Tedesco per scelta: l'esilio di Pirandello in Germania
Geschrieben von Paolo Molina am .
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Bonn, fine Ottocento. È qui che avviene il primo incontro di Pirandello con la Germania: lui, giovanissimo studente arriva all'università renana su consiglio del suo maestro di filologia romanza. Qui nel 1891 ottenne una laurea in Filologia romanza con una tesi intitolata "Suoni e sviluppo di suoni nel dialetto di Girgenti", e si era già dedicato alle prime prove letterarie, componendo alcune poesie e una tragedia.
Questo primo soggiorno in Germania gli permise di conoscere la cultura tedesca e in particolare gli autori romantici, che influenzarono profondamente la sua opera e le sue teorie sull'umorismo
È il 1891: pochi anni dopo, Pirandello espatrierà verso la Germania. Un esilio volontario.
Ma andiamo con ordine. Nasce a Girgenti, ora Agrigento in una località chiamata Caos. Su questo lo scrittore amò sempre scherzare, definendosi un “figlio del caos”.
Tornato a Roma, entra negli ambienti letterari, collabora con alcune riviste e pubblica le prime novelle e i primi romanzi. Nel 1901 esce il romanzo L’Esclusa e l’anno successivoIl turno. Ma è il 1903 l’anno della svolta, a causa di due eventi:
la miniera di zolfo dei genitori si allaga e la famiglia cade in rovina;
inizia a manifestarsi la malattia mentale della moglie che la costringerà a vivere in una casa di cura fino alla morte.
Dissesto economico, follia e prigione familiare diventano allora temi centrali delle sue opere. Le difficoltà economiche lo portano a intensificare l’attività di scrittore e nascono i suoi romanzi più famosi:
È il primo capolavoro di Pirandello, ma all’epoca non ottenne molto successo.
La storia inizia con la fuga di Mattia Pascal a Montecarlo, dove vince una grande somma al gioco. Tornando a casa scopre di essere stato dichiarato morto, scambiato per un cadavere trovato suicida.
Il protagonista decidere di cogliere al volo l’occasione per liberarsi di tutti i legami sociali, fingersi veramente morto e ricominciare tutto da capo. Si trasferisce a Roma sotto il falso nome di Adriano Meis e si innamora della figlia del suo padrone di casa con la quale vorrebbe iniziare una nuova vita.
Ma non può farlo perché di fronte alla legge Adriano Meis non esiste. Decide allora di fingersi nuovamente morto, di tornare al suo paese e riprendere il suo ruolo di Mattia Pascal. Ma qui scopre che la moglie ha ormai una nuova famiglia.
Quello che ormai è il Fu Mattia Pascal decide di vivere in una biblioteca e scrivere la propria storia.
In questo romanzo troviamo molti dei temi cari a Pirandello: l’identità, la maschera, la finzione, la condizione dell’uomo come personaggio, il tentativo di fuggire dal mondo e la sconfitta finale, il rifiuto da parte del mondo che si voleva rifiutare..
A Girgenti, in Sicilia, vivono i tre già anziani nobili fratelli Laurentano:
il principe Ippolito (ancora fedele al passato borbonico, tanto da tenere una guardia in divisa d'epoca),
don Cosmo (fedele, invece, alla figura del padre Gerlando, esule del Risorgimento),
donna Caterina (ripudiata dal principe perché sposa d'un martire dell'Unità, Stefano Aurite, uno dei Mille).
Con don Cosmo vive Mauro Mortara, un altro ex garibaldino che udì le ultime parole di Stefano, ed è ferocemente affezionato all'Italia unita.
Donna Caterina ha un figlio, Roberto, che cerca di continuare in politica l'opera paterna, e perciò si presenta come candidato alle elezioni.
Il principe don Ippolito sposa Adelaide Salvo, sorella del ricco Stefano, padrone tra l'altro delle zolfatare in cui si manifestano i primi torbidi socialisti; sua figlia Daniella è innamorata sin da bambina dell'attuale ingegnere delle zolfatare, Aurelio Costa.
Alle elezioni vince Ignazio Capolino, il candidato appoggiato da Salvo; la moglie del nuovo deputato, Nicoletta, è, d'altronde, l'amante di Salvo, praticamente vedovo di una moglie pazza.
Intanto, a Roma cova la tragedia. Tra i tanti scandali dell'epoca ce n'è uno in cui è coinvolto Corrado Selmi, per il quale Roberto Auriti s'è fatto prestanome. Nonostante gli amici tentino di salvarlo, viene arrestato: Selmi si suicida, scagionandolo, ma la madre Caterina ne muore di crepacuore; contemporaneamente Salvo manda Aurelio Costa a domare la rivolta della zolfatare, e, pur d'impedire il matrimonio di questi (da lei respinto in gioventù) con Daniella Salvo, Nicoletta Capolino fugge con lui, ma vengono entrambi uccisi dalla folla imbestialita;
Daniella quasi ne impazzisce, e a nulla vale il tentativo di darla all'affettuoso ed onesto Ninì (col cui matrimonio la famiglia spera di riparare i molti debiti): Daniella riprende a sorridere, ma si ostina a chiamare "Aurelio" il fidanzato.
Testimone di tutto è il patetico Mortara, che va a Roma piangendo di commozione al pensiero di vedere la capitale d'Italia e vi scopre la corruzione dei governanti;
tornato deluso e sconfortato nel suo angolo di ricordi in Sicilia, va a morire con le medaglie garibaldine sul petto a fianco dei soldati italiani che reprimono l'insurrezione popolare, ucciso proprio da quei soldati.
Una ancora attuale riflessione sulla conciliabilità , per una donna, della vita professionale e familiare, e dell'inevitabile ribaltamento dei ruoli maschili e femminili all'interno della famiglia. Il romanzo si dice, prende spunto dalla vita di Grazia Deledda.
Silvia Roncella, protagonista del romanzo, è una talentuosa scrittrice: il marito la incita pertanto a staccarsi dai limitati orizzonti di una piccola cittadina come Taranto e di buttarsi nella vita letteraria romana. Silvia è però una donna molto schiva e scarsamente ambiziosa: la scrittura le viene semplice e ispirata solo vivendola in privato e senza pressioni esterne. Il marito, nel frattempo, si dedica all'attività mercenaria di far fruttare ciò che la moglie scrive, e si preoccupa di tessere quegli indispensabili appigli sociali che la moglie rifiuta. Nella coppia si viene inevitabilmente ad instaurare una trama di recriminazioni e complessi di ruolo.
È il diario dell’operatore cinematografico Serafino Gubbio, che racconta l’alienazione dell’uomo che finisce per identificarsi con la macchina (in questo caso la videocamera), diventando egli stesso uno strumento.
Con questo romanzo Pirandello fa nuovamente riferimento al tema della finzione e aggiunge il discorso sulle potenzialità distruttive della modernità e della tecnologia. .
In questo periodo ha inizio anche l’attività teatrale, con opere sia in siciliano che in italiano, spesso derivate dalle novelle.
Esilio a Berlino
Il teatro d'arte di Pirandello e le linee imposte da Mussolini per lo spettacolo non si conciliavano. Così nel 1928 la sua compagnia teatrale si scioglie e nell'autunno lui si trasferisce a Berlino.
Scrive a un amico: "Tra pochi giorni mi sarò liberato della compagnia; ma non riesco più a stare fermo; andrò ancora fuggendo, e il più lontano possibile dall'Italia, forse andrò in Germania; forse nell'America del Nord".
Pochi giorni dopo, ad agosto, scrive ancora: "Mi tratterrò a Viareggio sino alla fine d'agosto in attesa d'esser chiamato in Germania da una grande casa cinematografica che mi ha proposto di mettere sullo schermo i 'Sei personaggi'".
Cinema e Marta Abba
Pirandello voleva dare alla sua adorata Marta Abba, già primadonna sul palcoscenico teatrale una fama da attrice del cinema.
Pensando a lei aveva scritto "L'amica delle mogli", "La nuova colonia" e "Lazzaro". Così si trasferisce con lei nella capitale tedesca.
Negli anni berlinesi, Corrado Alvaro, corrispondente de La Stampa lo descrive così: "Lo vidi a Berlino, in compagnia della donna che aveva collocato in cima ai suoi pensieri" e poi: "Gli uomini lo interessavano. Già del suo paese ricordava precisamente i colori, i caratteri, le avventure".
Lettere dalla Germania
Marta Abba intanto rientra in Italia già nel 1929, Pirandello resta in Germania. E le scrive moltissime lettere, una al giorno almeno. Anche se lei lo rifiuta, e gli chiede di "essere conciso e breve", lui non desiste. E le scrive durante notti insonni: "Sono rimasto a lavorare tutta la notte", scrive il grande letterato in una lettera del 1930. "Alle tre ho cominciato a vedere ai vetri delle due finestre dello studio la prima trasparenza dell'alba, come un mistero che provasse a rivelarsi". Per l'attrice, Pirandello è solo il suo pigmalione: "Per me - dirà molto dopo - era come un Dio". A Berlino Pirandello frequenta molti altri intellettuali, italiani e tedeschi, ma di queste frequentazioni, nelle lettere a Marta, non parla.
L'ammirazione per il teatro tedesco
Pirandello sembra non vedere il clima antisemita del nazismo e la minaccia della dittatura. In una lettera a Marta del 1929 compare uno sfogo imbarazzante, a proposito di una bega giudiziaria con uno suo traduttore, Hans Feist: "Qua sto combattendo la fede di Cristo tra tutti questi giudei d'avvocati, editori, direttori di teatri, e chi più ne metta".
Traduce le sue opere in tedesco: "Questa sera si recita a soggetto", "Sei personaggi in cerca d'autore".
Intervistato da Alvaro dice: "Ammiro il teatro tedesco per la sua disciplina e i mezzi perfetti di cui dispone. Qui il direttore può compiere tutti i miracoli di tecnica. Gli attori sono i più disciplinati e i più meticolosi del mondo. Essi non recitano, vivono con tutte le parvenze della realtà minutamente osservata. Vi manca fra loro, forse, l'attore nel senso italiano della parola, ispirato e improvvisatore, sia pure tra una folla di mediocri comparse. Qui dal primo all'ultimo sono tutti perfetti".
Addio alla Germania
Dopo due anni, Pirandello decide di lasciare la capitale tedesca dopo uno spettacolo di "Questa sera si recita a soggetto" violentemente contestato. C'era poi da seguire a Roma la causa contro l'attore Camillo Pilotto.
Così, nel 1930 l'idillio tedesco finisce. E dopo il rientro in Italia, Pirandello ripartirà per Parigi. Tornerà a Berlino solo nel 1936, per un congresso: ma Berlino gli sembrerà "press'a poco com'era, ma quasi spenta. Non si produce nulla".
Il nazismo aveva bandito le sue opere, tradotte da un ebreo. E lui stesso ammette l'oscurantismo di Goebbels: "Qua ci vuole l'autorizzazione per tutto e per tal riguardo si sta molto peggio che da noi".
Mai riuscito a rispondere compiutamente alle uniche importanti domande della vita: “quanto costa?”, “quanto ci guadagno?”. Quindi “so e non so perché lo faccio …” ma lo devo fare perché sono curioso. Assecondami.