Nessun odio è così penetrante come quello online
Sempre più spesso stragi e aggressioni motivate dall’odio razzista (od omofobo, o religioso) si sono rivelate essere legate alla diffusioni di messaggi di odio online.
Social media e piattaforme Internet, però, hanno armi spuntate per fermare questo tipo di attività sul web: arrivano spesso troppo tardi. Ora gli scienziati statunitensi hanno costruito un modello matematico di come funziona l’ecosistema dell’odio online che forse può permettere di contrastarlo efficacemente, scrive Anjana Ahuja sul Ft. La ricerca, coordinata dal professor Neil Johnson della George Washington University e pubblicata sulla rivista Nature, ha tracciato come i gruppi di utenti formano reti e diffondono le loro idee.
Di solito tutto parte da un cluster, cioè un sito o un gruppo di follower che condividono una visione o uno scopo simile (come per esempio il Ku Klux Klan): quando viene bandito da una piattaforma, i gruppi espulsi si raggruppano ritrovano su un’altra come metastasi, saltando tra Paesi, social media e lingue diverse e creando così «autostrade dell’odio globali» su cui possono salire sempre nuovi aderenti.
Per questo per bloccarne l’azione piuttosto che chiudere un grande cluster, è meglio vietare quelli piccoli che se ne nutrono, evitando così il reclutamento di massa. In secondo luogo bisogna bloccare un piccolo numero di membri a caso per ogni cluster (per esempio un utente su dieci) : questo ne diminuisce la velocità di espansione e permette di bypassare la necessità di analizzare le attività dei singoli nel dettaglio. In terzo luogo, bisogna promuovere i cluster anti-odio che esistono. Infine si deve introdurre un gruppo di utenti fake che mettano i gruppi di odio l’uno contro l’altro.
Alcuni neonazisti, ad esempio, vogliono un’Europa unificata, mentre altri sostengono il separatismo. Tutte insieme queste contromisure sembrano funzionarie. Non è tuttavia una strategia priva di rischi, avverte Ahuja, perché «richiede un’ingegneria sociale online su larga scala».
Elena Tebano
Fonte: Financial Time