Nel matrimonio gay c'è vera uguaglianza tra i coniugi. E' vero?

E'finita l’era del sesso debole e di quello forte, del completamento dell’uomo attraverso la donna e viceversa? Finita l’era dei ruoli distinti? Il dibattito continua lacerante e Berlino ne è lo scenario ideale.

Berlino, la capitale della Germania, ha una comunità LGBT attiva e con una lunga storia alle spalle.

tratta da filmIn città vi sono molti quartieri gay ed il più grande di loro Schöneberg, è anche il primo al mondo per ampiezza. Di conseguenza è il centro europeo di riferimento anche per quanto il dibattito sofferto sul riconoscimento dello Stato del matrimonio tra omosessuali, ossia il “diritto d’amare” al centro di un confronto lacerante. L'autore di questo articolo Claudio Antonelli è contro le "nozze gay" e ne spiega il perché non senza toni sarcastici e dimenticando per esempio le persecuzioni naziste delle quali furono vittime gli omosessuali.

Lo pubblichiamo per diritto di cronaca, ricordando che l'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione

matrimonio gay mariageSul matrimonio come unione di un uomo e di una donna, in molti paesi è stata posta una pietra tombale. I governi, campioni di moralità, hanno imposto al popolo retrogrado, afflitto da pregiudizi ancestrali, la nuova morale. 

Una tradizione consacrata da tutte le religioni (ma moribonda in Occidente), e già tutelata e incoraggiata dallo Stato per la sua funzione essenziale di protezione della prole (il sangue del proprio sangue) e di perpetuazione della società, sta per tirare definitivamente le cuoia in nome del nuovo feticcio dell’uguaglianza intesa come interscambiabilità. La funzione di complementarità di questa istituzione sociale, data dalla diversa natura biologica e, diciamolo, psicologica dell’uomo e della donna, è stata rimossa dall’idea dell’“uguale interscambiabile”, fisico e psicologico.

Ci dicono che il matrimonio tra omosessuali abbia aggiunto un nuovo importante elemento a questa istituzione incartapecorita. Il nuovo elemento sarebbe l’amore. Un amore vero, spontaneo, senza condizionamenti sociali, senza ingiuste distinzioni d’identità basate sugli organi riproduttori. E soprattutto un amore “disinteressato”, almeno stando a Umberto Veronesi, che dall’alto della sua saggezza aveva sentenziato: “L’amore omosessuale è più  puro. In quello etero una persona direbbe: ‘ti amo non perché amo te, ma perché in te ho trovato la persona con cui fare un figlio’. Nell’amore omosessuale invece non accade.'”

Le nozze omosessuali introducono dunque l’uguaglianza, la vera uguaglianza tra coniugi.  Finita l’era del sesso debole e di quello forte, del completamento dell’uomo attraverso la donna e viceversa. Finita l’era dei ruoli distinti. Oggi i coniugi sono uguali tra loro. Sono addirittura interscambiabili. Sono immagini speculari. 

A detta dello studioso Stanley Kurtz, il matrimonio è sacro anche per le persone che non sono religiose. Ma oggi di sacro vi è solo la Carta dei diritti umani; che a guisa delle macchie di Rorschach si presta alle molte interpretazioni…

Si precipiteranno poi gli omosessuali a convolare a nozze? Non pare proprio. Infatti, la varietà dei partners, la “promiscuità”, sono molto apprezzate dagli omosessuali; dagli omosessuali maschi, occorre aggiungere, mentre le lesbiche tendono piuttosto alla monogamia. Ma forse i guardiani della Carta interverranno anche in questo campo al fine di ristabilire la dovuta uguaglianza…

Certi termini usati nel dibattito sul matrimonio omosessuale condizionano fortemente la logica del discorso.

Il “diritto all’uguaglianza”, rivendicato dalla ridotta ma vociante percentuale di omosessuali che si batte per il “diritto” di sposarsi, non può cambiare la disuguaglianza che la natura sancisce tra una coppia composta da un maschio e una femmina, e una coppia di coniugi che siano invece dello stesso sesso. Per quanti volonterosi sforzi quest’ultima farà, non riuscirà mai a produrre una figliolanza casereccia, ossia “fatta in casa”. La cui nascita e protezione sono il fondamento ideale della famiglia che abbiamo conosciuto per millenni.

Passiamo ad esaminare l’acclamato sentimento d'”amore”, ossia il “diritto d’amare”, onnipresente nel dibattito. Il ragionamento è il seguente: io amo e quindi lo Stato deve tutelare il mio diritto ad amare, permettendomi d’impalmare la persona oggetto dei miei desideri anche se questa è del mio stesso sesso. Ebbene, un simile ragionamento fa acqua. In realtà, tutti noi sappiamo che il sentimento d’amore legato alla sfera sessuale non è perenne… Talvolta poi l’amore è plurimo e “multiforme”. 

L'”amore” del padre e della madre e dei figli, nell’ambito del vincolo familiare, è oltretutto un amore particolare, assai diverso sul quale occorrerebbe tanto dire… Mi limiterò a dire che quest’amore ha assai poco da vedere con l’amore esibito nel circo Barnum delle “gay parades”.

Pensare che senza matrimonio una coppia omosessuale non possa amarsi è un nonsenso nel nostro Occidente. Un tempo, per potersi unire carnalmente “ad libitum” con la “fidanzata”, il giovane doveva avere il beneplacito delle due famiglie, e delle autorità civili e religiose attraverso il “sacramento” del matrimonio. E tanti matrimoni avvenivano – scusate il cinismo – a fidanzata incinta. Insomma, erano gli organi riproduttori a giustificare in questi casi la necessità di un matrimonio. 

In quei tempi gli omosessuali erano bersaglio di pesanti dileggi ed erano fatti oggetto anche a gravi atti di discriminazione. Oggi fortunatamente, ormai da anni, non è più così. Gli omosessuali, in Occidente, possono convivere con il loro partner senza temere linciaggi. Tutt’altro. Gli omosessuali hanno anzi monopolizzato il termine “gay” e “pride”, e mostrano orgogliosamente al mondo la loro normalità attraverso le ricorrenti “gay parades”, sorta di processioni dei nuovi santi.

Moralmente l’omosessuale oggi ha una potente arma di difesa, di cui spesso abusa: l’accusa di “omofobia”, cui io stesso, parlando chiaro, ma senza il minimo sentimento di odio, disprezzo o superiorità morale, so di espormi…

Continuando il discorso sul “matrimonio omosessuale” vorrei mettere in risalto il paradosso seguente. Il tanto svillaneggiato matrimonio “tradizionale”, considerato dai progressisti di ogni pelo come un ipocrita e stantio modello borghese, è oggi pienamente rivalutato proprio dalla Sinistra, in virtù del matrimonio omosessuale. Il rapporto coniugale tradizionale, infatti, ha assunto il tremulo e romantico alone di una condizione ideale per la coppia omosessuale. Condizione alla quale alcune società reazionarie e omofobiche, ancora sottoposte al crudele “pater familias”, negherebbero ai “diversi” di accedere.

La famiglia è da anni bersaglio di pesanti dileggi oltre che di gravi accuse: paternalismo, autoritarismo, maschilismo, “familismo amorale”, violenze alla donna e via enumerando. Ma ecco che i “gays” – i “diversi” che da sempre si proclamano gioiosi trasgressori delle regole borghesi, dei ruoli obbligati e dei conformismi in genere – attendono ansiosamente dalle autorità civili e dalla Chiesa la benedizione, il lancio dei confetti e l’iscrizione all’anagrafe.

Inoltre, gli stessi che difendono con unghie e con denti la meravigliosa Costituzione italiana, che intendono mantenere pura da ogni alterazione e interferenza, lottano invece accanitamente per l’avvento del matrimonio omosessuale. Non sembrano rendersi conto che l’avvento di questo nuovo matrimonio, secondo molti giuristi, costituirebbe una grave distorsione e anzi un capovolgimento della norma costituzionale celebrante la società naturale, fondata sul “coniugio” di due persone di sesso diverso, la regola finora.

Nella controversia sul matrimonio omosessuale è importante stabilire se i vincoli familiari siano stati introdotti dallo Stato ad un certo momento della storia delle società umane, o se non siano invece ben anteriori alle leggi dello Stato che disciplinano il matrimonio. Perché se la “famiglia” con i suoi vincoli, responsabilità ed interdetti (ad esempio il tabù dell’incesto) fosse una creazione anteriore, il fatto da parte dei governi di sovvertire il rapporto coniugale, che da sempre  è stato solo eterosessuale, costituirebbe un’ingerenza inaccettabile. Ciò infatti denaturerebbe e stravolgerebbe il matrimonio “naturale”, sul quale si è costruita la società stessa. Gli stessi termini “padre” e “madre” assumerebbero un nuovo significato, tanto che vi è stata già la proposta di abolirli, sostituendoli con “genitore 1”, “genitore 2”, e via enumerando. 

Una cosa è certa: nella carta fondamentale italiana, celebrata con toni commossi da Benigni, la famiglia è considerata un fenomeno preesistente al diritto, ovvero essa è una realtà che il diritto non creò ma si trovò davanti. Se un uomo può sposare un uomo e una donna può sposare una donna, s’innova a tal punto il matrimonio come istituzione che sarebbe logico far cadere anche altre proibizioni, compresa quella dell’incesto e della poligamia.

Perché un nonno, divenuto vedovo, non dovrebbe poter impalmare la nipotina consenziente? E perché continuare a interdire la poligamia? Purché ci sia amore beninteso: questo requisito essenziale che lo Stato – ci dicono – deve tenere in alta considerazione. Ma non si capisce come le autorità competenti faranno a verificare, ogni volta, che l’amore, singolo o plurimo che sia, veramente esista e sia degno della benedizione dell’ufficiale anagrafico e delle altre autorità preposte alla tutela del connubio d’amore.

E perché non accettare un matrimonio di gruppo, in cui ognuno sposa tutti gli altri? Sempreché ci sia amore beninteso. Un amore abbondante e plurimo.

La creatività sessuale si alimenta di stimoli fisici. E io credo che questi stimoli sapranno far sbocciare sentimenti d’amore molto innovativi e anticonformistici, che lo Stato, beninteso, dovrà affrettarsi a tutelare

In nome del diritto all’uguaglianza, grazie al matrimonio omosessuale si crea la finzione di rendere l’uomo biologicamente uguale alla donna. Nell’ambito della nuova coppia, l’espressione “marito e marito” diviene l’equivalente di “marito e moglie”, e “moglie e moglie” ha pari dignità di “moglie e marito”. I bambini, adottati oppure prodotti nelle catene di montaggio esterne visto che il “montaggio” familiare è organicamente nullo benché ispirato all’amore, avranno due padri… E perché no anche tre o quattro? Mentre nelle famiglie dove la coppia è composta di due spose lesbiche, i figli avranno due madri. E perché no anche cinque o sei? Dopo tutto, quel che conta è l’Amore.

Io trovo tutto ciò eccessivo. E siccome accanto al diritto d’uguaglianza vi è ancora, anche se è sempre più ristretto, il diritto di parola, ho osato essere un po’ crudo in questa mia analisi.  Io so che il “gay pride” ha ridotto il diritto degli altri – noi, i nuovi “diversi” – a parlar chiaro. L’orgoglio della propria identità sessuale è ormai un monopolio gay, mentre incombe, sui “diversi”, la pericolosa accusa di “omofobia”. Se da decenni e forse da secoli, in Europa, non si finiva più in prigione per omosessualità, ben presto forse vi si finirà per “omofobia”, reato che probabilmente includerà ogni manifestazione di sentimenti non schiettamente omofili. Sta forse per ritornare quindi la galera, ma a difesa questa volta del cambiamento e del progresso.

Il revisionismo della nozione di famiglia dovrebbe essere considerato invece per quello che è: un altro distopico disegno di “social engineering” verso il quale ci sospingono gli orfani del comunismo, i nostri “benpensanti-progressisti”, i finanzieri internazionali, tutta gente ansiosa di rottamare le basi stessa della nostra società espugnando l’ultimo bastione: la vera famiglia. Una cosa è certa: la famiglia, già moribonda in un Occidente afflitto da un alto livello di denatalità, non uscirà certamente avvantaggiata dallo snaturamento di termini quali “madre”, “padre”, “marito”, “moglie”, “sposo”, “coniuge”, “matrimonio” e via rottamando, travolti e smantellati dalla ricerca del nuovo ad ogni costo. Un nuovo che diventerà ben presto vecchio, e che occorrerà ancora rinnovare allargando continuamente il terreno delle novità.

L' autore dell' articolo, Claudio Antonelli giornalista e scrittore, fratello della famosa attrice Laura Antonelli, è un  esule istriano che vive a Montreal in Canada. Ha scritto articoli di vario contenuto, ma soprattutto di analisi della realtà canadese e italiana, e della realtà particolare dei giuliano-dalmati.

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