L’occupazione femminile si è ridotta al 47,5 per cento. Siamo quasi 20 punti sotto le percentuali europee.
Ai primi di Febbraio di quest’anno, l’ISTAT ha pubblicato i dati riferiti al dicembre 2020 su persone occupate, disoccupate e inattive. In numeri assoluti si parla di 101 mila persone occupate in meno nell’ultimo mese del 2020 rispetto a novembre del 2019, di queste, 99 mila sono donne. Per le donne è calato il tasso di occupazione ed è cresciuto quello di inattività.
Su base annua, nel 2020, su 4 posti di lavoro persi 3 sono stati persi da donne. In ordine di grandezza i settori ei quali sono prevalentemente occupate le donne, sono il commercio, grossomodo a pari peso con sanità e servizi sociali (ciascun settore conta attorno al milione e 3 mila occupate); seguono manifattura e istruzione, con 1 milione circa di occupate ciascuna, poi troviamo hotel e ristoranti e il settore degli studi professionali, con 600-700 mila unità l’uno. E infine c’è il settore domestico, quello delle collaboratrici domestiche, delle baby sitter e delle badanti, con circa 600 mila occupate (regolari). Sono dunque questi i settori a cui guardare per capire se ci sono state perdite o guadagni di occupazione per le donne.
Nel terzo trimestre del 2020 l’occupazione femminile tra i 15 e i 64 anni, secondo i dati Eurostat organizzati per principali settori occupazionali, era di 9,3 milioni. Il 70 per cento circa di questo aggregato era concentrato in soli 7 settori su un totale di 21. Un terzo dei settori che vengono considerati in queste statistiche comprende cioè, da solo, il 70 per cento dell’occupazione femminile. Insomma, nella crisi innescata dalla pandemia sono le donne ad averne subito (e a subirne tuttora). in modo prevalente gli effetti sociali ed economici.
Perché in Italia le donne lavorano meno che in altri paesi, quelli europei in particolare? E perché nella piramide occupazionale si ritrovano più verso il basso che verso l’alto in termini di prestigio, salario, potere? Malauguratamente la disuguaglianza persiste anche quando sembra innocua differenza. Infatti sulla carta appaiono uguali diritti, ma quando si entra nel mondo del lavoro o in politica e tu donna vuoi emergere, quando una donna si fa una famiglia e cerca di combinarla con un lavoro, emergono molto più chiaramente le differenze che ancora svantaggiano le donne. Quando ci si accorg edello svantaggio può essere tardi. È dunque importante che le giovani e giovanissime anticipino possibili difficoltà, pur nella consapevolezza che possono e debbono tentare di superarle.
Inoltre, l’Italia ha un problema di scarsa occupazione femminile che ha radici specifiche anche se comuni ad altri paesi dell’area del Mediterraneo. Ad esempio, una famiglia forte e un’influenza religiosa altrettanto forte continuano ad opporsi al cambiamento di stereotipi e ruoli tradizionali. Infatti, l’importanza della famiglia dal punto di vista culturale ma anche economico, non va sottovalutata. La famiglia ha sempre avuto regole diseguali tra uomini e donne e la diseguaglianza su chi deve fare cosa ha condizionato anche il resto. Paradossalmente, dove la famiglia è più forte, là è più difficile il cambiamento.
Nei paesi nordici l’occupazione delle donne è più alta anche perché è stato “esportato” all’esterno il lavoro domestico e di cura: Da noi se non c’è l’asilo ci sono i nonni, se non hai i nonni sei in difficoltà e questo impedisce a molte donne di lavorare o di lavorare a tempo pieno». Nei paesi come quelli del Nord Europa che hanno asili nido accessibili a tutte le famiglie e aperti lungo tutta la giornata, parte di quel lavoro che da noi si svolge in famiglia viene fatto da insegnanti e altro staff, spesso al femminile e comunque regolarmente occupato. Morale: il welfare familiare è contrario all’occupazione femminile, la blocca, perché trattiene a casa lavoro non pagato».
In un suo recente articolo Roberta Carlini, giornalista e scrittrice, ha spiegato che comunque la si guardi la pandemia ha sovra rappresentato le donne su vari fronti: quello delle persone che hanno perso il lavoro, quello dei lavori maggiormente esposti al contagio, e quello del lavoro in casa: «sia nella forma del lavoro a distanza, sia nell’aumento dei carichi del lavoro non retribuito dovuto alla chiusura di servizi essenziali o alla loro trasformazione, ancora una volta, a distanza, a partire dalla scuola».
Molti movimenti e gruppi di donne in questi mesi hanno elaborato delle proposte concrete in vista della stesura o della revisione del Piano nazionale di riforma e resilienza, e del programma di investimenti che sarà presentato alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU. Prevedono un incremento degli investimenti nelle infrastrutture sociali, nuove strategie formative, il contrasto agli stereotipi e, soprattutto, la valutazione degli impatti di genere: «La cosa fondamentale» conclude Roberta Carlini,«è che oltre alle politiche di parità, ci sia anche qui un approccio di mainstreaming di genere, una vera trasversalità: un’analisi su come ciascun progetto impatterà sulle donne, presupposto necessario per una visione che sappia farsi realmente carico delle disuguaglianze, per colmarle».
Per saperne di più sulle donne e il digitale vai al dossier: Le dannate del click-click