorate", mantenere il “rispetto reciproco" e la "non interferenza negli affari interni”. Il mondo di oggi "non è pacifico: la competizione tra i due orientamenti politici di unità e di divisione e tra cooperazione e confronto è diventata sempre più evidente”, dice Xi Jinping, e "ciò ha un impatto decisivo su pace e stabilità nel mondo.
Il riferimento di XI alle “rivoluzioni colorate” è ovviamente un atto d’accusa verso Stati Uniti ed Unione Europea ed alla loro pratica nei paesi che intendono destabilizzare per interessi geopolitici ed economici. Lo si fa attraverso la costruzione di reti nei diversi Paesi. Reti che si costruiscono illecitamente ed illegalmente attraverso finanziamenti ed addestramento diretto, o attraverso organizzazioni non governative fintamente inviate con progetti di cooperazione, ma che in realtà sono formate da personale agli ordini di USA e UE. Il loro incarico è formare opposizioni eterodirette, organizzare forze di natura eversiva ed armate destinate alla costruzione di rivolte e colpi di stato, con il fine di abbattere governi legittimamente eletti. Una concezione horror della democrazia della quale si dicono espressione, perché l’obiettivo finale è il ribaltamento con la forza della volontà dei cittadini espressa con il voto popolare.
Ma è chiarissimo il riferimento a Taiwan, dove la permanente provocazione statunitense nelle acque del Mar della Cina mette a dura prova la proverbiale pazienza orientale che pure abbonda a Pechino. La persistenza di basi militari e minacce di tipo militare e politico, il sostegno e l’armamento del governo di Taiwan costituisce non solo una ingerenza indebita negli affari interni della Cina ma anche una smentita evidente al principio di una sola Cina, che gli stessi Stati Uniti riconoscono. La Casa Bianca usa Taipei anche per costringere la Cina ad una pressione politica internazionale e ad uno sforzo bellico che distragga risorse alla crescita economica, e sa che senza i processori di Taiwan non sarebbe in grado di sopravvivere tecnologicamente. Tutto questo prevale sia sul senso di responsabilità (peraltro assente nella storia degli USA) che sul ruolo di leadership che Washington pretende di esercitare in nome e per conto dell’intero pianeta.
Chi si aspettava una riunione che evidenziasse le difficoltà della Russia nel rapporto con l’insieme dell’organismo è rimasto deluso. Oltre ogni possibile dubbio o incertezza, più in là di qualunque logica differenza politica e culturale nell’approccio alla questione ucraina, ci pensa Washington ad unire Mosca e Pechino. Con la sua politica di sostegno al terrorismo e a blocchi politici ultrareazionari che a volte si ispirano apertamente al nazismo, con le provocazioni militari e le sanzioni contro 36 paesi, con la distribuzione urbi et orbi di armamenti in grado di alterare in parte gli equilibri militari concordati, con il ritiro della firma dai trattati di controllo e riduzione degli armamenti e con lo stimolo ai conflitti nei Balcani e nell’area euroasiatica, Washington offre ogni elemento possibile per il rafforzamento dell’intesa politica e militare tra Putin e Xi.
Per le dimensioni che la SCO va assumendo, per ciò che rappresenta in termini demografici, territoriali, militari ed economici, l’organizzazione si avvia a disegnare un modello di coordinamento tra stati in grado di contrapporsi efficacemente al dominio del patto Atlantico, ormai con la morte della UE, unico rappresentante politico dell’Occidente. Sarà bene che a Washington e Bruxelles ne prendano atto con celerità: il mondo unipolare è finito. La scelta che hanno di fronte è solo quella di distruggerlo o condividerlo con altri. Il multilateralismo non è più un’opzione, è l’unica opzione.
Fabrizio Casari giornalista, direttore di Altrenotizie, analista di politica internazionale, è un profondo conoscitore della realtà del Centro e Sud America. Autore del saggio, "Nicaragua, l'ultima rivoluzione" (Maremagnum)